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Majorino: “Renzi? Solo una mossa di palazzo”. L’intervista di Affari

Majorino: “Renzi? Solo una mossa di palazzo”. L’intervista di Affari

Le ragioni della scissione di Renzi, che rimangono incomprensibili e forse sono solo “una questione di palazzo”. Ma attenzione: “non basta essere meno per andare d’accordo: il Pd deve rigenerarsi totalmente”. Pierfrancesco Majorino, parlamentare europeo parla ad Affaritaliani.it Milano, ammettendo un po’ nostalgia di quando era assessore alle Politiche sociali. E forse nessuna di coloro ha deciso di andare via del Pd: “Sono scelte e in bocca al lupo”.

"L’altra sera ho inviato un sms a Ivan Scalfarotto - rivela - scrivendogli: Vi prego non chiamate il partito Casa Comune perché è da tempo che ci sto lavorando come nome per il mio progetto. Trovo che sia un nome bellissimo, molto più di ‘Italia Viva’."

Come ha preso la decisione di Matteo Renzi di staccarsi dal Partito Democratico?

Mi dispiace sinceramente, perché non credo che dividendo il centrosinistra si sia più forti nel contrastare la destra. Da sempre mi piacciono i processi unitari e le grandi aggregazioni. Non a caso, con grande convinzione e senso di condivisione, ho creduto alla scommessa del Pd, quando è nato. Poi non ho partecipato allo scioglimento del ‘Ds rattristato’ (ovvero Leu, ndr.). Perché sono sempre stato convinto che sia necessario avere un grande soggetto politico: è un bisogno che sempre ci sarà e a cui dobbiamo costantemente lavorare. Guai a pensare che adesso che siamo meno e quindi andremo più d’accordo. Soprattutto ora il Pd deve rigenerarsi totalmente.

E come?

Sono convinto, e lo voglio ribadire, che Nicola Zingaretti sarà il principale protagonista di questa ricostruzione.

E’ curioso però che 6 parlamentari a Milano abbiano preso la via renziana, mentre alla base e nei consigli comunali e regionali praticamente nessuno abbia optato per la scissione...

In molti casi si è trattato di questioni legate alle singole persone e alle loro storie personali. Considero ad esempio la scelta di Gianfranco Librandi molto coerente, visto che segue una traiettoria tante volte esplicitata, anche in altre occasioni. Eugenio Comincini, per fare un altro esempio, è molto vicino da sempre a Renzi.
Secondo me fanno un errore, ma non voglio puntare il dito: ognuno faccia le sue scelte e in bocca al lupo.
Trovo però degno di nota il fatto che nessuno abbia deciso di andarsene nei consigli comunali, e che il gruppo dirigente sostanzialmente rimanga nel Pd.

Intravede dei pericoli per il Governo e per la sinistra in questa scissione?

Credo che Matteo Renzi farà una competizione sulla pelle del Governo. Questo indebolisce e rende più fragile una scommessa politica, la cui forza è tutta da verificare. Di sicuro, se fosse così, sarebbe un’occasione sprecata.

Ha provato a darsi una ragione del gesto?

Non riesco veramente a capire perché Renzi abbia deciso di andarsene. Serve forse un altro partitello? O un’altra sigla politica? Quali sono gli elementi di forte contrasto politico programmatico con il Pd? Non riesco a comprendere queste valutazioni, ma le rispetto. Viene il dubbio, come dice il sindaco Giuseppe Sala, che la questione sia riconducibile a un dato personale. Vedremo che cosa farà.

Col senno di poi, c’era da aspettarselo?

Renzi aveva fatto capire dai primi di agosto che avrebbe preso questa decisione.

Alcuni di quelli che sono andati via hanno affermato che l’unità nel Pd era diventata quasi un fine e non un mezzo. Questo, a loro avviso, aveva appiattito le differenze e aveva sacrificato la ‘visione’. E’ una critica che ha un fondo di verità?

Ci possono essere differenze programmatiche, come quelle che effettivamente esistono all’interno del Pd, e differenze tra i singoli esponenti politici. Ma il tema è uno: si cerca di affrontarle parlando nel merito? Oppure si decide che prima si fa un partito e poi si discute? Sono convinto, ad esempio, che sulla questione occupazionale noi siamo stati troppo deboli negli anni di governo, ma allora discutiamo di questo, altrimenti diventa solo davvero una questione di poltrone.In conclusione, tutta questa mi pare più che altro una questione di palazzo. Cambiamo argomento.

Parliamo della sua esperienza al Parlamento Europeo. Due aggettivi per definirla a distanza di quasi sei mesi?

E’ un’esperienza complicata ma appassionante.

Dovendo confrontarla con il precedente incarico, per ora, da quale lato penderebbe la bilancia?

E’ un’esperienza diversa. Ci sono dei momenti in cui ho fortissima nostalgia rispetto di quando facevo l’assessore alle Politiche Sociali, però devo anche dire che è entusiasmante pensare alle cose che si possono fare da qui. Per carattere, ho bisogno di vedere concretamente il risultato di quello che faccio, e da qui è più difficile, perché la concretezza non è l’immediato effetto delle nostre azioni da parlamentari. Allo stesso tempo, andando a fondo, si capisce quanto sia totalmente sbagliato dire che il lavoro a Strasburgo e Bruxelles sia tutta filosofia: dai sacchetti di plastica, al roaming, le decisioni prese dal Parlamento Europeo incidono nella vita quotidiana delle persone.

Come sta cercando di portare Milano in Europa?

Sono convinto del fatto che la bussola che deve orientarci sia una difesa strenua dell’Europa stessa, la cui esistenza non è affatto scontata. Oggi ad esempio abbiamo votato una risoluzione sulla Brexit. Una città europeista come Milano è un ottimo punto di partenza per far valere lo spirito europeo. C’è poi una componente più ambiziosa: continuare a portare Milano e l’Italia al centro delle sfide epocali che l’Europa deve affrontare, in primis l’ambiente e le migrazioni. Anche qui mi occuperò di affari sociali, cooperazione e migrazioni, quindi sicuramente l’esperienza da assessore ai servizi sociali sarà fondamentale. Tratterò, ad esempio, il tema l’assistenza alle persone deboli e anziane, il cosiddetto ‘pilastro sociale europeo’, che, come ha detto la presidente della Commmissione, Ursula von der Leyen, ha bisogno di essere messo in pratica, perché sono state spese delle risorse, ma non basta.

Il rischio di molti parlamentari europei è quello di perdere il contatto con il territorio in cui sono stati eletti. A quali iniziative ha pensato per evitarlo?

Ci sarà un comitato permanente e un ufficio permanente a Milano: sarà aperto e orientato a lavorare, per ascoltare bisogni e aspettative. E poi c’è il grande progetto di “Casa Comune” sul tema dei diritti sociali e civili, che presenteremo il 27 settembre. All’interno di questa ‘casa’ ci sarà un po’ di tutto: dai singoli, alle associazioni, a chi è impegnato nei movimenti, fino a chi è già nelle istituzioni. Vorrei poi che fosse anche una fabbrica di relazioni tra il Pd e gli ambienti esterni al Pd. Vi svelo un segreto: l’altro giorno, quando ho saputo della scissione, ho inviato un sms a Ivan Scalfarotto, scrivendogli: “Vi prego non chiamate il partito Casa Comune perché è da tempo che ci sto lavorando come nome per il mio progetto”. Trovo che sia un nome bellissimo, molto più di ‘Italia Viva’.

Nel Pd e nei grandi corpi intermedi c’è un problema di classe dirigente giovane da allevare e da mettere in campo. Ci sta lavorando?

E’ una questione che ha che fare con l’esistenza stessa del Pd. Spesso la parola ‘giovane’ è stata declinata con l’abbassare l’età media di un ministro, ma secondo me questo è un effetto, non un punto di partenza. Abbiamo un bisogno enorme di 20enni, dobbiamo riportali alla attiva e alla militanza quotidiana, anche nel Pd. Da loro dobbiamo prendere energia e idee, e restituire una scuola di formazione per la vita. Il progetto Casa comune sarà anche un laboratorio per ragazzi e ragazzi: vogliamo andare a cercarli.

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