Milano, Minniti: "Voglio un Pd affamato e capace di arrabbiarsi di fronte alle ingiustizie" - Affaritaliani.it

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Milano, Minniti: "Voglio un Pd affamato e capace di arrabbiarsi di fronte alle ingiustizie"

Il presidente del Municipio 6 Santo Minniti a tutto campo su periferie, urbanistica, sociale, mobilità: "L’unità è preziosa ma è la ricchezza delle posizioni che ci rende unici". L'intervista

di Federico Ughi

Milano, Minniti: "Voglio un Pd affamato e capace di arrabbiarsi di fronte alle ingiustizie"

Milano in questi giorni celebra anche se stessa con il grande rito del Salone e del Fuorisalone. Ma, come riconosciuto dallo stesso sindaco Beppe Sala alla vigilia dell'evento, "forse non sta vivendo i momenti di brillantezza del passato". A due anni dalle elezioni comunali, diversi i campanelli d'allarme per il centrosinistra. Le vicende dell'urbanistica sono una ferita ancora aperta. La cui profondità non è forse ancora nemmeno del tutto chiara. Ma numerosi altri sono i fronti caldi. Il caro-casa, per restare a questioni edilizie. E poi la vicenda di Ramy Elgaml ha fortemente riportato alla ribalta il tema delle periferie e dell'integrazione degli italiani immigrati di prima e seconda generazione.

"Coraggio, protagonismo e una visione maggiormente metropolitana" è quanto chiede alla politica, ed in particolare al suo partito, il Pd, Santo Minniti. Presidente del municipio 6 che due anni fa si propose come candidato alternativo ad Alessandro Capelli per la segretaria metropolitana dei dem. Proprio "Chiamiamola Coraggio" è il nome dell'iniziativa che promuove assieme ad altri per il 13 aprile, dalle 10 allo Scalo Porta Genova. Per parlare di Milano, delle sue sfide, della necessità di risposte che escano dagli schemi del recente passato. Ci saranno don Claudio Burgio e diverse altre figure impegnate quotidianamente nel confronto con la Milano reale. "Ci sono molte questioni aperte, per rispondere alle quali è necessario un rinnovato protagonismo della politica. E il Pd è  chiamato a impostare in modo corretto le risposte ai bisogni che la città esprime, con una più forte regia politica ed una visione più metropolitana". L'intervista

Minniti, lei chiede più cazzimma al Pd, ma il segretario Capelli ha più volte fatto appello alla necessità di un partito gentile. Come si coniugano le due visioni?

Dal congresso metropolitano di due anni fa lo scambio con il segretario Alessandro Capelli è sempre stato proficuo. E capisco la sua vocazione alla gentilezza in un mondo così incattivito. Ma vengo anche da nove anni da amministratore sul territorio e avverto il bisogno di tutela e protezione che in un mondo così caotico i cittadini consegnano alle istituzioni, chiedendo risposte. io penso che i nostri elettori oggi sentano il bisogno di un partito capace di arrabbiarsi di fronte alle ingiustizie sociali. Un partito affamato di realtà e giustizia e con tanta voglia di proporre soluzioni ai cittadini, anche a costo di apparire netti, duri se serve, mettendo al centro ciò che i cittadini vivono ogni giorno. Per questo credo che il dibattito nel PD sia necessario e non vada limitato, o guardato con sospetto, cercando di fare la radiografia per capire se una proposta o una iniziativa sia più di ispirazione riformista o di sinistra, anziché  chiedersi se può essere generativa per il PD e utile per la città. L’unità è preziosa ma è  la ricchezza delle posizioni che ci rende unici, per questo non va limitata ma portata a sintesi: discutere di mobilità, urbanistica e sociale ci aiuta a essere più protagonisti e a trovare soluzioni.

In questo momento uno degli ambiti in cui maggiore appare il bisogno di risposte è la questione urbanistica e più in generale della casa. Quale è la sua posizione a riguardo?

Tutte le grandi metropoli vivono problemi simili, ma è indubbio che serva un maggior protagonismo delle istituzioni per offrire case dignitose ai lavoratori.  Parlo di tutte le istituzioni, perché Milano da sola non basta: serve un impegno di Regione e del Governo affinché finanza, costruttori e operatori non profit lavorino insieme per questo scopo. Il PD ha promosso un metodo e un processo a livello locale, ma al Comune mancano risorse e poteri per dare regole capaci di indirizzare (non certo bloccare) lo sviluppo rendendolo equo e condiviso.

Nel frattempo io credo che ci siano due priorità: la prima è pretendere chiarezza nelle leggi. Il Salvamilano è naufragato, ma resta l'incertezza normativa, ed è nella discrezionalità che si annida il rischio di corruzione. E poi bisogna affrancarsi il più possibile dalla “dipendenza da oneri di urbanizzazione”, che è dipendenza dagli sviluppi immobiliari, a cui la città è stata costretta dai continui tagli del Governo.  Penso ad operazioni straordinarie a partire dalle società partecipate, per liberare risorse e promuovere politiche pubbliche sull’abitare.

Quindi trovare più fondi per le case popolari?

Non solo. C'è anche un tema di visione e un tema di gestione. Sulla visione, sarebbe giusta la destinazione “automatica” di una quota di oneri di urbanizzazione dei vari sviluppi immobiliari per ristrutturare le case popolari, in modo che ogni intervento di edilizia privata ne finanzi uno di edilizia pubblica. E poi regole, limiti e tariffe più stringenti su studentati ed edilizia convenzionata, perché siano accessibili e arrivino a chi ha effettivo bisogno. Sulla gestione invece metto sul tavolo una questione spinosa, su cui serve che la politica si pronunci: con il disastro di Aler che non riqualifica e non assegna migliaia di alloggi, e tiene quelli che ha in condizioni fatiscenti, ha senso sgomberare ancora nuclei familiari fragili che devono comunque essere trasferiti (in comunità o in altri alloggi), lasciando spesso vuoti (o rioccupati) quegli appartamenti? Per essere netti: la sanatoria per i nuclei fragili, in assenza di piani di ristrutturazione, è una cosa di cui si può discutere o è un tabù anche per il centrosinistra? Non vuol dire essere a favore delle occupazioni (e anzi va accelerato lo sgombero di chi devasta e delinque), vuol dire essere pragmatici e interrompere il circolo vizioso degli sgomberi seguiti da nuove occupazioni.

Con uno sguardo anche alle elezioni, il sindaco Sala ha detto che spetta al Pd il compito di tenere insieme la coalizione. E' d'accordo?

Il primo compito del PD è promuovere una città più giusta con più opportunità e lavoro. Rifondare un’idea di principi e una visione di sviluppo e dare un’identità e un’anima alle scelte che facciamo. La tenuta della coalizione è la naturale conseguenza di questo processo. Perché chi fa politica non cerca contenitori o recinti, ma una direzione e un senso. Abbiamo radici solide nel lavoro di Giuliano Pisapia e di Beppe Sala, due grandi sindaci che hanno reso la città più sostenibile e aperta al Mondo. A fianco alla visione, serve aiutare l’amministrazione a cogliere e rispondere alle singole difficoltà che i cittadini vivono. Ad esempio, tornando alla questione dello sviluppo urbanistico, serve tenere insieme la necessità di dare una risposta a quei cittadini che hanno acquistato casa e che ora per le note vicende non possono entrarvi, con la necessità di sviluppare una visione futura sullo sviluppo senza la zavorra del passato, riavviando le operazioni di rigenerazione urbana con lo sguardo alla sostenibilità ambientale ed economica.

Quale è la sua idea a riguardo?

La esemplifico molto: Milano attrae molto da fuori ma lo spazio fisico è limitato. E con la presenza di grandi fondi di investimento, in quel poco spazio si riversano tanti capitali. Tradotto: più crescono gli investimenti al mq, più salgono I prezzi al metro quadro. La soluzione non è certo rendere peggiore la città perchè attragga meno, e neanche aumentare le superfici edificabili. Serve allargare il campo da gioco e dare una risposta di dimensione metropolitana. Sia per ridurre la pressione abitativa in città, sia per sviluppare l'area metropolitana stessa. Ma per fare questo, è fondamentale una regia politica.

Come, in concreto?

Creando connessioni. Se un turnista può permettersi di vivere ad Abbiategrasso e lavorare a Milano perchè ha mezzi efficienti, la pressione su Milano diminuisce. Nell'idea che abbiamo in mente, ATM dovrebbe essere una partecipata della città metropolitana, non del Comune di Milano. Non si può fare domani, ma dovrebbe essere la nostra visione. Aggiungo anche l'importanza della distribuzione delle funzioni: non è possibile pensare di concentrare tutto a Milano. Anche determinate funzioni attrattive devono essere pensate con una regia metropolitana, che sappia tenere il filo della discussione tra i corpi intermedi della società, le istituzioni e la politica. E' necessario avere consapevolezza che i Comuni da soli hanno strumenti ed armi limitati, non può essere tutto demandato a loro. Persino una città come Milano, che ha fatto e continua a fare molto - penso a Reinventing Cities, al Piano Casa, alla riqualificazione dell'ex Macello - da sola non riesce a stare al passo con la pressione degli investimenti. Ci vuole un più ampio sforzo collettivo. A partire dal Pd.

E le periferie?

Devono essere il nostro pensiero fisso. Intanto chiamandole col loro nome: Periferie. Perché alcuni quartieri lo sono. C’è un grande lavoro da fare nel coinvolgimento e nell'integrazione dei cittadini di quelle zone. Specie di quei ragazzi di prima e di seconda generazione, di cui sembra che ci si accorga solo quando succedono fatti come quello che ha coinvolto Ramy Elgaml. Serve invece un lavoro costante di ascolto e di presenza. E di rappresentanza, anche politica. Con la consapevolezza che ci sono fasce della popolazione che non hanno nulla da perdere. Ragazze e ragazzi senza legami con la nostra comunità, spesso con nuclei famigliari fragili alle spalle, senza una bussola rispetto a cosa è giusto e sbagliato. Il senso di ingiustizia percepita da loro si traduce in una percezione di insicurezza per tutti gli altri cittadini. Ma condivido la provocazione di don Burgio, quando dice che "non esistono ragazzi cattivi". Non si tratta di buonismo. Io ci leggo invece un'accusa: “non ve la cavate accusando loro”, come spesso fa la destra. E se il problema non sono loro, allora siamo noi. Un sistema di norme e burocrazia che non perde occasione di trattarli da stranieri salvo poi stupirsi, o addirittura indignarsi, se non si comportano “come noi”.

 








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