Milano

Martin Parr e il kitsch della felicità occidentale

di Federico Ughi

In mostra al Mudec di Milano gli scatti di Martin Parr, tenero ed impietoso nel catturare l’imperfetta essenza della nostra ricerca della felicità

Martin Parr e il kitsch della felicità occidentale

C'è più crudeltà o più tenerezza nelle impietose immagini con cui Martin Parr racconta da ormai un cinquantennio il kitsch dell'Inghilterra, dell'Occidente e più in generale della nostra società dei consumi, della sovrabbondanza, dell'apparenza? Basta scrutare il volto dell'autore di questi scatti, in uno dei suoi autoritratti o nelle fotografie che di lui circolano in rete, per azzardare una risposta piuttosto precisa. Martin Parr non si sente in alcun modo superiore alle persone che rappresenta. Riconosce pienamente in se stesso gli stessi tic della civiltà che tanto ama fotografare. Risiede forse in questo la forza maggiore di un fotografo che ha le qualità di un sociologo, un antropologo, un etnologo. Non da lui proviene il giudizio che come un riflesso condizionato siamo tentati di esprimere davanti ai suoi sgraziati soggetti. Verso i quali Parr rivolge invece tutt'al più una affettuosa ironia. Dimostrandosi in questo un osservatore molto più onesto e neutrale rispetto ai tanti estimatori del suo lavoro che tra sé e sé ne compatiscono i soggetti. Senza avvedersi di essere essi stessi appartenenti alla medesima, grottesca, umanità. La nostra civiltà.

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"Short & Sweet": Parr in mostra al Mudec di Milano

La mostra "Short & Sweet" ospitata al Mudec di Milano sino al 30 giugno è portatrice di una benefica leggerezza. Il gioco è dichiarato e, dopo decenni di studi, analisi e riflessioni sulla società di massa, anche decisamente noto. Le immagini di Parr ci raggiungono dunque in modo diretto ed inequivocabile con la loro disarmante ed impertinente schiettezza. E ci fanno un po' arrossire di fronte alle distopie del nostro turismo di massa, alla goffaggine dei nostri balli, alla nostra inadeguatezza nell'inseguire i canoni della moda.

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Parr, il tempo libero e la felicità

L'autore ha spiegato a Roberta Valtorta, nell'intervista a corredo del catalogo: "Credo che il soggetto principale di tutto il mio lavoro sia il tempo libero e il modo in cui lo si impiega: hai l'opportunità di decidere cosa fare e come, e il fatto che le persone abbiano questa grande possibilità di scelta mi ha fatto pensare che sarebbe stato importante occuparmene". Ma parlare di come il mondo occidentale occupa il proprio tempo libero (dal lavoro, dalle incombenze, dalle malattie) significa essenzialmente una cosa: interrogarsi su cosa intendiamo per felicità e sui nostri modi di perseguirla.  Lo raccontano i corpi protagonisti della sezione intitolata "Everybody dance now", serie di scatti dedicati alla danza che abbracciano un arco di tempo trentennale, dal 1986 al 2018.

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Lo descrivono ancora più plasticamente le immagini di "Life's a beach": noi e la spiaggia. Viaggiare ("Small world") è uno degli altri grandi miti del nostro tempo, che ha trasformato una esperienza un tempo elitaria, ed essenzialmente interiore e spirituale, in una serie surreale di gesti e riti collettivi sempre uguali. Le foto di gruppo davanti agli antichi monumenti, le pose in illusione prospettica con la torre di Pisa, la nostra stonata normalità quando ci troviamo catapultati in località remote ed aliene.

Parr, il linguaggio della pubblicità applicato alla common people

Naturalmente Parr ci mette del suo nell'amplificare il costante senso di straniamento. Ed anche in questo risiede il suo talento di fotografo. Che ha mutuato dal mondo della pubblicità e della moda i colori sgargianti e l'estetica glamour. Per accentuare il più possibile il contrasto con una realtà che disvela la sua intima natura norm-core. Una naturale predisposizione umana non per questo meno pulsante, viva, esuberante. In altre occasioni ("Common sense"), l'autore ottiene il medesimo risultato partendo da una scelta estetica teoricamente opposta, ovvero stampando le sue immagini con una macchina a buon mercato. Come a suggerire che i confini tra "alto" e "basso" sono decisamente più labili ed arbitrari di quanto ci viene raccontato. E quindi ben venga l’irruzione del kitsch a smascherare e prendersi beffe dell’inganno.

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"The last resort": una lezione di resilienza e dignità

Sarà infine per la distanza temporale che ormai ci separa da quando furono realizzate, e che riveste tutto di una nostalgica patina vintage, ma sono le fotografie della serie "The last resort", realizzata tra il 1982 ed il 1985, a sedimentarsi nel modo più vivido nell’immaginazione dell’osservatore. Teatro del carosello umano rappresentato da Parr è la locanità balneare di New Brighton, nel nord dell’Inghilterra. Uno stabilimento ormai già in stato di decadimento, ma ancora affollato dalla working class. Le distese di cemento al posto della sabbia, il mare grigio, la spazzatura, le macchine arrugginite creano un contrasto stridente con l’evidente anelito di donne, uomini e bambini a vivere momenti spensierati. Vouyerismo di cattivo gusto? Parr osserva. E da osservatore non ne fa una questione di classe sociale. Più interessato alla contraddizione esistenziale (e quasi filosofica) rappresentata da queste persone comuni che coltivano la felicità apparentemente ignare del degrado circostante. Una lezione di resilienza. E a suo modo anche di dignità. 

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