Milano
Politecnico, parla il rettore Ferruccio Resta: il segreto di un successo
Politecnico di Milano migliore università italiana e in forte ascesa a livello mondiale in particolare per l'indicatore Citation per Faculty, Parla il rettore
Politecnico, parla il rettore Ferruccio Resta: il segreto di un successo
di Daniele Bonecchi per Affaritaliani.it Milano
Il Politecnico di Milano è il simbolo di una storia di successo che coinvolge l’intera città. Per il rettore, Ferruccio Resta “i risultati sono il frutto del duro lavoro dei ricercatori”. E infatti il risultato eccezionale di quest’anno anche si deve soprattutto per l’impatto della ricerca: secondo il cruciale indicatore Citation per Faculty, che misura le citazioni nelle pubblicazioni scientifiche indicizzate dalla banca dati bibliometrica Scopus/Elsevier rispetto al numero di docenti e ricercatori, il Politecnico di Milano migliora di 26 posizioni passando dal 190esimo posto al mondo della precedente edizione, al 164esimo dell’edizione attuale. “Ma in primo piano c’è anche la collaborazione col mondo dell’impresa”, spiega il rettore. Secondo l’indicatore specifico dell’Academic Reputation l’ateneo ha ottenuto un punteggio di 60,4, classificandosi al 119esimo posto nel mondo, due posizioni in più rispetto allo scorso anno. Buone infine anche la proporzione di docenti internazionali (parametro International Faculty), per cui il Politecnico di Milano si posiziona al 364esimo posto, e la proporzione di studenti internazionali (parametro International Students), per cui si situa 269esimo posto, guadagnando ben 51 posizioni rispetto lo scorso anno.
Soddisfatto, professor Resta?
“Il Politecnico di Milano non rallenta la sua corsa e continua a migliorare in reputazione e credibilità – commenta Ferruccio Resta, Rettore del Politecnico di Milano – È questo un traguardo importante raggiunto grazie all’impegno e al duro lavoro dei nostri ricercatori e del nostro personale; grazie alla continua collaborazione con le imprese e al costante supporto degli Alumni. Un passo in avanti per la città di Milano e per il territorio lombardo, ma di cui non ci accontentiamo. Siamo consapevoli che i prossimi risultati dipenderanno dalla nostra capacità di attrarre docenti qualificati dall’estero e dalla volontà del Paese di mettere in atto politiche universitarie adeguate”.
Il riconoscimento del QS World University Rankings 2020, non fa che confermare il ruolo del PoliMi?
Senza dubbio si tratta della conferma che la direzione intrapresa è quella giusta. Una direzione che ci ha spinto ad una maggiore internazionalizzazione, ma anche e soprattutto a una maggiore attrattività. Crescere nei ranking è, in primo luogo, la dimostrazione della qualità del nostro lavoro. Tenga presente che qui da noi nessuno si risparmia! Questo è il risultato della qualità della ricerca, del proattivismo degli Alumni, dell’impegno delle aziende, del sacrificio di oltre 40mila studenti (un numero esagerato se confrontato con gli atenei che stanno sul podio, tutti privati e tutti iper selettivi), dell’efficienza del personale amministrativo. Ciascuna di queste componenti è un ingranaggio all’interno di un sistema che dimostra come anche l’università pubblica possa, non senza fatica, risultare competitiva in Italia e all’estero. È un passo in avanti non solo per noi, ma per la città di Milano e per il territorio lombardo. Detto questo, siamo contenti, ma non soddisfatti. Continueremo a lavorare sodo, consapevoli che i prossimi risultati dipenderanno dalla nostra capacità di reclutare un maggiore numero di docenti qualificati dall’estero e dalla volontà delle istituzioni di mettere in atto politiche universitarie adeguate. Come a dire, possiamo fare la nostra parte, ma questo non basta…
Sembrano lontani gli anni delle polemiche sui corsi di laurea in lingua inglese, cosa ha fatto la differenza tra il Poli e tante altre università?
“Le polemiche sono, per loro stessa natura, sterili. A torto o a ragione, la scelta che abbiamo fatto è rivolta prima di tutto ai ragazzi, al loro futuro professionale. Abbiamo a che fare con generazioni di giovani che girano il mondo, che sanno che l’inglese è la lingua della scienza, della tecnologia, del management, dell’innovazione, della medicina… Ma la vera domanda è se siamo davvero sicuri che tutti si possano permettere di andare all’estero a studiare come richiede il mercato o se abbiamo il dovere di offrire una formazione internazionale anche nel nostro Paese. E poi, lo dico spesso, dovremmo ribaltare il punto di vista: l’uso dell’inglese nelle nostre aule è un’opportunità per far conoscere il nostro paese. Chi viene da noi, a noi rimane legato. Porta avanti un pezzo di Italia nel mondo. Se poi mi chiede cosa ha fatto la differenza tra il Poli e altre università, penso che si tratti del coraggio e della determinazione nel prendere scelte magari impopolari, ma decisive per la nostra crescita. Siamo ingegneri, architetti e designer, è nella nostra natura progettare quello che ancora non esiste”.
Il PoliMi è un grande centro di ricerca al servizio del Paese, professor Resta quanto ha contato la collaborazione col mondo dell'impresa?
“Ha contato e conta moltissimo. Per un’università tecnica come la nostra è fondamentale sul fronte della ricerca e dell’innovazione, per trovare risposte alle grandi sfide economiche, sociali e tecnologiche. Sul fronte della formazione, per tracciare insieme figure professionali che siano realmente rispondenti ai bisogni del mercato del lavoro e delle sue evoluzioni. L’impresa non è più un cliente, ma un partner, che con noi sviluppa iniziative e condivide sfide e obiettivi. Le porto qualche numero. Al momento abbiamo all’attivo 24 Centri di Ricerca Congiunti e oltre 50 accordi, alcuni di durata pluriennale. Con 13 imprese del settore, abbiamo da poco lanciato una nuova laurea in Mobility Engineering e oggi abbiamo presentato con 7 aziende dell’agroalimentare una laurea in Food Engineering. Il Campus Bovisa è oramai un attore internazionale dell’innovazione con il Competence Center, condiviso con circa 40 aziende, con PoliHub, incubatore che ospita oltre 100 startup, e con imprese nazionali e realtà internazionali che hanno qui trasferito alcune loro aree di ricerca e sviluppo. Riceviamo infine circa 13mila richieste di placement all’anno e il 93% dei nostri studenti è impiegato a meno di un anno dalla laurea. Credo che questa sia la dimostrazione che abbiamo avviato una modalità in cui politiche industriali e politiche universitarie vengono condivise fin dalla nascita e con successo”.