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Milano
Sala e il silenzio di Renzi: non una parola per difendere Mr. Expo

di Paola Bacchiddu

Indagato, trascinato sui giornali e autosospesosi, il primo cittadino di Milano Beppe Sala sembra aver visto le sue magnifiche sorti capovolte in meno di 24 ore. Deve essergli andato di traverso, come qualcuno racconta, quel brindisi natalizio in Prefettura, poche ore prima della ferale notizia dell'avviso di garanzia, quando qualcuno già sapeva (guardate il video di Affari, Greco e Sala fianco a fianco), ma faceva tintinnare i bicchieri come se nulla stesse per abbattersi su Palazzo Marino. 

Da salvatore della patria e della credibilità internazionale  - come Commisario Expo, riuscito nella rischiosissima impresa di portare a compimento a tempi record la rassegna che si era aggiudicata la Moratti - a candidato sindaco ideale, in campagna elettorale, come icona di quell'Italia "che ce la fa", tanto cara a Renzi, Sala si è trovato protagonista di una fulminea parabola, privo di copertura politica e - con tutta probabilità - al centro di uno scontro tra Procure.

Lontana quella "sensibilità istituzionale" con cui l'ex premier di Rignano aveva ringraziato i giudici, prima dell'estate, per  quella sottointesa "moratoria" della Procura su Expo, condizione necessaria per portare avanti la fiera; lontani i proclami su Milano, come capitale morale, con tanto di consegna del sigilllo di legalità di Cantone a Pisapia a Palazzo Marino; lontano lo storytelling  di quell'unica parte d'Italia da cui ripartire: il motore del paese, il residuale presidio di credibilità agli occhi del mondo, quel "laboratorio" politico dove il Sì, anche se per poco e miracolosamente, era riuscito a vincere, a dispetto del risultato nazionale. Tutto polverizzato in meno di 24 ore, dopo il rovinoso esito del Referendum.

A dir la verità, molti osservatori locali, si erano chiesti, già qualche giorno fa - quando il sindaco aveva presentato alla città i progetti per il futuro, insieme alla sua giunta a prevalenza pd - perché nelle sue parole e in quelle del partito non si facesse se non un timido cenno alla sconfitta nelle urne. Milano, forse, si sentiva al sicuro, come quella parte sana e salva del paese che, nonostante le sorti nazionali, può quasi fare finta di niente e andare avanti, consapevole che qui, comunque, in qualche modo ce la si fa.

E invece la caduta dell'ex premier Renzi, le sue dimissioni e la crisi del dorato mondo renziano hanno toccato, loro malgrado, anche le latitudini milanesi. E ora, proprio adesso che ci sarebbe un gran bisogno, nel baccano politico e mediatico che ha travolto il sindaco, di una parola di rassicurazione dall'unico garante della sua credibilità, Renzi dal suo confino di Pontassieve che fa? Tace. Almeno in pubblico. In privato MariaTeresa Meli ed Elisabetta Soglio del Corriere dicono che abbia chiamato Sala. Ma pubblicamente nulla, nada, niet, nisba.

Renzi è l'unico che potrebbe fermare il circo galoppante e spendere una parola pubblica su quello che, in fondo, ha imposto come candidato sindaco smart, di successo, brillante e internazionale - dopo l'annuncio della non ricandidatura di Pisapia - dalla sua ridotta toscana non parla. Non un tweet, non un post su fb - che ultimamente sembra prediligere al social dai tempi veloci, veloci, che usava come presidente del Consiglio - non un comunicato stampa, una velina, non una parola per salvare dalla slavina mediatica il suo pupillo milanese. Almeno per 24 ore, e oggi è un altro giorno e si vedrà.

Proprio Renzi che, quando gli si addebitavano i risultati non proprio brillantissimi delle ultime amministrative, si aggrappava al salvagente della vittoria saliana, in una città non proprio marginale, nel paese: "Eh, ma noi a Milano abbiamo fatto eleggere Beppe Sala". Nelle cronache concitate di queste ore, il segretario metropolitano del pd, PietroBussolati, sembra averci messo una toppa, riferendo di una telefonata che sarebbe intercorsa, privatamente, tra il sindaco appena travolto dall'avviso di garanzia e l'ex premier toscano.

Ma ai desk delle redazioni dei giornali, al contrario, Matteo Renzi sembra non regalare dichiarazioni: un silenzio che pesa, sulle sorti di Sala, a due giorni dall'Assemblea nazionale del pd in cui si deciderà del Congresso.
 
A dir la verità qualche dissociazione nei mesi precedenti era già partita in tal senso, ma a parti invertite. Quando l'esito del referendum sembrava prendere una piega sempre più incerta, il primo cittadino di Milano si affrettava a precisare che lui no, non era renziano, ma "saliano": rappresentava, cioè solo se stesso. Il proprio brand di manager brillante e capace. Un brand in crescita e non toccato dalle vicende burrascose del referendum. Tanto che qualcuno già l'avrebbe lanciato nell'agone nazionale, troppo presto e troppo in anticipo, ma l'avrebbe fatto.

Tuttavia nel gioco della politica così cinico e baro, e in tempi di impazzimento sempre più incontrollabile, lo scenario che meno si sarebbe previsto lo ha colto protagonista di un tiro mancino  a parti invertite.
Un ex premier sempre più confuso e poco lucido - come descrivono Renzi persone a lui vicine - dalla sua ridotta familiare continua a tacere.

Un bene o un male per il sindaco sospeso? Chi vuole dirne bene spiega che la lontananza e il silenzio di Renzi sono un modo per non buttarla in politica. Gli altri, invece, il contrario. 
E a questo punto a Beppe Sala non resta che sperare che la mossa piuttosto inaspettata dell'autosospensione dall'incarico di sindaco almeno costringa la magistratura a decidere in fretta sulle sue sorti per consegnarlo alle cronache politiche o come uno dei sindaci dal mandato più breve della storia, o, al contrario, un onesto amministratore, finito ingiustamente al centro di uno scontro tra procure, ma uscito innocente e più forte di prima, con o senza Renzi.

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