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Verità “scomode” sulla sanità

Verità “scomode” sulla sanità

E’ oramai diffuso il convincimento che il nostro Servizio Sanitario stia registrando un costante aggravamento delle proprie condizioni di tenuta, rese celermente evidenti nel corso della pandemia, solo in parte mitigate da finanziamenti emergenziali. In veste attuale, questo fondamentale servizio trova al proprio capezzale interpreti che si esercitano in diagnosi mosse da pregiudizio ideologico, interessi professionali, dinamiche di mercato e, non da meno, dalla convergente e apprezzabile sintesi della necessaria tenuta economica del Paese.

Concreta risposta ai bisogni di salute

La lettura che emerge dal confronto tra le forze politiche si mostra povera di realistici intenti riformatori, alla ricerca di capri espiatori tra i quali domina lo stucchevole pregiudizio nei confronti degli erogatori privati, ritenuti causa della sottrazione di risorse alla sanità pubblica. Niente di più falso e distorsivo: il comparto degli operatori privati che erogano prestazioni per conto e a carico del servizio sanitario sono remunerati con tariffe mai aggiornate da anni, ricevono il compenso per le prestazioni effettivamente erogate ai cittadini, nei confinati limiti commissionati annualmente dalle ASL attraverso predeterminati volumi economici stabiliti dalle Regioni. Rappresentano quindi il fattore di spesa pubblica più trasparente e commisurato alla concreta risposta ai bisogni di salute. Qualche sorpresa potrebbe invece riservarla l’applicazione di un analogo criterio all’ospedalità pubblica, anche solo per conoscere e rendere noto l’ammontare dei necessari ripianamenti perpetrati annualmente dalle Regioni. Ed a nulla servirebbe la solita litania giustificativa dei ricorrenti richiami ai disavanzi causati dalla presenza diseconomica dei servizi di Pronto Soccorso, dell’attività oncologica, delle alte specialità ovvero della medicina internistica nei soli presidi pubblici, essendo tutte discipline o funzioni presenti anche in prestigiosi ospedali privati accreditati di alcune Regioni, mentre risultano marginali o totalmente assenti in altri territori del Paese; ma questo, per il solo fatto di essere vietati proprio agli erogatori privati! 

Si stanno silentemente insinuando i primi e scomposti effetti del PNRR

Sul fronte professionale è in corso un sistematico ed epocale mutamento individualista e “liberale”, condizionato da un fattore centrale nelle dinamiche economiche: la scarsità della risorsa. Ai gravi errori di programmazione e finalizzazione specialistica della formazione accademica si è cercato ora di porre rimedio; ma non si potranno certo percepire nei prossimi anni effetti pratici e ricadute organizzative, ancor più se non si interverrà sulla valorizzazione degli status professionali. Infatti, l’ordinario ed equilibrato turnover dei medici non si registrerà prima di un decennio. Poco meno per le altre professioni sanitarie. Inoltre, in questo già fragile scenario si stanno silentemente insinuando i primi e scomposti effetti del PNRR che, per i servizi sanitari di prossimità al cittadino, renderanno necessari entro il 2026, per la sola professione infermieristica, ben più di 40.000 mila nuove unità! 

Ripensamento dei modelli organizzativi del SSN

Per altro verso, uno dei temi più spinosi è rappresentato dal ripensamento dei modelli organizzativi, sia sotto il profilo della dotazione che delle funzioni. Muovo da una esemplificativa provocazione: il solo fatto del rarissimo verificarsi di complicanze prevedibili ed affrontabili dai clinici presenti, con l’eventuale attivazione del tempestivo intervento per le funzioni rianimatorie, potrebbe già di per sé alleggerire la ridondanza di dotazioni professionali intensivistiche collocate in stand by nei servizi diagnostici, favorendo in tal modo un loro assiduo impiego nelle attività operatorie e terapie intensive. Il contraltare a questa considerazione potrebbe certo riassumersi nella consapevole e censurabile volontà di rinunciare in tal modo alla sicurezza delle cure. Ma su questo piano, non vi sarebbe allora ragion d’essere nel voler mantenere immutata l’attuale parcellizzazione in micro attività ospedaliere, con punti di primo intervento e marginali attività medico-chirurgiche correlate, foriere del consistente e distorsivo assorbimento della citata “risorsa professionale scarsa”, tra l’altro nei contesti più disparati e in piccoli presidi, luoghi più vocati al consenso che alle cure “sicure”.

Tempestivo rimedio alla disorganica e frammentata rete ospedaliera

Più che inasprire i connotati statici dei requisiti organizzativi, per l’ospedalità è necessario introdurre formule snelle e adatte al mutamento in costante divenire dei modelli funzionali. E’ tempo di sostituire il rigore della rigida predeterminazione quantitativa dei singoli fattori produttivi con la valutazione dei processi di presa in carico, di cura e assistenza, resi apprezzabili dalla sicurezza e dalla qualità dei loro esiti. Senza porre tempestivo rimedio alla disorganica e frammentata rete ospedaliera l’intero sistema franerà sotto la spinta della crescente indisponibilità di risorse professionali, certo tronfio e assolto per aver perseguito con rigore il rispetto delle forme!

Nuovi modelli di ospedalità e sanità territoriale

Per sintesi, il processo regressivo cui stiamo assistendo evolverà verso due opposti epiloghi: quello preventivamente governato dalla politica, reso possibile attraverso un sistema di regole non emergenziali e frammentate, necessaire per traghettare il SSN verso nuovi modelli di ospedalità e sanità territoriale utili, efficienti e sostenibili, rivisitando i ruoli professionali e le matrici organizzative; ovvero, in modo scomposto, dove saranno i professionisti sanitari a determinarne l’inevitabile processo di indotta razionalizzazione, optando per quei contesti di cura organizzati, coinvolgenti e in sintonia con i valori ed i principi che presidiano l’esercizio delle loro professioni, senza distinzione alcuna tra contesto pubblico e privato. Una sorta di premialità del merito trasversale e orientata al botton up (l’efficienza di un’organizzazione, come noto, è frutto dell’apporto sinergico di tutte le sue componenti, da quelle del top management ai professionisti, dal middle management ai servizi non core), che imporrà alla politica la sola facoltà di prenderne atto e di doverne regolare i complessi esiti!

Sostenibilità economica del Servizio Sanitario

Al tema della sostenibilità economica del Servizio Sanitario ed al suo costante declino possiamo approcciarci con falsa ipocrisia e sostenere che il sotto-finanziamento registrato nel corso dell’ultimo decennio costituisca la principale se non l’unica causa di questo degrado. Quindi, invocare, con gli attuali strumenti di fiscalità, il reperimento delle risorse necessarie per affrontare un cospicuo incremento del Fondo Sanitario che, come noto, ammonta a diverse decine di miliardi di euro. Bello, ma irrealistico!

I cittadini “spendono” di tasca propria più di 40 mld di euro all’anno

Sappiamo, invece, che oggi i cittadini “spendono” di tasca propria, in forma diretta o intermediata, più di 40 miliardi di euro all’anno per prestazioni e servizi ottenuti fuori dal perimetro del SSN, sempre più consci del fatto che questo importo non è possibile attrarlo all’interno della cornice della spesa pubblica attraverso risorse attinte dalla fiscalità generale e destinate a questo specifico scopo. Tant’è, che nel corso dell’ultimo decennio si sono registrati costanti e sistematici incrementi del capitolo finanziario destinato alla sanità, ma per importi infinitesimali, utili a colmare il solo e marginalissimo effetto di un’inflazione allo zero-virgola e garantire, nel contempo, una contestuale copertura degli oneri conseguenti al rinnovo dei contratti collettivi pubblici.

Garantire un’universalità sostanziale nell’accesso alle cure

Anche in questo caso siamo quindi di fronte ad un bivio: percorre in via amplificata la generica invocazione di maggiori risorse pubbliche, abdicando dall’affrontare con sistematicità e lungimiranza i molteplici e noti problemi del SSN, nella crescente consapevolezza che impatteranno a breve e con forza dirompente sul fronte dell’accessibilità alle cure, ponendosi tra i principali fattori distorsivi dei principi  di uguaglianza tra cittadini e di universalità nell’accesso ai servizi, quindi con effetti anche sulla tenuta sociale. Ovvero, prendere atto che per garantire un’universalità sostanziale nell’accesso alle cure, anche in risposta al mutevole evolversi dei bisogni di salute, si rende necessario e urgente mettere a sistema ogni forma di sostegno economico destinato alla spesa per la salute, senza pregiudizio per alcuna forma di intermediazione, certo governandone i risvolti in termini di finalizzazione, equità e fiscalità.

Contrapposizione (superata) tra pubblico e privato

Affrontare oggi i problemi nel solco della paradigmatica contrapposizione tra pubblico e privato, tra l’altro superata nei fatti dal crescente esercizio dell’attività “privata” svolta anche dagli ospedali pubblici attraverso la libera professione “istituzionale” dei propri medici, ha reso sempre più affievolito il confine per coloro che perseverano nell’invocare il dominio degli erogatori pubblici rispetto a quelli privati. Cosa sia pubblico e cosa sia privato non è più, o meglio, non è solo il contesto e la natura giuridica dell’organizzazione cui ci si affida, bensì l’azionabilità di un diritto fondamentale veicolato o meno all’interno di un sistema di regole di politiche pubbliche che ne governi, con tutti gli strumenti utili a finanziarlo e garantirlo, una solida e prospettica sostenibilità economica. 

Prof. Livio Tronconi

Professore di Diritto e Organizzazione Sanitaria - Università degli Studi di Pavia

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