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"Vespri siciliani" belli da sentire, brutti da vedere

"Vespri siciliani" belli da sentire, brutti da vedere

A un certo punto il vostro cronista ha chiuso gli occhi. Non per dormire, né per sognare.Semplicemente per passare dalla modalità audio-visiva a quella audio. Come se invece di essere inteatro ascoltasse l'opera in diretta su Rai Radio 3. Sì, perché da vedere lo spettacolo era propriobrutto. Anzi, continuando nella confessione, ha avuto la tentazione di andarsene al primo intervallo(ma, stoicamente, non l'ha fatto).

Ottima compagnia di canto, discreta (ma niente dipiù) direzione d'orchestra, pessima regia

Stiamo parlando dei “Vespri Siciliani” di Giuseppe Verdi inprogramma alla Scala in questi giorni. In sintesi, ottima compagnia di canto, discreta (ma niente dipiù) direzione d'orchestra, pessima regia. Regia? Perché, c'era una regia? L'argentino Hugo De Ana, firmatario della cosiddetta “regia”, inrealtà è uno scenografo, che in passato ha fatto anche cose buone, ma in questi “Vespri” dà il peggiodi sé. La sera della prima la componente tradizionalista del pubblico scaligero l'ha contestatoconsiderando lo spettacolo troppo “moderno”. Invece di “moderno” qui non c'è assolutamenteniente. Non basta spostare l';ambientazione storica dell'opera per “aggiornarla”.

Si può fare, molti lo fanno, e bene (Livermore nel 2012 a Torino aveva ambientato questa stessa opera all'epoca degli attentati di mafia, e ne era venuto fuori uno spettacolo eccellente nel 2012 a Torino aveva ambientato questa stessa opera all'epocadegli attentati di mafia, e ne era venuto fuori uno spettacolo eccellente), ma non basta mettere sulpalcoscenico un cannone, un carrarmato e una torma di soldati americani che sbarcano in Sicilia nel 1943, oltre a torme di siciliani poveri. Queste cose o si sanno fare (se ti chiami Carsen, Vick,Martone, Michieletto ecc.) o è meglio lasciar stare. Ecco, De Ana non le sa fare. Ridicola poi l'ossessiva citazione bergmaniana della morte che gioca a scacchi per tutta l'opera (ma trova anche iltempo per ballare un grottesco e bruttissimo balletto).

Cantanti che cantano (bene,lo diremo dopo), ma non recitano, nessuna mimica, nessuna espressività,

“Ghe sem no”, diciamo a Milano. ”Lassaperde”, dicono a Roma. Pensavamo di aver toccato il fondo con la regia del “Ballo in Maschera” di Marelli di alcuni mesi fa, ma evidentemente al peggio non c'è mai fine. Cantanti che cantano (bene,lo diremo dopo), ma non recitano, nessuna mimica, nessuna espressività, il “regista” li mette quasifissi in scena, tanto valeva una rappresentazione in forma di concerto. Passiamo alla direzione d'orchestra. Fabio Luisi è una delle più prestigiose bacchette italiane, affermato in tutti i principali teatri del mondo, interprete raffinato ed elegante. Ieri sera invecesembrava essersi adeguato al grigiore del palcoscenico, soprattutto il primo atto è stato diretto inmaniera opaca, porosa; difficile pensare che che l'orchestra fosse la stessa che aveva incantato nellarecente “Salome”.

La cantante lettone ha voce ampia, acuti fortissimi, bel timbro caldo

Poi l'esecuzione è migliorata nel corso degli atti, diventando più calda e legata,come se si fosse scongelata, ma il voto complessivo è di poco superiore alla sufficienza.Le note positive vengono dalla compagnia di canto, in primo luogo dal tenore Piero Pretti nel ruolodi Arrigo: timbro splendido, voce calda e luminosa, perfetta in tutti i registri, fraseggio da manuale:si può essere tenore in tanti modi e lui – semplificando - lo è più “alla Bergonzi” che “alla DelMonaco” o “alla Domingo” o alla “Kaufmann”. Magnifico Pretti. Elena è Marina Rebeka, che deve sostenere uno dei personaggi femminili verdiani più difficili: comincia quasi da contralto, poi diventa soprano lirico e nell'ultimo atto affronta agilitàbelcantistiche. La cantante lettone ha voce ampia, acuti fortissimi, bel timbro caldo. Le manca soloil carisma scenico di Asmik Grigorian e Vida Mikneviciute, solo per fare i nomi di due cantanti(baltiche come lei) ammirate alla Scala negli ultimi mesi,Guido di Monforte è Luca Micheletti, singolare caso di artista poliedrico (oltre che cantante èanche attore di prosa e regista), baritono di gran classe, forse più mozartiano che verdiano, qualche difficoltà con le note più acute, ma nel complesso è stato un bel sentire; ed è stato anche il miglioredal punto di vista della recitazione, nei limiti registici complessivi di cui abbiamo già detto. Infine il Procida coreano Simon Lim, basso profondo, voce ricca di armonici capace di spaziaresenza problemi dai bassi agli acuti, ottima dizione. Di buon livello tutti i comprimari.

Ci eravamo abituati forse troppo bene alla Scala

I “Vespri Siciliani” mancavano alla Scala dal 1989, direttore Riccardo Muti, regia, scene e costumi di Pier Luigi Pizzi. Dopo un'attesa di ben 34 anni ci si poteva aspettare qualcosa di meglio; incomprensibile anche la scelta di dare l'opera, che Verdi aveva pensato e musicato su testofrancese, nella pessima traduzione ritmica italiana dell'epoca, uno dei peggiori libretti dell'Ottocento. Ci eravamo abituati forse troppo bene alla Scala, con il sontuoso “Boris Godunov” di aperturastagione e con la strepitosa (sotto tutti gli aspetti) “Salomè” di pochi giorni fa, ma anche con lamagnifica “Winterreise” di Werba e Gamba, sul fronte dei recital di canto. Il prossimoappuntamento sarà l'usato più sicuro che ci sia, cioè “La Bohème” con la regia paleolitica diZeffirelli (ma il botteghino è botteghino, signora mia), per cui la nostra curiosità è tutta concentratasu “Les contes d'Hofffmann” di marzo e su “Rusalka” di giugno.

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