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L'alta spiritualità della “Matthäus-Passion” diretta da Philippe Herreweghe

L'alta spiritualità della “Matthäus-Passion” diretta da Philippe Herreweghe

Il vostro cronista ha dovuto far passare una notte, un giorno e poi un'altra notte prima di scrivere della “Matthäus-Passion” di Johann Sebastian Bach eseguita lunedì 25 marzo alla Scala dal Collegium Vocale Gent diretto da Philippe Herreweghe. Tempo necessario a far sedimentare l'emozione, o meglio, lo stato di trance spirituale nel quale era caduto durante e dopo l'esecuzione. Una premessa è necessaria. C'è stato un periodo, tra gli anni '60 e '70 del secolo scorso, in cui l'interpretazione di Bach e della musica “barocca” in genere ha subito una radicale evoluzione, o meglio sarebbe dire rivoluzione. Furono gli anni in cui il direttore tedesco Nicolaus Harnoncourt e il clavicembalista e organista olandese Gustav Leonhardt imposero la lettura “storica” di quella musica, utilizzando strumenti d'epoca ma al di là di questo spogliando l'esecuzione di ogni orpello, di ogni enfasi romantica, stravolgendo i cliché interpretativi consolidatisi a partire dalla Bach-Renaissance avviata da Mendelssohn a inizio Ottocento.
Harnoncourt e Leonhardt asciugarono il suono innanzi tutto riducendo gli organici orchestrali, partendo dall'assunto che Bach non poteva essere eseguito con le orchestre di oltre cento elementi nate per Wagner, Mahler e Bruckner, e con le quali si eseguivano ormai anche Mozart, Beethoven, Schubert, Schumann. Poi cambiando radicalmente le agogiche, cioè le velocità di esecuzione, e recuperando il basso continuo nella modalità asciutta e severa delle origini.
Frutto magnifico della collaborazione tra i due musicisti fu la registrazione integrale in disco delle Cantate di Bach, vinili che il vostro cronista ha consumato nei decenni, serbando vivo il ricordo di tre concerti solistici di Leonhardt negli anni '70 a Lucca, Pistoia e Perugia. Il Gustav Leonhardt che, con la sua ascetica magrezza, aveva interpretato la parte di Bach nel severissimo film “Cronaca di Anna Magdalena Bach” di Jean Marie Straub del 1967.

Questa lunga premessa era doverosa per dire che l'esecuzione di Philippe Herreweghe, uno dei migliori eredi dei due grandi musicisti del secolo scorso, ha riportato indietro il vostro cronista di 50 anni, restituendogli il sapore asciutto e scarno di questa musica, ma appunto per questo altamente spirituale.

La Scala per la prima volta ha chiamato Herreweghe

Il Collegium Vocale Gent, costituito da due orchestre e da due cori paralleli, si è avvalso di due straordinari solisti: l'Evangelista di Julian Prégardien (tenore figlio d'arte: il padre Christoph è stato uno dei più grandi interpreti di questo repertorio) e il Gesù del baritono Florian Boesch, raffinato liederista. Ma il momento musicalmente più alto di una già di per sé altissima esecuzione è stato l'”Erbarme dich, Mein Gott” (“Pietà di me, mio Dio”), cantata dallo straordinario controtenore Hugh Cutting, voce calda, piena e luminosa, che dialoga col violino solista accompagnato dal basso dell'organo e dal pizzicato di violoncello e contrabbasso in una delle melodie più struggenti mai create da mente umana. O divina? Anche a uno come il vostro cronista ogni tanto il dubbio viene. E l'”Erbarme dich” di lunedi sera ne ha messo a dura prova la scorza agnostica. Adesso capite perché ha aspettato due giorni prima di scriverne.
E comunque grazie alla Scala che per la prima volta ha chiamato sul suo palcoscenico il non più giovanissimo Herreweghe (76 anni) e lo straordinario Collegium da lui fondato nel 1970, permettendo loro di predicare bellezza al pubblico milanese.
Per la cronaca, Riccardo Chailly sul palco di proscenio e Vittorio Sgarbi in un palco vicino hanno seguito con estrema concentrazione il concerto e alla fine applaudito con grande calore.








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