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Milano
Milano: Pd in crisi anche nel capoluogo. Solo i due Pier possono salvarlo
Pierfrancesco Majorino e Pierfrancesco Maran

di Fabio Massa

MILANESI DI SERIE B - E così, tutto è andato come doveva andare. E, verosimilmente, come andrà fin quando non finirà la luna di miele con gli italiani. Che non è prevedibile quanto durerà, con Matteo Salvini. L'altro Matteo, ovvero Renzi, è riuscito a bruciare tutto in tre anni. Anzi, due. Dal grande amore al divorzio con colpa. Ma a Nord, in Lombardia, la luna di miele si è consumata prima, con piccoli e grandi strappi. Sesto San Giovanni che cade. Torino, addio. Milano vinta con fatica, tanto che Beppe Sala ieri (oggi dice che è "l'anti-Salvini") spiegava che la marea di centrodestra montava montava già nel 2016, e quanta fatica quanta fatica.

Ora cade anche Cinisello Balsamo. Che non è un comunello di periferia, intendiamoci. C'è dentro abbastanza gente da farci provincia, in altre realtà d'Italia. Ma la cosa che più deve far riflettere è che a Cinisello sono milanesi. Come sono milanesi a Sesto San Giovanni. E sono milanesi pure a Rozzano, dove prevedibilmente - se la destra o il movimento 5 stelle candideranno qualcuno di lontanamente decente - ci sarà un ribaltone l'anno prossimo. Sono milanesi a Opera, dove ha vinto ancora una volta il leghista Fusco pure da vicesindaco. Tutte queste città una volta erano comuni singoli, staccati, quattro cascine buttate in chilometri di risaia. Negli anni sono diventate periferie, che militano con grande orgoglio in una serie difficilissima: non quella di serie A a cui appartiene Milano, il cui sindaco può parlare con ministri e affini e confrontarsi con i premier. Ma quella di sindaci a volte straordinari a volte mediocri che dipendono e vivono in simbiosi e sudditanza rispetto a Milano. Subiscono, subiscono tutto: se vengono fatte le strisce gialle per i residenti di Milano, non possono più parcheggiare. Se fanno i parcheggi di interscambio costosi, loro pagano. Se aumenta (e aumenta) il biglietto di Atm, loro pagano. Se Atm e Trenord non si integrano, loro subiscono. Se Milano blocca il traffico, loro non sanno come andare al lavoro. Una volta avevano la Provincia di Milano. Adesso c'è una città metropolitana che guarda caso è guidata dallo stesso sindaco di Milano, ed è pure moribonda. Politicamente fredda da rigor mortis. Eppure, come si diceva, sono milanesi. Perché non c'è differenza tra un abitante di Cinisello e uno di Quarto Oggiaro, o dello Stadera, o di Baggio. Non c'è differenza.

AVAMPOSTO O ISOLA - Uno che la politica la sa fare, peraltro ottimamente, ovvero l'assessore al Welfare Pierfrancesco Majorino, parlando dal palco di "Ricetta Milano", la tavolata multietnica organizzata sabato, ha detto che Milano non è un'isola, ma un avamposto. Fa il paio con la fortunata (in tutti i sensi) frase di Pierfrancesco Maran ai palazzinari stupidi di Roma: "Qui non si usa così". Mettiamo insieme e mixiamo: Milano vive sull'idea che è diversa. Il che è anche vero, intendiamoci. A Milano le cose girano, funzionano. Per questo se Maurizio Martina e Matteo Renzi non dormissero sonni profondi farebbero un bel passo indietro e proporrebbero a Pierfrancesco&Pierfrancesco di provare a prendersi il partito moribondo per farlo tornare in vita. Immaginatevi la coppia P&P al comando del partito: uno prudente, l'altro spregiudicato. Uno di sinistra sinistra, l'altro che andava alla Leopolda nel massimo understatement come suo costume. Sogni, fantasie. Comunque, il concetto che Milano è diversa è quello che sta sorreggendo e in un certo senso ringalluzzendo la sinistra di Milano. "Noi siamo diversi quindi resistiamo", la tesi. E anche: "Milano è diversa perché ci siamo noi". Perché, detta come i tifosi di calcio: "Milano siamo noi". Peccato che sia proprio uno slogan. Quindi idiota. Milano siamo noi che cosa vuol dire? Che cosa vuol dire ricetta Milano? Milano siamo noi fino alla cerchia della 90/91? O anche fuori? O anche fuori, entro le "mura" determinate dalle tangenziali? Quelli no? O quelli sì? E poi: Milano è Beppe Sala, ovviamente. E anche Pierfrancesco Majorino, ovviamente. E anche Pierfrancesco Maran, ovviamente. Ma è anche Matteo Salvini. Pure lui è nato a Milano e ha fatto il consigliere comunale a Milano. Pure Stefano Buffagni, l'uomo delle nomine del Movimento 5 Stelle, di Bresso, è milanese. E anche Alessandro Morelli, l'uomo che si occupa delle tv per la Lega, è milanese della Barona. E lo sono gli esponenti di Forza Italia. Forse che loro non sono milanesi? Non fanno forse parte del Modello Milano, quello che è nato nelle sindacature Albertini-Moratti, che ha visto il suo sviluppo nella sindacatura Pisapia (anche lui, milanese: e politicamente scomparso), e la sua attualità nella sindacatura Sala?

PRESAGI DI SCONFITTA - La tesi è che Milano è diversa. Che a Milano le cose si fanno diversamente. Ed è vero. Ma a Milano è diversa anche la destra. Anche la Lega ha toni diversi, e visioni diverse. Guardate Attilio Fontana, che è di Varese, ma che ha il suo ufficio a due passi dalla Stazione Centrale, a Palazzo Lombardia. Vi sembra un pericoloso fascista? Non credo proprio. La tesi della sinistra milanese è che Milano resiste, la sinistra a Milano resiste. C'è un solo piccolo problema: non c'è la controprova del voto. Non si vota, a Milano. E forse la fortuna è tutta qui. Se i cicli della politica continueranno ad essere così rapidi da ingoiarsi Salvini&DiMaio nel giro di due anni, la sinistra potrà mantenere Milano senza grossi problemi. Altrimenti (adesso, subito, ora), dovrà mettere in campo un'idea nazionale per salvare la Capitale Morale. Un esercizio che ha sempre accuratamente evitato di fare. Niente proposte nazionali. Gli altri, invece, da Milano hanno lanciato un vicepremier. A sinistra, al massimo, un ministro dell'agricoltura, peraltro di Bergamo.

fabio.massa@affaritaliani.it

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