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Milano, la città dove i bimbi non mangiano. In periferia laureati 7 volte meno

Di Eleonora Aragona per Affaritaliani.it Milano

Milano è la città dove si guadagna di più, è tra le più visitate in Europa, è la più smart. Milano allo stesso tempo è anche la settima città più cara al mondo, è la città delle contraddizioni e delle disparità, è la fotografia dello squilibrio sociale. A testimoniare questo altro volto della locomotiva d’Italia un dato più volte citato dal presidente della Fondazione Cariplo, Giuseppe Guzzetti, sarebbero 20 mila i bambini che soffrono di malnutrizione in città. I dati cui fa riferimento il presidente Guzzetti sono stati ricavati dalla Fondazione Cariplo incrociando le ricerche del Comune e della Caritas ambrosiana. Ma chi sono questi bambini? Dove vivono? Domande a cui è difficile dare una risposta precisa, però si può iniziare a delineare alcuni tratti rivolgendosi alle associazioni che operano sul territorio milanese. Il responsabile dei progetti Area povertà per Fondazione L’Albero della Vita, Giuseppe Di Rienzo, fornisce alcuni primi dettagli importanti per approfondire la questione malnutrizione infantile. La fondazione si occupa di dare sostegno alle famiglie che vivono nelle periferie delle città italiane. Su Milano operano dei pressi di Cimiano da 4 anni. Come ci spiega Di Rienzo “Dal 2014 ci interessiamo delle famiglie che vivono in quel territorio. È una zona ad alta presenza di migranti e la maggior parte delle famiglie che seguiamo sono straniere. In questi anni di attività abbiamo supportato 150 famiglie con minori fino ai 12 anni”.

La quasi totalità di queste famiglie, stando alle informazioni della fondazione, non riesce a consumare tre pasti al giorno. E sono veramente pochi quelli che riescono a consumare durante i pasti carne o pesce. Il pesce, nello specifico, è considerato un bene di lusso. I dati precisi, estrapolati dalle schede conoscitive compilate dai beneficiari dei progetti di sostegno, indicano che solo il 25% delle famiglie riesce a portare a tavola carne o pesce una volta al giorno.

Il consumo di frutta fresca ogni giorno si attesta intorno al 30/35%. “La deprivazione alimentare crea anche dei problemi di relazione per i minori” - sottolinea De Rienzo – “I minori non possono invitare un altro bambino a fare merenda, non si organizzano per studiare con i coetanei. Subentra il tema della vergogna, soprattutto da parte dell’adulto che si troverebbe nell’impossibilità di offrire qualcosa”.

Precarietà e un unico stipendio sono la norma tra queste famiglie stando a quanto ci racconta Di Rienzo: “Si tratta per lo più di famiglie monoreddito, i genitori hanno lavori precari e a volte sono anche lavoratori in nero”. Milano non è neanche il caso peggiore. Secondo un’analisi condotta da Human Foundation per Albero della Vita sulle famiglie beneficiarie del programma Varcare La Soglia nelle città di Milano e a Palermo, la città del Sud Italia ha registrato delle percentuali ancora più negative. Le informazioni sono state raccolte durante i colloqui individuali dagli educatori del servizio con la supervisione di Human Foundation con 40 famiglie (20 a Milano e 20 a Palermo), tra aprile 2018 e settembre 2018.

Bene, a Palermo la percentuale di famiglie che porta carne o pesce in tavola una volta al giorno è risultata essere il 5%, quella che consuma frutta fresca ha raggiunto l’11%, e appena il 32% ha dichiarato di poter invitare gli amici per studiare e mangiare insieme.

Ciò che però suscita più preoccupazione a Milano sono le nuove povertà. “La Fondazione è attiva a Palermo dal 2014 e opera a Brancaccio, uno dei quartieri più periferici e disagiati della città”, ci spiega l’addetta stampa Simona Denti. “Lì, operiamo con famiglie nate già in un contesto molto complesso. A Milano ci sono capitati beneficiari che abitano nel centro della città, sono beneficiari dei programmi che sono piombati nella povertà. Magari non hanno un problema abitativo perché possiedono una casa di proprietà ma non riescono più a pagare le utenze”.

In entrambe le realtà comunque emerge con forza come la povertà materiale impedisca anche la costruzione di relazioni sociali positive e possa influire anche sul futuro dei minori. La povertà educativa è infatti un’altra faccia di quanto analizzato finora. L’istruzione e l’educazione di base fanno parte anche loro dei SDGs. Come per il problema della malnutrizione, anche il tema della povertà educativa sta toccando da vicino l’Italia e l’Europa. Meno di un terzo della popolazione italiana, sosteneva Tullio De Mauro, linguista nonché ex ministro della pubblica istruzione, avrebbe i livelli di comprensione della scrittura e del calcolo necessari per orientarsi nella vita di una società moderna.

A confermare questo dato l’indagine PIAAC, Programme for International Assessment of Adult Competencies, che riporta per decine di paesi del mondo i livelli di alfabetizzazione in cinque gruppi. Secondo questa ricerca in Italia il 70% della popolazione si colloca sotto i due livelli più bassi. I risultati di questo indicatore mostrano anche un altro dato che dovrebbe interessare a chi governa. Sono state rilevate delle differenze importanti nell’acquisizione delle competenze scolastiche dei minori a seconda del quartiere di residenza. A Napoli, a Scampia la percentuale dei 15-52enni senza diploma è del 20%, mentre al Vomero è del 2%. A Roma Nord i laureati superano il 42%, mentre nelle periferie della capitale sono meno del 10%. A Palermo la differenza è dell’ordine del 23% di laureati per i giovani della zona Palazzo Reale-Monte di Pietà, mentre scende al 2% a Malaspina e Palagonia.

E Milano. Nessuna eccezione per la città più smart, a Pagano, Magenta e San Vittore i laureati sono 7 volte di più che a Quarto Oggiaro (che ha registrato solo il 7,6% di laureati). Una disparità evidente, un’altra differenza tra il centro e la periferia della città che conduce l’Italia.

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