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Milano
Milano, la giunta non c'è più. Ma forse non serve più...

di Ambrogio Simonetta (vedi nota in fondo)

La pirandelliana sceneggiatura della commedia “Candidato sindaco cercasi disperatamente” messa in scena anche alle ultime elezioni comunali aveva segnato il ritorno  di  una storica figura della politica milanese: l’assessore. Protagonista della politica amministrativa, il suo peso politico era diventato con l’elezione diretta del sindaco, modesto per non dire insignificante.

Dieci  sindaci, da Barinetti nel ‘900 fino a Pillitteri alla fine degli anni ’90, passando per Caldara; Filippetti, Ferrari, Cassinis, Aniasi, Tognoli furono assessori nelle giunte precedenti al loro mandato. A decine si contano gli assessori divenuti parlamentari. Ispiratori e realizzatori agli inizi del secolo scorso di politiche comunali ancor oggi caratterizzanti Milano, furono assessori personaggi come Virgilio Brocchi, Giovanni Gay, Luigi Majno, Cesare Marangoni, Ugo Guido Mondolfo, Carlo Radice Fossati, Alessandro Schiavi, Alberto Tibaldi, Claudio Treves.

In particolare per la sinistra il consiglio comunale di Milano era una vera e propria fabbrica di dirigenti ma anche il più importante luogo di approfondimento e sperimentazione concreta del riformismo. Per questo Turati fu consigliere a Palazzo Marino per ventuno anni.

Chiusa la parentesi dei podestà, nel dopoguerra la tradizione riprese senza soluzione di continuità ad esempio con Craxi che fu assessore e senza quella esperienza difficilmente avrebbe potuto ambire al ruolo di leader che ebbe. Assessori furono anche Luigi Meda, Piero Bassetti, Mario Venanzi, Nicola Abbagnano e tanti altri di cui si continuò a parlare a lungo.

Dagli anni ’60 oltre che protagonisti della vita amministrativa gli assessori furono anche la spina dorsale dei partiti, tant’è che venne coniato il termine di “Partito degli assessori”. Toccava a loro infatti mantenere il contatto con l’elettorato organizzato, le categorie, le lobby, le corporazioni, i comitati, i sindacati, e in genere tutte le rappresentanze strutturate; mentre al sindaco e al partito competeva l’elettorato d’opinione. Costruire clientele divenne spesso l’altra faccia dell’attività dell’assessore, vi furono così i paladini dei taxisti, quelli degli ambulanti, dei parrucchieri e via dicendo; la preferenza divenne l’unità di misura del potere politico.

La riforma presidenzialista dell’amministrazione inizialmente normalizzò la situazione riconducendo il potere di nomina nelle mani dei partiti e del sindaco indipendentemente dal numero di preferenze ottenuto e la crisi del ruolo dei partiti con l’affermarsi delle primarie ha reso ancor più assoluto il ruolo del sindaco. L’assessore divenne con le giunte Formentini (dove predominava il ruolo del partito), Albertini (dove predominava il ruolo del sindaco) e Moratti (dove predominava il ruolo dei clan) una figura minore, un esecutore, un tecnico. 

Con la giunta  Pisapia l’aria tornò a cambiare  e gli assessori godettero di una delega amministrativa e politica  molto ampia da parte del Sindaco, al punto che,  confortati da un giudizio sul loro operato complessivamente positivo nell’opinione pubblica, arrivarono in finale di partita ad avere un ruolo decisivo nella scelta del successore di “Giuliano”  scegliendo platealmente in contrasto con la candidatura sostenuta dal sindaco uscente.

 La ricomparsa del ruolo politico degli assessori corrispondeva ad un evidente autoridimensionamento di   Pisapia , avviata con la decisione di non ricandidarsi comunicata in largo anticipo, ma anche ad un possibile condizionamento del successore, per così dire “scelto” molto più da loro che da  Renzi. Infatti una delle mosse decisive per non cadere con il ramo che aveva ampiamente segato da sé stessa  in finale di  elezioni , la sinistra del “vade retro Sala” la piazzò lanciando lo slogan “ E’ la giunta che conta”, il cui successo fu sancito da uno dei più riusciti ed esilaranti video prodotti dai milanesissimi autori de “Il quarto segreto di Satira”.

Come prevedibile , il passaggio da candidato a sindaco del manager Beppe Sala ha immediatamente arrestato questo processo , imponendo il proprio stile di direzione sin dalla formazione della nuova Giunta. Con una sola eccezione, quella del terzo arrivato alle primarie Majorino , tutti gli assessori uscenti che avevano avuto ruolo politico autonomo non sono stati confermati o hanno rinunciato a rientrare in Giunta ( la verità non si saprà mai e forse non la sanno, come sempre, nemmeno i protagonisti stessi) , sostituiti da figure poco note sulla scena politica milanese  che si presentavano già all’insediamento con un piglio diverso dalle altrettanto poco note, all’epoca, De Cesaris o Castellano, che invece divennero in breve tempo protagoniste sui media cittadini.

L’ assessore D’Alfonso, passato alla condizione di consigliere semplice,  dedicò   l’intervista estiva di solito riservata a Dolce e Gabbana o a Pisapia e Schettino, a individuare la diversità della giunta Sala principalmente nel non essere più un luogo di dibattito ed elaborazione politica, ma un organismo strettamente “esecutivo” . La cronaca dei mesi successivi sancirà l’esattezza di questa che pareva essere più una previsione un po’ rancorosa che una valutazione politica oggettiva.

Il cambiamento della dirigenza comunale improntato alla discontinuità , declinata a volte in maniera talmente spinta da non prevedere nemmeno il passaggio di consegne formale con i predecessori, ha confermato questa tendenza alla sparizione, almeno mediatica, di qualsiasi personaggio che non fosse il sindaco- manager, impegnato con profitto a darsi un profilo ed una dimensione politica che pochi gli avrebbero pronosticato . Gli assessori sono spariti dall’orizzonte, al punto che alcuni di loro sono diventati il bersaglio preferito delle battute più salaci sentite nelle sonnolente sedute del Consiglio Comunale .  Dopo poco più di sei mesi, il cambiamento di immagine e stile di direzione politica può dirsi completato senza eccessivi scossoni, almeno riferendosi al piano politico, complice anche la sostanziale sparizione del  rivale sconfitto Parisi, le divisioni interne e l’interesse rivolto altrove dell’opposizione consiliare .

Tutto bene, dunque ? Il sindaco Sala è un uomo solo al comando, senza grandi problemi tranne uno : intorno ha nemici né potenti né fastidiosi e comunque non in grado di dargli problemi , ma ha amici e sostenitori che si sono rapidamente abituati al ruolo di ufficiali di complemento o della riserva, che si sono dimenticati o non hanno mai saputo cosa sia la battaglia politica dura .

Andrà tutto bene, specialmente se il sindaco sarà in grado di tenere da solo una prima linea oggettivamente non rovente, anche perché l’alimentazione del fuoco delle polemiche attraverso delibere e decisioni di Giunta – una costante della scorsa consiliatura – non è certo scoppiettante.

 

  • Ambrogio Simonetta è un nome collettivo che firma scritti, indicazioni ed anche polemiche dei municipalisti milanesi convinti che quel che Milano pensa oggi, l’Italia penserà domani, come diceva Salvemini. L’acronimo fra il vescovo Ambrogio ed il laico Cicco Simonetta simboleggia la sintesi fra le migliori antiche radici politiche, amministrative e culturali  sulle quali si fonda la tradizione di buon governo e di buona politica cui si ispirano . 
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