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Milano
Per una Grande Milano che sia anche faro politico e culturale
Milano

di Silvia Davite

Milano gigante economico, nano politico” è il titolo della sessione organizzata da Confedilizia Piacenza insieme a Il Foglio nell’ambito della due giorni di riflessioni sul pensiero liberale che si è tenuta lo scorso week end nella città emiliana.

La tesi dei relatori Miglio, Presidente di Polis, l’Ente di ricerca di Regione Lombardia e Boffi Direttore di Tempi è che Milano non possa essere distinta dall’intera Regione nonostante le differenze morfologiche, economiche e sociali che ne attraversano le diverse province; che questo sia molto ben rappresentato dallo spirito di collaborazione istituzionale tra il Comune e la Regione che nel corso degli anni, dal Passante Ferroviario fino ad Expo e City Life, ha permesso di innovare sul piano urbanistico, e dunque economico sociale, il profilo urbano.

Altra tesi proposta è che Milano nel suo sviluppo, storico e culturale, anche nel rapporto con la fede, è una città che tendenzialmente guarda alle opere pratiche, che non assegna patenti moralistiche, che è capace di rispettare le sensibilità e i punti di vista di tutti dentro accordi di mediazione visti come massima espressione del valore del dialogo; una città che parte dalle energie delle persone e delle comunità per individuare forme di organizzazione sociale, economica e politica che rispondano alle sfide dei tempi.

Tuttavia la tesi principale di entrambi i relatori è che Milano, nonostante sia indiscutibilmente la capitale economica del Paese, non riesca a fare egemonia culturale. E questo a prescindere dal fatto che si possano elencare diverse figure politiche di milanesi che hanno guidato l’Italia da Roma (i relatori citano Craxi, Berlusconi, Monti - varesino ma milanese d’adozione - Salvini).

Devo dire che possiedo una mia personalissima idea a riguardo, nel senso che penso che Milano rappresenti uno stimolo senza che abbia necessità di cristallizzare il proprio ruolo: proprio per il carattere che la città ha, la sua azione non è espressione di narcisismo ma di pervasività. Milano detta il passo ma lascia alle aree del Paese organizzarsi secondo quelle che sono le possibilità reali, il contesto, anche storico, da cui muove la vicenda italiane. Se Milano è quella che i relatori pensano che sia, non impone un modello ideale agli altri: né col regionalismo e nemmeno nel rapporto pubblico privato (in tal senso si pensi solo alle innovazioni recenti nella Regione Marche per lo sviluppo delle imprese, finanche nel Reale Estate).

Milano si muove, questo sì, e inevitabilmente l’Italia ne fa i conti, questo pure.

Tuttavia, faccio notare intervenendo, non si può dormire sugli allori.

Se Milano e la Lombardia sono da stimolo per il Paese, difficilmente possono accodarsi al  regionalismo differenziato proposto dal Veneto, poiché esso non svolge una funzione nazionale per favorire la crescita. Soprattutto in un momento storico in cui esiste una Regione di traino del Mezzogiorno, la Campania: in termini percentuali abbiamo letto un PIL più alto della Lombardia; sempre in termini percentuali, abbiamo assistito all’innalzamento della qualità del servizio sanitario; abbiamo registrato dati molto incoraggianti sul turismo e sul turismo internazionale, anche per la Puglia. Quest’ultimo dato, poi, non è ascrivibile solo allo specifico del settore economico turistico, ma, come detto da tutti gli operatori internazionali di Reale Estate nel recente convegno di Monitor Immobiliare, dal turismo si passa agli investimenti internazionali sulle seconde case e da esse a quelli per lo sviluppo delle aree limitrofe.

Del resto la Commissione parlamentare sul federalismo fiscale, durante i governi Renzi - Gentiloni, presieduta allora dal leghista Giorgetti, affiancato dal deputato di Forza Italia Gibiino, siciliano, aveva esattamente raccolto lo stimolo giunto da un accordo culturale tra i governatori Maroni e De Luca: poniamo la sfida dell’efficienza istituzionale e della capacità di crescita economica; man mano che le regioni raggiungono gli obiettivi condivisi, lo Stato ne sostiene gli sforzi favorendo emancipazione dentro un quando unitario e di coesione nazionale.

Questa impostazione, pratica, milanese - diremmo - guarda all’economia, guarda ad un’Italia che è realmente connessione tra Mediterraneo ed Europa e si inquadra dentro l’unica riforma istituzionale condivisa trasversalmente: il Senato federale, come espressione specifica delle aree geografiche del Paese, dentro una visione transnazionale di armonizzazione degli investimenti, delle regole e dei modelli organizzativi che collegano le regioni italiane a quelle d’Europa o del Mediterraneo, appunto.

Lo sforzo delle imprese in tal senso è visibile: basta pensare all’accordo tra Boccia, Confindustria, e Letizia Moratti per lo sviluppo dell’Africa, basta pensare ai progetti delle Università milanesi con quelle campane, basta pensare al ruolo culturale e sociale di Banca Intesa ponte tra Milano e Napoli e l'intero Sud; ma ancora, pensiamo alle iniziative di Deloitte sulla ricerca e l’innovazione tecnologica, i progetti imprenditoriali che mettono insieme energie milanesi e campane, l’esistenza stessa della Fondazione per il Mezzogiorno, osservatorio privilegiato sulla realtà del meridione.

Del resto anche al governo di Roma devono pensare che se l’Italia scende in recessione, l’unico accordo possibile per uscirne è con quegli amministratori del sud che favoriscono dinamismo economico.

Ma c’è un altro punto che andrebbe, a mio avviso, sviluppato seguendo quello che mi è parso essere il recente richiamo del Presidente Rocca affinché la città mantenga il suo ruolo di faro culturale “Milano ha necessità di accompagnare la gestione amministrativa con un rinnovato afflato strategico”.

Io credo che questa affermazione vada concretizzata dentro una sinergia istituzionale per lo sviluppo della Grande Milano. Occorre affrontare su scala metropolitana il tema delle vocazioni dell’intera area, della rigenerazione urbana e  del sistema di protezioni sociali, della trasformazione di aree e porzioni immobiliari anche pubbliche che stanno sui confini di più comuni, non solo della prima cintura.

Il Sindaco di Milano, da questo punto di vista, interpretando perfettamente il carattere della città, ha spinto perché insieme agli altri comuni limitrofi, si organizzasse una battaglia per lo sblocco delle risorse nazionali destinate alla linea del metrò diretta a Monza. Ancora, Sala ha promosso, già con il precedente direttore generale, una banca dati sulle aree e sugli immobili degradati e abbandonati, a cui, coll’assenso delle altre istituzioni, avremmo dovuto aggiungere il patrimonio delle Asl-Ats, quello di Aler, del demanio dello stato e così via; si sarebbe potuta poi sviluppare una riflessione metropolitana sul numero e sull’uso degli alloggi privati sfitti che l’Assessore Tasca, per i suoi confini di giurisdizione, ha facilmente individuato al fine di far partire realmente il convenzionamento pubblico-privato sul social housing  e si sarebbe potuto avviare un comune ragionamento pratico tra Regione, Città Metropolitana e singoli Comuni sulla “comunione” dei bilanci comunali da affiancare ai progetti urbanistici con l’obiettivo di favorire energie autonome private, dentro una regia pubblica.

Anche qui le imprese arrivano prima, il Competence Center del Politecnico collega fin dalla governance, Bergamo a Milano; la visione di Pirelli sul distretto culturale dell’impresa, del lavoro e dell’innovazione che parte da Bicocca, Niguarda e si estende oltre i confini comunali, è un altro aspetto; l’intuizione del Presidente Bonomi circa l’ente europeo per i brevetti a Milano-Lodi, parla ancora di sviluppo metropolitano, se ci affianchiamo alla linea del passante portando con sé la riqualificazione complessiva di Rogoredo e del Parco delle Groane.

Infine, ma non per ultimo, il Sindaco Sala ha sviluppato una riflessione sul rapporto tra flusso di investimenti stranieri, nazionalità di provenienza degli stessi, e progetti di coesione sociale volti a favorire l'inclusione delle comunità straniere nel sistema di regole della città dentro una dialettica pratica tra Comune, Consolati, Camere di commercio straniere, associazioni...

Ricordo perfettamente nell’assemblea di Assolombarda che nominò Bonomi Presidente, l’applauso quasi liberatorio della platea quando egli annunciò l’accorpamento formale dei comprensori di Milano, Brianza e Lodi.

Ecco forse rinnovare il carattere di Milano significa rinsaldare il dialogo istituzionale perché partendo dall’accordo su Milano-Cortina si uniscano le forze per lo sviluppo della Grande Milano.

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