Sangue e sesso nella “Lady Macbeth” di Shostakovich - Affaritaliani.it

Milano

Ultimo aggiornamento: 12:25

Sangue e sesso nella “Lady Macbeth” di Shostakovich

L'opera diretta da Riccardo Chailly ha inaugurato la stagione scaligera

Di Francesco Bogliari

Sangue e sesso nella “Lady Macbeth” di Shostakovich

Mai fidarsi delle opere viste in tv.  Così scrivevo a caldo su Facebook, la notte del 7 dicembre scorso, subito dopo la fine della diretta Rai di “Una Lady Macbeth del distretto di Mcensk” di Dmitrij Shostakovich, e prima di leggere il diluvio di recensioni e commenti che si sarebbero scatenati dal giorno successivo:

Shostakovich e l'odore del sesso

“Non va più via l'odore del sesso che hai addosso”. Queste parole cantate dalla voce roca, sporca, fumosa di Luciano Ligabue si adattano perfettamente alla storia raccontata da Dmitrij Shostakovich in “Una Lady Macbeth del distretto di Mcensk”. In quest'opera del 1934, che due anni dopo sarebbe costata al compositore un lungo ostracismo dopo la stroncatura di Stalin in persona (“Caos invece di musica”), il sesso c'è, ed è un sesso esplicito, brutale, carnale, passionale, violento, strettamente collegato alla morte: non “amore e morte”, ma “sesso e morte”. La musica asseconda il libretto con una forza abrasiva unica nella storia dell'opera, tanto da far parlare, al tempo, di “pornofonia”, soprattutto a proposito della scena del doppio amplesso tra i due protagonisti alla fine del primo atto.

Quanto c'era di questa “brutalità” nello spettacolo che ieri sera ha inaugurato la stagione scaligera? Il regista Barkhatov, presunto trasgressore trasgressivo, sembra uno di quelli che mettono i mutandoni alle statue nude. Un sesso anestetizzato, privo della primordiale brutalità di cui è intrisa la partitura di Shostakovich.  Anche la lettura musicale di Chailly è andata verso una interpretazione più malinconica che selvaggia, musica più elegante che rabbiosa: una scelta perseguita con coerenza dall'inizio alla fine, e in quanto tale rispettabile. Ma né in buca né sulla scena, almeno per quanto si è visto in tv (sarò in teatro prossimamente) c'era “odore di sesso”, che quindi, non essendoci, non poteva restare addosso.

Riprendiamo dopo aver visto l'opera in teatro

Venerdì sera il vostro cronista era in sala al Piermarini per la quinta rappresentazione dell'opera e la prospettiva è risultata parzialmente diversa. Diversa senz'altro per la parte musicale: l'orchestra di Chailly, rimessosi pienamente dopo il malore che lo aveva costretto a interrompere la seconda rappresentazione, si è prodotta in una delle sue più belle interpretazioni a nostra memoria, smentendo come al solito il pessimo audio della Rai. Ma quale “musica elegante anziché rabbiosa”. Fin dalle prime battute l'orchestra si è presentata con le sonorità livide, sorde, sporche che sono la cifra di questa partitura. Poi gli ottoni, soprattutto basso tuba e tromboni, insieme a fagotti e controfagotto, hanno tirato via la pelle a noi ascoltatori, ci hanno scartavetrato l'anima con la loro brutale violenza. Nella scena del doppio amplesso della fine del primo atto i glissando frenetici dei tromboni a tutta coulisse hanno reso onomatopeicamente gli atti sessuali nella loro brutale carnalità. E il clarinetto basso tutte le volte che è intervenuto ha dato sostanza alla dimensione tragica e ossessiva della storia. E lo xilofono con le piccole percussioni, il clarinetto piccolo e l’ottavino sono intervenuti nei momenti beffardi. 

Straordinari i numerosi interludi, autentici capolavori della musica novecentesca. Da brividi l'aria del quarto atto quando Katerina disperata ripensa al passato (“Non è facile dopo felicità e carezze chinar la testa sotto la frusta del boia. Non è facile dopo un letto di piume dormire sulla fredda terra”) dialogando prima con il corno inglese, poi con l'arpa, poi con entrambi. Musica altissima, magnificamente interpretata.

Chailly ci fa capire quanto ci sia di mahleriano, di mussorgskiano, ma anche di ciajkovskiano in quest'opera. Il vostro cronista ha trovato molte analogie, sia nella storia sia nel colore orchestrale, con “La dama di picche”. Entrambe sono opere basate su un'ossessione: la “Dama” sulle carte (“Tri carti, tri carti” canta più volte disperato Hermann), la “Lady” sul sesso. E come tutte le ossessioni, la loro descrizione musicale è affidata a un'orchestra livida, gelida, scura. In più Shostakovich ci aggiunge la forza abrasiva dell'ironia, che in certi punti diventa sarcasmo.

Il cast vocale

L'americana Sara Jakubiak, Katerina, è un soprano drammatico specializzato sia in Wagner sia nel repertorio novecentesco; voce potente ma capace anche di infinite sottigliezze, è stata la stella della serata. Il suo amante diabolico Sergej è Najmiddin Mayvlanov, già Hermann nella storica “Dama di picche” di Valery Gergiev del febbraio 2022: il tenore uzbeko ha confermato la sua voce dalla trama aspra e drammatica, interpretazione di livello. 

Eccellente il Boris (il suocero violento e lubrico, la prima vittima della nuora che lo uccide con i funghi avvelenati) di Alexander Roslavets, il migliore tra le parti maschili. Buone prove anche dal tenore Evgeny Akimov (il marito cornuto e secondo ammazzato della serata) e di Elena Maximova, la giovane Sonetka, ultima amante di Sergej, che Katerina ucciderà insieme a sé nell'ultimo atto. Molto buono il livello medio di tutti i numerosi comprimari. Il Coro istruito da Alberto Malazzi è sui consueti livelli di eccellenza, il che ormai non fa più notizia.

E la regia?

Invece confermiamo sostanzialmente la prima impressione scritta a caldo sulla regia. La dimensione del sesso violento non viene fuori con la forza che sarebbe necessaria. La scena del primo atto in cui la cuoca Aksin'ja viene molestata dal branco è risolta più come una goliardata greve che come un tentativo di violenza vero e proprio. Alla faccia di un libretto che non lascia niente all’immaginazione: “Palpala, su palpala per bene! Ehi, che tette, che fior di tette! Ah, che morbide! Stringila, stringila, stringila, stringila. La scrofa canta come un usignolo. Sotto la gonna frugala per bene. E di quel culo se ne possono far cotolette. Lasciate che le tocchi la mammella. Oh, oh, che morbida e rotonda! Morbida e tiepida! Fatemi dare una succhiatina!”  L'allegra brigata invece cosparge la giovane di salse e miele e tutto viene mimato come un balletto appunto goliardico: la violenza è un'altra cosa. 

Poco credibili – anzi, si può dire, abbastanza ridicoli – gli amplessi fra i due amanti alla fine del primo atto, soprattutto alla luce di una musica che come detto fa la sua parte in maniera terribilmente efficace. L'unico amplesso che ha una certa forza erotica è l'ultimo, quello consumato tra Sergej e la giovane prigioniera nell'abitacolo del camion che porta i forzati in Siberia.

L'assunto registico principale di Vasily Barkhatov è quello di strutturare tutta l'opera su dei flashback ambientati negli uffici di polizia dove si svolgono gli interrogatori. Di per sé non è una cattiva idea, dà un che di cinematografico alla storia, che sarà basata sulla costante contemporaneità dei piani cronologici (il prima e il dopo insieme). Ma il problema è che le incursioni dei flashback spesso disturbano gli interludi, autentici gioielli di musica che andrebbero lasciati dispiegarsi liberamente nella sola dimensione musicale, a scena chiusa.

Ma la scelta registica che il vostro cronista ha trovato più disturbante è stato il quarto atto, quello della morte di Katerina e dell'ultima rivale in amore. Nel libretto originale l'omicidio-suicidio avviene nel lago. Così Katerina canta nella sua ultima, disperata aria: “Nel bosco, là dove è più fitto, c'è un lago. Tondo e molto profondo. L'acqua è nera. Nera come la mia coscienza. E quando il vento soffia nel bosco, sul lago si sollevano le onde, grandi onde, ed è terribile. Acqua nera e grandi onde. Nere, grandi onde”. E l'orchestra che l'accompagna è nera come le onde, con un angoscioso, lunghissimo ostinato dei timpani.

Il libretto recita: “Katerina si avvicina lentamente a Sonetka, che sta presso a un ponte con il parapetto sfondato. Spinge Sonetka nel fiume e cade con lei”. Invece cosa tira fuori dal cappello il giovin regista moscovita? Katerina cosparge se stessa e la rivale di benzina e le due donne (interpretate da due stuntwoman) diventano torce umane. Moriranno per il fuoco, non per l'acqua. Mah, siamo abituati a incoerenze provocatoriamente volute dai registi, anche dai più grandi. Solo poche settimane fa Robert Carsen qui alla Scala aveva trasformato il “picciol legno” del “Così fan tutte” in una gigantesca portaerei; ma alla fine era risultato tutto sommato divertente. Questo ci è parso invece del tutto irrispettoso dello spessore drammatico del libretto. Shostakovich ha scritto quelle note pensando all’acqua; se avesse pensato al fuoco avrebbe scritto note diverse.

E così alla fine, invece dell'odore del sesso, in sala si è sentito, distintamente, l'odore della benzina che aveva avvolto nelle fiamme mortali le due donne.

Articolo basato sulla recita del 19 dicembre 2025








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