Milano

Tra forma e parola: la poesia visiva di Mirò in mostra a Monza

di Federico Ughi

Il Belvedere di Villa Reale ospita "La poesia delle forme": Joan Mirò tra libri d'arte e fantasie surrealiste

Tra forma e parola: la poesia visiva di Mirò in mostra a Monza

L'astrattismo è la pittura sinestetica per antonomasia. Ed è noto il legame strettissimo intrecciato all'inizio del ventesimo secolo tra l'opera di Kandinskij, Mondrian, Klee - ma anche Matisse - e la musica. Il catalano Joan Mirò è invece tra i massimi rappresentanti di una diversa via. Quella che salda pittura e parola. "Non stabilisco nessuna differenza tra pittura e poesia. A volte illustro i miei quadri con frasi poetiche, e viceversa", confessò nel 1937 dialogando con Georges Duthuit.

“La poesia delle forme”: Mirò in Villa Reale a Monza

E "La poesia delle forme" è il titolo della mostra dedicata a Mirò, a cura di Lola Duran Ucar ed ospitata al Belvedere della Villa Reale di Monza sino al 5 maggio. Una esposizione che racconta non solo dell'immaginifica capacità dell'artista di trasformare la parola in forma e colore. Ma che è anche testimonianza dell'intensa rete di relazioni del pittore con alcuni dei maggiori esponenti del Surrealismo e non solo. Le parole di René Char, André Breton, Paul Eluard, Michel Leiris, Tristan Tzara , per non citarne che alcuni, accendono la creatività di Mirò, che dà vita a formidabili esempi di poesia visiva. Saranno oltre duecentosessanta i libri illustrati dal pittore nel corso della sua lunga carriera.  Grazie anche all'amicizia di alcuni editori come Pere Serra, Ezio Gribaudo, i fratelli Guastalla. Questa esplorazione delle contaminazioni tra parola e forma ha le proprie radici soprattutto in quell'irripetibile crocevia culturale che è stato Parigi nel Novecento. Ma da qui sa espandersi in ogni direzione, inseguendo l'ispirazione dell'artista.

Mirò è il Cantico di Frate Sole

Ispirazione che giunge ad allacciare inaspettati legami persino con il Cantico di Frate Sole di San Francesco d'Assisi. In questa serie che giunge in una fase matura della sua produzione, realizzata nel 1975, Mirò interpreta le parole del santo raggiungendo probabilmente i suoi apici in termini di semplificazione formale. Gesti minimi e precisi per raggiungere il massimo della purezza espressiva e spirituale. E per rappresentare il sole, la luna, il fuoco, il vento, l'acqua nella loro più assoluta essenza. "Ah, la luna! La luna calante è il momento che più mi affascina. E nel primo quarto... è come il velluto la luce della luna piena, quando vola nel cielo arancione sopra le montagne di Genova, con una stellina vicino. Sono soltanto cinque o dieci minuti... ma è come il velluto, come la seta. Poi se ne va", commentò Mirò.

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Dal volume "Càntico del sol", 1975

 "Le marteau sans maître"

Tra i sodalizi con i propri contemporanei, uno dei più proficui fu invece quello con René Char, poeta surrealista che Mirò incontrò già negli anni Trenta. E con il quale avrebbe pubblicato ben dodici libri. Tra questi, spicca nell'esposizione monzese "Le marteau sans maître", caratterizzato dall'esuberante e fantasiosa libertà con cui il pittore gioca con i suoi colori più caratteristici e rappresentativi: il rosso, il blu, il giallo, il verde. Dall'amicizia con il poeta Robert Desnos nacque invece, "Les pénalités de l'enfer ou les Nouvelles-Hébrides". Connubio che attraversa mezzo secolo di storia dell'arte e della letteratura: l'opera in prosa di Desnos è datata addirittura 1922. Ma solo dopo la sua morte Mirò, nel 1974, traspose come omaggio le parole dell'amico in pittura.

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Dal volume  "Le marteau sans maître", 1976

Mirò,  "Quelques fleurs pur des amis"

Altri cicli nacquero invece a partire da parole e pensieri dello stesso Mirò. Ma l'occasione spesso, anche in questi casi, era l'esigenza di entrare in connessione con il pensiero e con il sentire dei propri amici più cari. E' questo il caso del progetto dall'eloquente titolo "Quelques fleurs pur des amis". Una pubblicazione intima, nata da una intervista con Yvon Taillaindier nel 1958, durante la quale Mirò raccontò il proprio processo creativo. Il contenuto dell'intervista divenne a sua volta un libro illustrato ("Je travaille comme un jardinier") e l'artista decise di fare dono di alcune copie del volume ai suoi amici più cari, impreziosendo l'omaggio di un acquerello con dedica personale. Fu quindi il drammaturgo Eugène Ionesco a mettere insieme tutti questi acquerelli in un unico e nuovo volume che fu pubblicato in 283 copie.

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Dal volume "Quelques fleurs pur des amis", 1964

Mirò e la guerra civile spagnola: "Le lézerd aux plumes d'or"

"Le lézerd aux plumes d'or" nacque invece in un periodo di inquietudine per l'artista: erano gli anni della guerra civile spagnola e Mirò si trovava in una situazione di sostanziale esilio a Parigi, separato dalla moglie e dalla figlia. In questo stato d'animo d'angoscia trovò conforto nella poesia. Confessò a Pierre Matisse: "Scrivo poesie in francese, o meglio testi poetici, che sono concepiti contemporaneamente alle concezioni plastiche che li accompagnano, come facevano i maestri giapponesi o cinesi di un tempo, quei grandi maestri dello spirito". Parole rivelatrici anche dell'ampiezza ed eterogeneità dei riferimenti culturali di Mirò. Alcune delle sue poesie furono solo successivamente raccolte in quello che divenne il suo primo libro d'artista, accompagnate da litografie. Lo spettro della guerra, con il suo carico di incertezze, lascia le proprie tracce nell'uso preponderante del colore nero. E nell'emersione di bizzare e sottilmente inquietanti figure vagamente antropomorfe, che affiorano come incubi dagli occhi rosso fuoco e muniti di zanne.

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Dal volume "Le lézerd aux plumes d'or", 1971

Arricchiscono la mostra monzese altre composizioni che raccontano ulteriori momenti significativi di dialogo tra pittura e parola in Mirò, al di fuori delle occasioni dei libri d'arte. Si tratta soprattutto di sperimentazioni e fantasie. C'è una composizione del 1969 che sembra rappresentare la rielaborazione da parte dell'artista della nobile ed antica arte calligrafica del lontano Oriente. Ed un indizio in tal senso è l'uso di inchiostro cinese. Mentre di tutt'altro tenore è "Soraya", dell'anno successivo: raro esempio di incursione che potremmo definire Pop-art: un gouche  sulla doppia pagina di un giornale di gossip.

“Il volo dell’Alosa” di Mirò

Suggestiva infine, siamo nel 1973, la tecnica mista che dà vita a "Il volo dell'Alosa" e che porterà anche alla realizzazione di un arazzo di grandi dimensioni da parte di Carola Torres a partire dal disegno originale del maestro di Barcellona. Inconfondibile per le scelte cromatiche tipiche di Mirò, l'opera sembra allo stesso tempo rappresentare un enigma visivo. Una sorta di mappa da decifrare. O la fantasiosa trasposizione di una tavoletta con scrittura cuneiforme vergata in una lingua antica e ormai perduta. Un codice che ci parla per altre vie che non sono quelle dell'intelletto e della ragione ma piuttosto quelle dell'inconscio. Una suggestione che riconduce Mirò sui terreni che tanto cari furono ai poeti surrealisti dei quali fu amico e compagno di viaggio.

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“Il volo dell’Alosa”, 1973

 

 








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