Milano
Paradossi e dilemmi di Milano
Milano "place to be" o luogo invivibile e respingente? In vista dell'appuntamento elettorale molte sono le scelte che la politica deve fare. Serve il coinvolgimento di protagonisti coerenti ed adeguati per un grande progetto civico. Il commento

Paradossi e dilemmi di Milano
Un grande progetto e civico e riformista per Milano con vista sulle prossime amministrative. Riprende il dibattito avviato dalle colonne di Affaritaliani.it da da Piervito Antoniazzi di Demos. E che ha visto già intervenire Massimo Ferlini, Associazione Remade in Italy, e Anna Catasta, Centro Studi Caldara, Mauro Vaiani, segretario di Autonomie e Ambiente (rete italiana referente di Alleanza Libera Europea), Giacomo D'Alfonso (Circolo Caldara), Enrico Maria Pedrelli (Adesso!). Il nuovo contributo porta la firma di Beppe Merlo, presidente Consiglio Patto Civico.
Il paradosso di Milano è l’essere internazionalmente considerata come un posto da doverci ‘essere’, per opposto, il posto viene narrato come invivibile in cui appare sempre più difficile poter studiare, lavorare vivere in tranquillità. Mentre gli elogi sembrano scivolare sull’acqua, come da fatto scontato, le contrapposizioni paiono poter godere di più vento nelle vele. E’ del tutto evidente che ai milanesi, almeno a quelli interessati al futuro della loro città e delle generazioni che seguiranno, la Milano post olimpica, si troverà di fronte ad una serie consequenziale di scelte.
Scelte da fare, in uno scenario politico in cui le espressioni locali appaiono sempre più come della nazionale, avendo smarrito o abbandonato la vocazione di atelier per progetti di innovazione e di creazione di classe dirigente. A far lievitare il paradosso sono i tribuni di quel variegato e vasto scenario degli stakeholder, milanesi, fenomeno in costante crescita, che facilitato dalla semplicità dell’accesso mediatico tende trasformare legittime aspirazioni in diritti. E’ quanto paventato dal sociologo Zygmunt Bauman quale conseguenza della liquidità sociale, un fenomeno destinato travalicare anche le speculazioni da marcatura dei territori di lobby o corporazioni. Nel recente passato, i partiti locali riuscivano a farne sintesi ‘offrendosi da hosting elettorale, poi la responsabilità dell’amministrare e del dover decidere nell’angustia: di tempi, regole, imposte a prescindere dalle diversità dei contesti nonché i limiti delle risorse impone la verifica di sostenibilità d’impatto imponendo la posposizione del particolare all’interesse generale. Le reazioni, come da antica prassi diventa la radicalizzazione della pretesa e la sua declinazione nella rigidità binaria.
Il metodo ambrosiano si è smarrito
Lo smarrimento della identità politica riferita a Milano, quella del così detto Metodo Ambrosiano, che Giorgio Strehler considerava come nocciolo duro dell’identità di una comunità. Il dialetto metaforico di Milano si trova di fronte a un bivio: o si rivitalizza a tutela della propria specificità e dei numerosi primati conseguiti dall’essere diventata metropoli globale o è destinato a trasformarsi in strumento da retorica. La scomparsa dell’ identità comporta l’arretramento e la modifica della propria vocazione identitaria.
Se la scelta è la difesa della continuità identitaria, diventa evidente il domandarsi: chi sono e come fare per rivitalizzarla. La vocazione tutta ambrosiana del saper intraprendere per dover innovare e la missione del voler competere sono sintetizzate nella storia politica della città. I partiti riformisti fungevano da interpreti della comunità, mediatori dei loro impulsi e oppositori di tentazioni corporative. Una identità coerente che oggi si potrebbe definire come propedeutica alla attrattività, il ‘the place to be’, con cui viene rappresentata l’immagine di Milano. A fianco delle due vocazioni ve ne è una terza altrettanto determinante alla qualificazione identitaria, nel contesto forse ancor più strategica per la comunità, quella della solidarietà, della cui eccellenza Milano è una leader.
La repentina modifica degli scenari nazionali e globali, l’incapacità o la difficoltà di esercitarne il controllo, ha priorità di ricadute nelle aree urbane, alterandone il funzionamento degli equilibri sociali che le caratterizzano. La doppia inflazione, endogena ed esogena, collide sulla sostenibilità e sulla disponibilità di molti servizi primari della vita della comunità condizionando l’inglesizzato ‘life’ in termini di sostenibilità. La sfida per una comunità come la nostra diventa il superamento di frontiere tra ‘ to be and to live’ , in quanto il sacrificio di uno dei due must si trasformerebbe nella sconfitta dell’identità milanese, sconfitta che ha non pochi influencer.
Occorre un salto di visione per la governance, la Milano del futuro è obbligata a proiettare il proprio presente alle future generazioni. Questo è il compito per la pubblica amministrazione, per il cui buon fine, le protesi politiche dei partiti nazionali stanno dimostrando di aver esaurito i bonus per porsi in termini di autosufficienza. ‘TO be and for to Live’ è progetto per sua natura glocale e quindi, in termini di identità milanese, sfidante e contrastante di quello sovranista.
Per un atelier virtuale di visioni sostenibili e le professionalità della classe dirigente
L’ambiziosa strategicità del progetto impone il coinvolgimento di protagonisti coerenti ed adeguati, gli stakeholder glocali, di coloro che hanno concorso e vogliono continuare a concorrere per conservare i primati che caratterizzano il successo identitario della città. La premessa per il buon fine del progetto è dare vita ad un atelier virtuale non solo per le visioni sostenibili, ma anche per l’individuazione e proposizione delle professionalità necessarie della classe dirigente. La politica non può più considerarsi una franchigia da competenze e professionalità che non possono limitarsi alla navigazione tra le burocrazie.
Un grande progetto civico, sollecitato dal sindaco in prima persona, in funzione di lievito, nonché di facilitatore disinteressato. Nella complessità della congiuntura attuale, è forse il ‘testimone’ migliore che il Sindaco e l’amministrazione di Milano possono lasciare a chi , identificandosi nel progetto, si propone per subentrare. Un percorso civico sia per ricondurre la comunità all’orgoglio di un rinnovato senso civico di appartenenza, da poter anteporre alle identità volubili delle declinazioni sovraniste. Il centro sinistra è tornato al governo della città grazie al contributo determinante dello scenario civico impegnato ad evitare che si butti via il bambino con l’acqua sporca, la sempre attuale metafora di chi vuole sostituire il particolare del proprio identitario a quello della comunità.
Beppe Merlo
Presidente Consiglio Patto Civico