I Hate Milano

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Coronavirus, quella passeggiata nell’assurdo di genitori e figli

Coronavirus, quella passeggiata nell’assurdo di genitori e figli

"Accoronati", la  nuova rubrica di Affaritaliani.it Milano. Di Francesco Francio Mazza


E così, dopo che da una settimana aspettavamo il benedetto picco, ieri abbiamo scoperto che eravamo su un “plateau”. Ora ci manca di trovare il rifugio dove farci una bella polenta, e a quel punto speriamo che una seggiovia ci riporti alla realtà, perché più passano i giorni più si fatica a credere di essere svegli e di non trovarsi in un maledetto incubo.
Prendi per esempio la questione relativa alla “passeggiata genitore-figlio”: come è possibile che una decisione simile sia stata presa senza contattare prima le Regioni (di ogni schieramento, a dimostrazione che i minus habens che ancora fanno di tutto questo una questione politica più che in quarantena meriterebbero di essere mandati al confino)?
Come sarà possibile, per le autorità preposte al controllo delle misure, controllare la durata delle passeggiate, la distanza da casa, la differenza tra “attività motoria” e “attività sportiva” e tutte le domande e i milioni di dubbi che affiorano nella testa del Paese ogni santa volta che viene emanata una nuova disposizione?
Ritorna, per l’ennesima volta, quel senso di sbando, di approssimazione, di totale mancanza di una visione d’insieme che se nelle prime giornate era comprensibile e col passare del tempo tollerabile oggi è assolutamente inaccettabile.
Il “ritorno alla normalità” – ammesso che sia giusto parlarne nel momento in cui si crepa ancora a ritmi di quasi 800 persone al giorno – può avvenire esclusivamente secondo due modelli.
Il primo è quello cinese, ovvero quarantena hard per 8 settimane senza mettere il naso fuori di casa a prescindere dall’età, e poi ritorno parziale attraverso registrazione obbligatoria su un app che traccia i movimenti delle persone (qui l’intervista a un italiano che vive a Shangai che racconta nel dettaglio come hanno fatto in Cina).
Il secondo è quello coreano, basato sulla riapertura delle città a macchia di leopardo ma, nello stesso tempo, sui tamponi su tutta la popolazione per isolare gli asintomatici e, anche in questo caso, sul tracciamento digitale dei contagiati.
Altre strade non ci sono. Sarà pur vero, come dicono gli psicoterapeuti, che i bambini sono al limite, ma allora che si acceleri per importare il modello coreano, ammesso che ci siano le risorse economiche per farlo.
Mandare la gente fuori basandosi su decreti approssimativi, confusi, e per giunta senza coinvolgere gli enti locali (ripetiamo: di ogni colore politico) è una ricetta per un disastro ancora peggiore di quello che già abbiamo vissuto.
Si, perché significherebbe distruggere i sacrifici fatti fino a questo momento. E soprattutto, causare un’altra ondata di contagi che nessuno sarà disposto a perdonare.

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