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Milano
I conti che non tornano nella cultura. Le domeniche gratis dei musei e altro
L'Accademia di Brera

di Cultural Buddy Fox

Partiamo dal presupposto che avvicinare il pubblico alla cultura è opera meritoria e necessaria e che soldi pubblici per la cultura sono sempre ben spesi. E’ indubbio che c’è bisogno di far conoscere ai cittadini l’enorme patrimonio storico e artistico che le città italiane custodiscono, e attuare piani di marketing che utilizzino anche la leva del pricing (ovvero che siano a basso costo) è ovviamente cosa buona e giusta. L’iniziativa delle domeniche gratuite al museo lascia però delle perplessità. E’ il concetto di fondo a risultare stonato: l’idea che l’ostacolo alla visita al museo sia il biglietto non riteniamo sia condivisibile. E definire gratuite delle aperture finanziate dallo Stato o dalle Amministrazioni locali suona un po’ come presa in giro, considerato che - appunto - queste Domeniche già pagate non sono gratis, ma pagate da tutti. Personalmente ritengo che tutti i musei dovrebbero essere sempre a pagamento e che, come già detto in precedenti articoli, dovrebbero essere in grado di autofinanziarsi come una qualsiasi impresa avendo al loro vertice dei manager e – magari - degli imprenditori. Ovviamente in questa logica d’impresa non è condivisibile nemmeno la politica tariffaria delle maggior parte dei musei che oltre al biglietto intero e alle solite riduzioni (finalmente è stata tolta, almeno nelle linee direttive del ministero, quella per gli over 65 e introdotta quella per gli under 30) non hanno mai previsto una politica di pricing modulare in base ad occupazione e fasce orarie, escludendo ovviamente le numerosissime gratuità.

Tutto ciò premesso, andiamo a vedere due domeniche gratuite. Con una visita alla GAM e Brera.

All’arrivo mi attendono in entrambi i casi una consistente coda. Alla GAM qualche decina di minuti mentre a Brera una mezz’ora abbondante. In fila persone di tutti i generi, età ed estrazioni sociali oltre a qualche straniero (che difficilmente tornerà a pagamento). Quando finalmente è il mio turno e varco le soglie dei Musei la scena è davvero sorprendente, una bolgia umana che gironzola senza un percorso chiaro all’interno dei saloni. A Brera anche per via della sua conformazione architettonica, si vedevano persone passare da un corridoio all’altro, fermarsi davanti ai quadri per un periodo di tempo via via più ridotto mano a mano che si avanzava nelle sale. Foto a non finire. Mistero: avranno avuto anche il tempo di guardare l’opera senza il filtro del proprio smartphone? Oppure la vera visita è iniziata una volta usciti riguardando (almeno si spera) la miriade di foto scattate?

Sotto ad una seria distanza di sicurezza dalle tele, svelte dita che forse servivano a far prendere la mira per la tanto agognata foto. Agli angoli delle sale seduti su comode sedie, svogliato personale (di guardiania) anche loro affaccendati con smartphone e tablet. L’idea di chiedere qualche informazione al personale presente, sulle opere esposte, mi è anche balenata ma dato lo stress a cui erano evidentemente sottoposti ho preferito evitare.

Aldilà della cronaca della giornata, più che altro colore, nasce una domanda. Davvero queste iniziative servono ad avvicinare, nel medio-lungo periodo, il pubblico alla cultura? A rigor di logica infatti si dovrebbe creare un flusso di ritorno che dovrebbe portare nuovi visitatori e maggiori incassi nei successi anni, ma è cosi ? Proviamo a dare un occhio ai numeri rapportando gli incassi ai visitatori. La GAM vede diminuire la quota di paganti dal 31% al 26% dei visitatori. Il Castello Sforzesco aumenta i visitatori nel 2017 rispetto al 2016 ma non i paganti che scendono dal 39% del 2016 al 37% del 2017. Il Museo del Novecento perde 20.000 visitatori ma almeno aumentano i paganti dal 24% al 29%. Il Museo di Storia Naturale incrementa di 11.000 unità i visitatori ma non gli incassi che calano sotto soglia 21,5%. E per concludere l'Archeologico che dovrebbe essere uno dei musei più fortunati data la condivisione di ingresso con la così detta Cappella Sistina di Milano (San Maurizio al Monastero Maggiore) identificato come il sito culturale più visitato a Milano (ovviamente gratuito) ha incassi per solo 32.000€!

Non sarà certo sfuggito ai più fini analisti inoltre che mediamente 7 visitatori su 10 entrano gratuitamente. Che dire? Un successo.

Per dare un po’ di sfogo al solito provincialismo italico guardiamo all’estero. E' di questi giorni la notizia che a New York, dopo 13 anni di sperimentazione, il Metropolitan Museum introduce l’obbligo di pagamento del biglietto di 25€ (prima solo volontario) perché solo il 17% dei visitatori lo pagava! Di gratuito è rimasto solo la National Gallery, il Britsh Museum e il Prado.

Pensiamo che questo Paese avrebbe davvero bisogno di una solida politica culturale che non miri unicamente a riempire di presenze i Musei ma a creare consapevolezza nel pubblico sia rispetto al patrimonio artistico e culturale sia rispetto alla sua gestione e come ha anche recentemente evidenziato Francesca Bonazzoli sul Corriere, riempiendo di contenuti questi luoghi. Vogliamo tenere le Domeniche già pagate? Va bene ma allora perché non organizzare delle visite guidate con il personale presente in sala, senza ulteriori costi? Anzitutto si istruirebbe il pubblico dando informazioni che rimarrebbero e che probabilmente non sono note ai più, inoltre si offrirebbe l’immagine di strutture attive e dinamiche con personale formato e operativo.

Al termine della visita sarebbe quindi anche interessante spiegare quanto è costata la Domenica già pagata e quindi educare le persone ad acquistare il biglietto per accedere al museo come per un qualsiasi altro servizio fruito. Questo aiuterebbe anche a creare nel pubblico un senso di responsabilità comune verso il patrimonio storico e artistico che possiamo anche considerare espressione materiale del senso di Paese, in un momento in cui il senso di appartenenza è utilizzato maggiormente per alimentare le paure più che le speranze. Questa educazione incentiverebbe anche diverse imprese ad investire nei musei per farne aziende efficienti. Oggi invece sembra quasi assurdo chiedere il pagamento di un biglietto per accedere ad un museo, dove spesso sono presenti invece caffetterie e bookshop che nessuno mai (giustamente) si sognerebbe di rendere gratuite (abbiamo già trattato qui gli effetti sui bilanci dei musei che queste politiche hanno).

La Politica culturale è qualche cosa di un po’ più complicato rispetto ad un’operazione di comunicazione ma forse è il caso di iniziare da qualche parte.

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