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Tuffi, Elena Bertocchi da Milano alle Olimpiadi di Tokyo 2020
Elena Bertocchi

Per fare un tuffo perfetto ci vuole poco più di un secondo. Per arrivare a fare un tuffo perfetto, però, ci vogliono anni di pratica e duro lavoro: tutto questo può comunque non bastare mai. Elena Bertocchi, tuffatrice milanese classe 1994, si sta allenando per arrivare a fare quel tuffo perfetto, in quel secondo, alle Olimpiadi di Tokyo 2020. Durante una pausa dai suoi allenamenti alla piscina Cozzi di Milanosport, insieme al suo allenatore Dario Scola – che la segue da quando lei aveva 5 anni – ci ha raccontato che cosa vuol dire essere un’atleta e una tuffatrice.

Da dove arriva la passione dei tuffi?
Quando ero piccola facevo nuoto, come tutti i bambini. Ad un certo punto della lezione si doveva fare un salto dentro al salvagente dal blocco di partenza, come gioco finale: io ero l’unica che riusciva a centrarlo perfettamente. Così l’istruttore di nuoto è andato da mio padre e gli ha detto: “questa ragazza diventerà una campionessa di tuffi”. I miei genitori mi hanno subito iscritta al corso di tuffi e, provando e riprovando, mi sono divertita un sacco.

Quando hai capito che volevi fare questo nella vita?
Praticamente da subito: a 7-8 anni ho cominciato a fare le prime gare, a 8 anni è arrivata la prima vittoria, da lì in poi sono sempre arrivata sul podio e ho capito che era il mio sport. A 17 anni sono riuscita ad entrare nell’esercito: sono venuti a vedermi (in tutti gli sport cercano gli atleti migliori) e ho vinto poi il concorso per entrare a far parte della sezione sportiva.

Come si svolge una tua giornata-tipo?
Mi alleno tutti i giorni, tranne il sabato e la domenica. Mi sveglio la mattina, faccio colazione, mi preparo e vado in piscina alla Canottieri Milano, dove faccio due ore di allenamento. Poi torno a casa, mangio, esco di nuovo e vengo subito ad allenarmi alla piscina Cozzi, dove faccio altre due ore di allenamento. La sera vado a letto presto, anche perché arrivo sfinita a fine giornata. Devo conciliare anche lo studio: sto facendo scienze motorie all’università online.

bertocchi1Elena Bertocchi con Dario Scola
 

Gli allenamenti come si svolgono?
La mattina inizio sempre con 45 minuti di ginnastica come riscaldamento e poi un’oretta, un’oretta e mezza in piscina a seconda del lavoro che dobbiamo fare. Stesso programma anche nel pomeriggio alla Cozzi, con 45 minuti di esercizi di ginnastica per scaldarmi e poi un’oretta e mezza o anche due ore di tuffi in piscina. Il lavoro varia a seconda del periodo dell’anno: a settembre, ottobre, novembre e dicembre ci sono meno eventi e gare, quindi possiamo lavorare di più sulla parte di preparazione atletica e sulle cose da perfezionare. Durante il resto dell’anno ci sono molti eventi, a volte molto ravvicinati tra loro; c’è meno tempo per lavorare sui dettagli ed è necessario concentrarsi sulla continuità. Tutte le gare sono infatti importanti.

Come convinceresti qualcuno a scegliere questa disciplina?
Non cercherei di convincere nessuno a fare uno sport che non gli piace. Però, per la mia esperienza, i tuffi sono uno sport molto bello; è sempre stata la mia parte preferita, anche quando facevo il corso di nuoto! Sicuramente ci si diverte molto.

Come ti stai preparando per Tokyo 2020?
Prepararsi per Tokyo vuol dire avere sempre la mente là; nel frattempo, devo cercare di tuffarmi sempre meglio, essere felice e serena, non sbagliare gli appuntamenti importanti. Oltre alla preparazione atletica, dove sono seguita da una ragazza – una ex-tuffatrice che sa che cosa mi serve e qual è il fine di questa preparazione – con cui faccio gli esercizi di ginnastica, sono seguita da circa un anno anche da un mental coach, con cui sto preparando un percorso per arrivare a Tokyo; con lui mi vedo una volta ogni due settimane circa.

Come ci si prepara psicologicamente ad affrontare una gara che dura pochi istanti, ma che si prepara in anni di duri allenamenti?
I tuffi sono uno sport complicato, dove bisogna costruire la strada mattone per mattone: il risultato finale è merito del lavoro in piscina, in palestra e mentale. Puoi arrivarci fisicamente pronta, ma la componente psicologica è fondamentale. Il problema vero è che, in questo sport, ti puoi rendere conto che non sei all’altezza di una certa situazione solo nel momento in cui sei lì, che la stai vivendo. È una cosa che non si può allenare. Più sali di livello e più è difficile allenare quei momenti in cui sei in gara: sono unici ed irriproducibili. Il percorso con il mental coach serve proprio a provare ad arrivare pronti in quei momenti.
Prima di arrivare alle gare delle Olimpiadi, bisogna superare inoltre delle gare eliminatorie, dove partecipano a volte anche 50-60 persone: ci si tuffa ogni mezz’ora per cinque ore. Tenere alta la concentrazione per tutto quel tempo è quasi impossibile e praticamente impossibile da allenare.

La Cagnotto è stata il punto di riferimento italiano di questo sport per anni. Come si potrà riempire il “vuoto” che ha lasciato?
Una Tania Cagnotto è un po’ irraggiungibile, nel senso che nessuno sarà mai forte come lei, sia fisicamente che, soprattutto, di testa. Però noi – io e Dario – ce la metteremo tutta per fare il possibile. Se non ci fosse stata la Cagnotto, noi non saremmo così bravi oggi; è stata un punto di riferimento importante. In questi anni ho cercato di avvicinarmi a lei il più possibile, sapendo che questo mi avrebbe portato a gareggiare in Europa puntando direttamente al top (agli Europei di Londra 2016 Elena è arrivata seconda, subito dopo la Cagnotto ndr). L’anno scorso abbiamo passato molto tempo insieme, e a 31 anni, la Cagnotto è sempre la numero uno per rigore in allenamento e serietà nelle cose: le medaglie non si ottengono mai per caso.

Sei specializzata nel trampolino da 1 metro, disciplina in cui hai vinto la medaglia d’argento agli Europei di Londra, mentre a livello giovanile hai vinto molto anche da quello dei 3 metri. Che cosa e quanto cambia tra i due?
Da 3 metri i tuffi sono molto più difficili. Da 1 metro si gareggia soltanto ai Campionati Europei e Mondiali: purtroppo non è disciplina olimpica. Quindi, se voglio andare alle olimpiadi di Tokyo mi devo allenare soprattutto dai 3 metri; il trampolino da 1 metro viene comunque usato sempre come punto di partenza, per impostare i tuffi che poi si eseguiranno dal trampolino da 3 metri. Poi, da 3 metri, c’è sempre un po’ il fattore paura (che dal metro invece non c’è). Immaginate tuffarsi dalla piattaforma da 10 metri! Alle Olimpiadi, e da un certo livello in poi, si porta tutti la stessa serie di tuffi. Ci vuole un programma adeguato – non si può portare un programma simile a quello che si porta nelle gare giovanili – e bisogna saperlo fare in maniera perfetta. E non è certo facile.

Stai partecipando al progetto della Federnuoto 2020-2024, che prevede l’allenamento con tecnici federali per i prossimi quattro anni. In che cosa consiste esattamente?
Una volta al mese circa andiamo a Roma per quattro-cinque giorni presso la struttura dell’Acqua Acetosa, di proprietà del CONI, dove posso allenarmi, sempre con il mio allenatore, mattina e pomeriggio, insieme agli altri atleti coinvolti nel progetto. Possiamo utilizzare una palestra fatta apposta per i tuffi, con i trampolini sui trucioli (una specie di vasca di palline di gommapiuma dove si possono provare le evoluzioni senza farsi male), che è proprio di fianco alla piscina. La struttura è molto bella e, grazie al progetto, viene messa a disposizione anche per gli atleti che non risiedono a Roma. È un bel progetto, ma ha bisogno di supporto, per superare i notevoli ostacoli a livello organizzativo. Intanto a Milano negli ultimi otto anni Milanosport, con la Federazione Italiana Nuoto e con Dario Scola come direttore tecnico, ha fatto il possibile per promuovere e far conoscere i tuffi a tutti i livelli: alla piscina Cozzi e al centro sportivo Saini i corsi di tuffi sono tutti pieni.

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