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Stangata suv a Parigi, i Verdi: “Un esempio anche per Milano”
Tommaso Gorini

Stangata suv a Parigi, i Verdi: “Un esempio anche per Milano”

“Aver introdotto differenziali di valori per i costi di parcheggio dei suv per i non residenti è per Parigi un grande passo avanti. Immagino e mi auspico che venga generalizzato questo aumento”. Tommaso Gorini, capogruppo dei Verdi, guarda con fiducia all’esito del referendum di domenica scorsa. I parigini sono stati chiamati dalla sindaca socialista Anne Hidalgo a pronunciarsi sull’aumento fino a tre volte della tariffa – tra i 18 e i 12 euro l’ora - per entrare e parcheggiare in città con suv e auto grandi, misura rivolta ai non residenti. Poco più del 5 % dei cittadini si è recato alle urne: i sì hanno battuto i no.

Appena tornato dalla Francia, dal congresso dei verdi di Lione – “un’esperienza positiva, che dimostra che stiamo crescendo tra i Verdi europei” - Gorini ha espresso ad Affaritaliani.it Milano il suo punto di vista. L'intervista.

Dopo il referendum di domenica, le persone che vengono da fuori Parigi a bordo di suv e auto “pesanti, ingombranti e inquinanti”, dovranno pagare tre volte di più per parcheggiare in città. Cosa ne pensa?

Noi guardiamo con interesse alla differenziazione dei costi di parcheggi e eventualmente dei limiti di accesso, è un tema a cui stiamo ragionando, lo vorrei portare all’attenzione del sindaco. La prima cittadina di Parigi Anne Hidalgo lo ha circoscritto ai non residenti per il momento, perché credo che per far passare misure così forti, e ottenere un appoggio da parte della cittadinanza, c’è bisogno di fare qualche compromesso.

Il sindaco Sala guarda spesso all’amministrazione parigina come un modello. Potrebbe portare anche lui questa misura a Milano?

Ancora non è capitato di discuterne con il sindaco ma speriamo presto di portare questo tema all’attenzione del Comune. Ci vorremmo proporre come firmatari di un ordine del giorno, lo stiamo studiando e analizzando come tema da tempo e vorremmo presentare una proposta. Aver l’esempio di un modello come quello di Parigi può dimostrare che si può fare.

Perché limitare la circolazione dei suv in città?

Sicuramente per motivi di sicurezza. Negli ultimi decenni, la larghezza e l’altezza media dei veicoli sono aumentate e questo sta creando una serie di problemi in città. Più le auto sono grandi e alte più aumentano gli angoli ciechi. Questi stessi problemi sono già stati portati all’attenzione del pubblico con il dibattito sui camion. Con queste auto grandi c’è meno spazio per tutti. Inoltre, i veicoli di maggior cilindrata e di maggior peso inquinano di più. È dunque un problema per gli automobilisti stessi, c’è meno spazio per parcheggiare per tutti. Non è un caso se le auto piccole sono chiamate “city car”, dunque pensate per muoversi negli spazi piccoli delle città. Per spostarsi a Milano non occorrono veicoli grandi, trattandosi per la maggior parte di piccoli spostamenti.

Eppure l’affluenza al voto di domenica scorsa a Parigi ha registrato poco più del 5%. I cittadini non sono abbastanza consapevoli di questi rischi?

Sicuramente è difficile in generale mobilitare la cittadinanza. Questo weekend sono stato a Lione per il congresso dei Verdi e, confrontandomi con i politici locali, mi hanno parlato della difficoltà, dopo la disfatta della legge sulle pensioni, di convincere le persone a tornare a battersi. Forse questo ha influito sulla scarsa affluenza e potrebbe essere un tema che in città non è così sentito.

Tornando a Milano, stanno preoccupando sempre di più i livelli di polveri sottili registrati nell’aria e che i 101 microgrammi per metro cubo registrati lo scorso 26 gennaio hanno superato di gran lunga il limite europeo di 35. Come risolvere questa situazione?

Sentiamo molto il problema e siamo usciti questa mattina con un comunicato stampa. C’è preoccupazione per il fatto che ci muoviamo con un sistema di regole definite da Regione Lombardia che sono insufficienti. Dal lato Regione, non abbiamo grandi sostegni ma questo non deve essere un alibi per rimanere fermi. In questi giorni stiamo sperimentando gli effetti di questa emergenza, abbiamo problemi respiratori, alla gola, tosse e bronchioliti. C’è l’evidenza di un danno diretto e come Comune dobbiamo fare di più.

Con quali proposte e misure?

Risposte emergenziali, come blocchi del traffico puntuali. Qualche anno fa si facevano le domeniche a piedi, ci stiamo lavorando per riportarle. Contemporaneamente potenziare il trasporto pubblico, allargare la platea di persone che lo utilizzano abbassando i costi e si potrebbe anche pensare, in situazioni di emergenza, di renderli gratuiti in alcune giornate, per far sì che non si vada ad accumulare ulteriore smog e si possa contenere momentaneamente l’accumulo. Il tema reale è quello della situazione climatica, ora possiamo cercare di tamponare. Si tratta di misure costose, misure che dovrebbero essere attivate e finanziate direttamente da Regione Lombardia, la quale invece continua a battagliare contro L' Unione Europea per derogare alla normativa sulla qualità dell’aria. Stiamo facendo pressione sugli uffici a tutti i livelli per definire un piano di risposte emergenziali di cui c’è bisogno.

Rendere più stringenti gli accessi in Area B e C rientra nel vostro piano?

Sicuramente vorremmo proseguire con il percorso di avanzamento di area B e C, questo potrà dare il suo contributo. Già oggi queste norme ci sono ma quando le concentrazioni arrivano a livelli così alti si deve arrivare a un blocco.

Nel frattempo gli agricoltori italiani e non solo lamentano le misure volte alla sostenibilità decise dall’Europa, come lasciare almeno il 4% dei campi incolti per incentivare la biodiversità. Cosa ne pensa?

È importante tenere conto che parliamo di un mondo che ha tante voci diverse, sono anche molto varie le indicazioni. Il limite del 4% non è mai stato applicato perché con lo scoppio della guerra in Ucraina sono state introdotte delle deroghe che rendono ancora inefficace quel limite. D’altro canto, dati alla mano bisogna smontare la retorica che il 4% fa la differenza per garantire la sovranità. Già a livello europeo siamo quasi pienamente autosufficienti. Spingere ancora di più sulla coltivazione di aree marginali ha come unico effetto quello di lavorare sul margine dei prezzi, quindi spingere una competizione al ribasso, non garantire una qualità stabile.

Quali sono le risposte da dare alla protesta dei trattori secondo voi?

Pensiamo che piuttosto che concentrare l’attenzione sui regolamenti che cercano di rendere sostenibile nel tempo la coltivazione a lungo termine, dobbiamo guardare ai fattori che veramente schiacciano i costi e costringono gli agricoltori a spremersi: ossia la grande distribuzione e le grandi industrie agroalimentari, tutta quella catena di filiera che costringe gli agricoltori a coltivare a prezzo di costo e a volte anche sotto. Noi a livello europeo abbiamo contestato quella che è stata l’ultima riforma della PAC. Questa riforma è la parte più consistente del bilancio dell’Unione europea, è un terzo, e il grosso di questa fetta del bilancio comunitario destina la maggior parte di fondi alle grandi aziende agroalimentari. Qui bisogna agire, per fare in modo che i piccoli agricoltori e chi si sforza di fare agricoltura sostenibile possano essere messi in condizione di lavorare veramente.

Al centro della protesta c’è anche l’eventualità di ricorrere a cibi sintetici. Sono un problema?

Io sono biotecnologo di formazione e penso che ci sia un grosso limite da parte di tutta la narrazione che c’è intorno alla produzione alimentare. Narrazione che ha creato una contrapposizione tra natura e industria. Non è vero: la produzione agricola di massa che abbiamo oggi non sarebbe stata possibile senza le rivoluzioni dell’agrochimica. Già oggi gli agricoltori sono dipendenti dall’agrochimica e dalle innovazioni che provengono dai laboratori. La contrapposizione rigida tra campi e laboratori non esiste.








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