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I macchiaioli: la rivoluzione del “non finito” nell’800 italiano
Giovanni Fattori, "Bovi al carro"

I macchiaioli: la rivoluzione del “non finito” nell’800 italiano

Cultori della scuola di Barbizon, convinti sostenitori della pittura en plein air. Un cenacolo di amici che volevano rompere con una tradizione accademica ritenuta non più in grado di raccontare la contemporaneità. Fautori dell'utilizzo di principi scientifici e nuove tecnologie quali fondamento di un nuovo linguaggio pittorico più libero e personale.  Inizialmente incompresi ed invisi dalla critica, che interpretò la loro ricerca del "non finito" come provocatoria approssimazione. Tanto che il modo denigratorio con cui venivano appellati divenne quello con cui il loro movimento passò poi alla storia. Facile: gli impressionisti. Sbagliato. Anzi: non solo. Parliamo dei macchiaioli, il gruppo di pittori italiani costituitosi al caffè Michelangelo di Firenze nella metà dell'Ottocento che condivise - ed anzi anticipò di almeno quindici anni - molte delle caratteristiche dei celeberrimi colleghi francesi.

I macchiaioli e i rapporti con la pittura francese en plein air

Perchè dunque i nomi di Giovanni Fattori, Vincenzo Cabianca, Silvestro Lega, Telemaco Signorini, pur rilevanti a livello nazionale, non hanno avuto nella storia dell'arte il medesimo impatto di Eduard Manet, Claude Monet, Pierre Renoir, Edgar Degas? La mostra dedicata ai macchiaioli visitabile sino al 21 maggio all'Orangerie della Reggia di Monza e curata da Simona Bartolena non intende naturalmente suggerire una risposta netta al quesito ma offre diversi spunti di riflessione, incentrandosi infatti soprattutto sui legami intercorsi tra i toscani e la Francia. E sull'invenzione del plein air in particolare. Pratica che significa essenzialmente paesaggio, ovvero un genere che sino a quell'epoca era considerato decisamente minore, meno nobile, rispetto al ritratto o al soggetto di tema storico. Spazio ideale dunque per la sperimentazione. Per una pittura più coinvolta in questioni formali che  di contenuto. Per lo sfruttamento delle libertà offerte dai nuovi colori in tubetto. Per l'implementazione dello strumento principale - l'occhio del pittore - con altri nuovi mezzi quali la fotografia  o lo specchio nero, che esaltava la percezione di contrasti e chiaroscuri.

Più sottilmente, come rilevava entusiasta anche Adriano Cecioni, la pittura di paesaggio è "individuale", perché ciascuno ritrae il vero "qual è e ciascuno alla sua maniera". Dove il secondo concetto racchiude ancora inconsapevolmente il senso di tutta la ricerca dell'arte contemporanea, con il graduale abbandono del dato reale di natura a favore dell'espressione dell'universo interiore dell'artista.

Giovanni Fattori Soldato a cavallo 1860 1870 olio su tavola Museo Nazionale Scienza e Tecnologia Leonardo da Vinci MilanoGiovanni Fattori, "Soldato a cavallo"
 

"Si volle solamente per macchie, ossia per colori e per toni, ottenere gli effetti del vero"

E dunque, sulla scia dei barbizonniers, i giovani italiani si dedicano ad una osservazione diretta dal vero che li porta ad ipotizzare la macchia. Che è - questo è evidente - qualcosa di diverso dall'impressione francese. "Si volle solamente per macchie, ossia per colori e per toni, ottenere gli effetti del vero", spiegò Diego Martelli. Ed ancora Cecioni: "Una sola macchia di colore per la faccia, un'altra per i capelli, l'altra, mettiamo, per la pezzuola, un'altra per le mani e per i piedi, e così per il terreno e per il cielo". Procedimenti ben noti e consolidati in ambienti accademici, come studio dei valori luministici, cromatici e compositivi dell'opera.

Ma la rivoluzione macchiaiola ha consistito nell'elevare quella che era di fatto una fase intermedia a stadio finale del dipinto compiuto. Questo, assieme alla predilezione per temi minori e tratti dal vero, lo scandalo rappresentato dalla loro pittura. Il linguaggio macchiaiolo non si spinge tuttavia mai verso una dissoluzione compositiva. Per proseguire nel confronto con la pittura impressionista, il disegno resta più solido, i volumi  definiti, le linee permangono a rimarcare il valore del disegno. In Francia il trionfo dell'atmosfera porta ad altri esiti, assieme alla scelta di esaltare la vita elettrica e mondana della città a discapito dell'asciuttezza anche emozionale con cui i macchiaioli raccontano temi e soggetti di umile rango.

I macchiaioli e la diffidenza verso l'Impressionismo

L'insofferenza verso la crescente diffusione dello stile  francese traspare dalle parole di Telemaco Signorini del 1888 per la Domenica fiorentina: "E' incredibile quanto si abusi nel mondo artistico di questa nuova parola "impressione". Il ragazzo alle panchine dell'Accademia, va la domenica in campagna e fa un'impressione; l'impiegato amatore trova anche il momento per farne una; e una il copiatore; e un'altra il droghiere dilettante". Non a caso gli ultimi macchiaioli apprezzeranno molto di più la recuperata solidità di un Cèzanne.

Ma il commento per certi versi anche ingeneroso di Signorini tradisce forse il rammarico e la consapevolezza di fortune artistiche determinate non solo dagli specifici talenti degli interpreti - che pure furono indubbiamente notevoli per gli impressionisti di primo piano. A incidere sono infatti anche le numerose varianti di quello che oggi definiamo come sistema dell'arte. E nella fattispecie il fatto ad esempio che Manet e gli altri poterono operare a Parigi, ovvero in quella che ai tempi era l'indiscussa capitale artistica europea e mondiale. Il "place to be" per ogni persona che volesse contare nel mondo dell'arte. Lì dettano legge in fatto di gusto i critici più influenti, e operano mercanti di indiscussa abilità imprenditoriale come Paul Durand-Ruel, capaci di intercettare a livello globale una committenza facoltosa e disposta a rischiare sul nuovo. Habitat decisamente più favorevole al successo rispetto a una città Stato quale ancora era la Firenza pre-unitaria, in un nascente Paese attraversato per di più in quegli anni da guerre di indipendenza e travagli economico-politici.

Raffaello Sernesi Punta Righini – Castiglioncello Olio su tavola Collezione privata scaled 1Raffaello Sernesi, "Punta Righini – Castiglioncello"
 

Visitando il Salon parigino nel 1873 lo stesso Signorini aveva del resto così sintetizzato l'aria che tirava: "La parola d'ordine per chi vende è 'arricchiamoci' e per chi compra 'divertiamoci'".  Insomma, certe dinamiche che spesso paiono suscitare dolenti considerazioni sulla situazione nel mondo artistico contemporaneo hanno come si vede una lunga storia alle spalle. Nulla di nuovo sotto il sole.

I protagonisti della stagione macchiaiola

L'esposizione monzese non si esaurisce certo nel confronto a distanza con la Francia, che pure ne costituisce il file-rouge. Nel contesto delle sale dell'Orangerie emerge infatti il racconto delle principali personalità che animarono la stagione macchiaiola. Precursori come Serafino de Tivoli o Antonio Fontanesi, che nobilitarono modesti paesaggi agresti alla maniera dei barbizonniers, per arrivare ai principali esponenti della corrente, che comprese anche Giuseppe Abbati, Eugenio Cecconi, Odoardo Borrani, Cristiano Banti, Vito D'Ancona ed ancora a brillanti interpreti più tardi come Francesco e Luigi Gioli, Adolfo, Angiolo e Ludovico Tommasi, Niccolò Cannicci.

Signorini, Lega, Serneri: Maestri macchiaioli

Ma le figure preminenti furono i già menzionati Signorini, Fattori, Lega ai quali è giusto aggiungere anche Raffaello Sernesi, che seppe coniugare lirismo e austerità quattrocentesca nei suoi scorci paesistici e fu stroncato, ancora giovanissimo, nella terza guerra d'Indipendenza, e Vincenzo Cabianca, che con i suoi scorci di vita quotidiana di disarmante semplicità fu di fatto l'interprete più estremo e sperimentale della tecnica macchiaiola.

Lega, repubblicano ed anarchico, fu eccellente osservatore della vita delle classi sociali legate alla terra ed ai campi, senza pietismi né retorica, mantenendo sempre una posizione a sé nell'ambito dell'estetica macchiaiola, restando sempre fedele alla lezione dei puristi e dei nazareni. Signorini fu anche il principale teorico, animatore e narratore del gruppo, nonché autore di scene quotidiane in cui seppe catturare con grande efficacia le atmosfere dei luoghi da lui dipinti.

Fattori: "Io amo il realismo e ve l'ho fatto amare"

"Io amo il realismo e ve l'ho fatto amare": così Fattori ai suoi allievi nel 1891. Il più noto e celebrato dei macchiaioli divenne maestro per una generazione di più giovani artisti anche in virtù della propria profonda coerenza, che lo portò sempre a rifiutare le tendenze impressioniste e simboliste provenienti dalla Francia. Costituiscono alcuni dei momenti più alti dell'Ottocento italiano le sue opere a tema militare. Mai battaglie o momenti concitati di vita dal fronte, ma una acuta osservazione dei momenti di riposo, di quanto avveniva nelle retrovie delle vicende belliche risorgimentali. Altrettanto noto è il talento del livornese nel dipingere cavalli, buoi e animali da stalla. Gli uni e gli altri, soldati e animali, rappresentati con un linguaggio asciutto e realistico ma con sguardo umanissimo, lontano da qualsiasi epica o idealizzazione.

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