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Viaggio nelle città cambiate dal Virus: commercio, data center e logistica
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Viaggio nelle città cambiate dal Virus: commercio, data center e logistica

Partiamo da cronaca e attualità. Effetto Covid: rimosso dalla pipeline il megamall Westfield di Segrate. A causa del coronavirus è stata sospesa la costruzione del grande centro commerciale del gruppo Westfield a Segrate, accanto all’aeroporto di Milano Linate. Un miliardo e mezzo di euro di investimenti diretti e per l’indotto. Il primo “stop” nei pezzi da novanta delle costruzioni nell'area metropolitana di Milano. A costruirlo sugli spazi della Dogana di Segrate (mai inaugurata davvero) doveva essere una società legata alla galassia Percassi. Il progetto prevede un connessione in termini di trasporti con Tangenziale Est, BreBeMI, la nuova M4 che arriverà all'aeroporto di Linate e una possibile stazione ferroviaria dell'alta velocità lungo la Milano-Venezia. Fine della prima storia. Stiamo a vedere cosa accade.

Gli investimenti, si sa, vanno e vengono. Ciò che fa più specie della vicenda Westfield-Segrate è altro: al megamall sono appesi da anni i destini di un'intero distretto. Segrate, intesa come città e come amministrazione pubblica, si è “impiccata” dietro a un singolo maxi progetto. Aspettative fiscali, oneri di urbanizzazione, sviluppo urbano futuro e occupazione. Tutte in capo a un singolo polo commerciale. E se salta? - è la domanda da porsi. Avere un solo cavallo vincente non aiuta quando si corre. Ancora meno quando il cavallo si infortuna.

Il mondo dell'immobiliare milanese e lombardo si riorganizza. Niente affatto in funzione del Covid. Il virus è solo un acceleratore di processi e flussi di investimento già in corso. E un catalizzatore di “narrazione” e “storytelling”, necessari anche quelli.

Primo capitolo: la logistica. Legata alla e-commerce. Bassa era e rimane la penetrazione in Italia di internet e funzioni collegate rispetto a confronti internazionali. Ma col virus, anche il più scettico fra i signori di mezza età, addirittura anziani, dopo un mese e mezzo di quarantena, ha provato un servizio di acquisto digitale. Magari si è reso conto che funziona, che gli piace, gli permette di impiegare in altri modi il tempo. E allora via con una categoria completamente nuova di supermercati, in stile McDrive. “Si trovano su arterie principali dei pendolari, con la stessa filosofia dei distributori di benzina, in uscita della città da mano destra, per tornare a casa la sera e ordinare con poco anticipo” dice ad Affaritaliani.it Milano, Giovanni Cassinelli, vicepresidente di Immobiliare 2C di Pioltello, società operante nel B2B (business to business) con in portfolio poli commerciali, alberghieri, uffici, logistico-industriali e retail e che guarda proprio a quel modello di futuro. “Si può ordinare una spesa bassa perché magari ti mancano pane, uova e latte – dice Cassinelli in contrapposizione all'e-commerce tradizionale dei supermercati, dove solo alcuni prodotti sono disponibili, per ordini minimi, salvo farsi accreditare i costi di consegna –. Arrivi, inserisci il codice e ti caricano la spesa in auto”.

Ci ha già provato Auchan qualche anno fa – senza riuscirci – a Torino e Rozzano in via sperimentale con gli Auchan Drive prendendo spunto dai francesi ChronoDrive. Anche Finiper con gli IperDrive. Ma le condizioni attuali sono diverse. Lo ha fatto capire anche Sami Kahale, ceo di Esselunga, in una intervista al Corriere della Sera. “Abbiamo creato una corsia preferenziale per gli ordini online degli over 75, dei disabili e gli abbonati: a loro riserviamo il 40 per cento delle consegne prenotate attraverso app e sito” risponde al quotidiano di via Solferino. “Ma abbiamo cercato di andare oltre con il servizio “Prenota e ritira”, già attivo su oltre 50 negozi e che presto ne toccherà 100. Si ordina online e si ritira direttamente nel negozio prescelto senza fare file. La necessità della spesa online forse scenderà dopo l’emergenza, ma rimarrà un’abitudine”. Si moltiplicano infatti gli annunci di lavoro sulle piattaforme che incrociano domanda e offerta per fattorini, driver, rider. Come raccontato da questa testata alcuni sono lavoratori di altri settori in attesa degli ammortizzatori sociali che cercano di trovare nuove di reddito. Contratti di collaborazione occasionale. Il problema ovviamente, sono i compensi del settore. Dove regna l'anarchia si scende fino a 600 euro lordi, con mezzi di trasporto propri. Ma rimane un punto fermo. Per il numero uno del gruppo della gdo “i cambiamenti avvenuti in questi mesi potrebbero anche diventare strutturali”.

Cosa serve di strutturale (e infrastrutturale) a quei cambiamenti? Sopratutto piccoli magazzini della logistica. Gli “hub” come si dice in gergo. Li si può costruire da zero. Si possono rinnovare o riqualificare iniziative progettuali abbandonate, capannoni di artigiani ormai vuoti, immobili figli delle sofferenze bancarie e dei crediti deteriorati, passati e presenti. Si possono recuperare spazi come le concessionarie d'auto. Aree demaniali o private ad ex uso industriale che, se dentro Milano città diventano il palcoscenico per serate, eventi, cultura e la cosiddetta “archeologia industriale” (per esempio la Fabbrica del Vapore, l'ex Ansaldo, lo Spirit in Bovisasca il Base, il futuro scalo ferroviario di Porta Romana con il Villaggio Olimpico), nell'hinterland meneghino e nell'area metropolitana non possono pensare di vivere di festival, fiere o “week”. Dentro il capoluogo nasceranno sempre più spazi di distribuzione dei rider. Altri diverranno “dark kitchen” dove si cucina dal sushi, alla pizza, all'hamburger nello stesso luogo. E con l'analisi dati sui gusti dei clienti tipica delle piattaforme della gig economy, si sa in anticipo che cosa viene ordinato a Porta Genova il mercoledì alle ore 13. Perché un temakinho – sempre che i gusti gastronomici rimangano invariati – dovrebbe affittare un immobile attrezzato per sale, coperti, camerieri, cucine in centro città a canoni altissimi, quando può fare la stessa cosa da una cucina industriale nascosta? L'unica domanda è se ci saranno resistenze da parte della proprietà immobiliare (o fondiaria) che sui quei canoni d'affitto ci ha costruito le proprie fortune.

Fuori da Milano invece, le passioni degli investitori si muovono verso magazzini e logistica. Per dirla con uno slogan: Milano e hinterland come Piacenza e Castel San Giovanni, il vero snodo logistico della penisola. Non certo sostituendo le funzioni economiche accumulate dalla città emiliana, quanto integrandola ancora più di oggi nella filiera e nelle catene del valore. Amazon avrà il grosso hub perfierico (Castel San Giovanni) e tanti piccoli hub di prossimità, alle porte di Milano o di altre città. Utili anche per ragionare sull'accesso alla città, con le sue zone a traffico limitato sempre più estese in futuro.

C'è un problema però. Ci sono resistenze. Nella cittadinanza, come nelle amministrazioni comunali, come nei vari portatori di interesse sul territorio. Perché? Per i sindaci e le giunte, diventare polo logistico significa traffico di centinaia di camioncini e quindi, almeno come motivazione ufficiale dei dubbi attuali, si parla di tanto, troppo inquinamento in pianura Padana. Un altro timore è non essere all'altezza delle trattative con i giganti. Immaginate una riunione fra gli studi legali di Amazon e l'assessorato all'urbanistica di Baranzate. Chi strappa l'accordo migliore? Ma il grande non detto della politica locale è un altro. La logistica si porta appresso due aspetti: tanta manodopera non qualificata e a bassi salari, al 90 per cento straniera ed extracomunitaria. Tante cooperative di lavoro opache, nella migliore delle ipotesi. Gli esempi ci sono anche in Lombardia: il processo milanese, ancora in corso ma alle fasi finali, per associazione a delinquere contro il consorzio Expojob che gestiva l'area cargo di Malpensa e dove il principale imputato, su oltre una dozzina, è l'ex Presidente del Varese Calcio. Si contestano fra gli altri reati fiscali (evasione iva e contributiva) per decine di milioni di euro. Parti civili: Sea – gestore aeroporti milanesi – e un'ottantina lavoratori iscritti al sindacato Cub Trasporti. Ma anche il caso di Stradella (Pavia) con la multinazionale americana Ceva Logistics finita in amministrazione giudiziaria preventiva. Perché la sezione misure preventive del Tribunale milanese, guidata dal giudice Fabio Roia, per la prima volta ha deciso di stabilire un principio: c'è una responsabilità anche dei committenti e non solo delle cooperative o dei consorzi in subappalto che lavorano per la committenza. Ma è materia di dibattito giuridico. Delicata e con tanti interessi in gioco. Nei poli logistici, inoltre, da dieci anni a questa parte combattivi sindacati di base hanno organizzato la forza lavoro immigrata con decine e decine di vertenze, come in Italia non se ne vedevano da anni. Il Si Cobas su tutti. Quando vengono licenziati o tagliati i posti di lavoro, di solito con i cambi appalto, quando viene proposto un contratto peggiorativo per i lavoratori, la sigla ferma tutti i magazzini dove è presente con i blocchi stradali ai cancelli. La merce non entra, la merce non esce. Sono 25mila iscritti in Italia, concentrati sopratutto in Emilia, Lombardia e Toscana. E non è un caso che negli ultimi due decreti sicurezza firmati Matteo Salvini quando sedeva sullo scranno più alto del Viminale, mentre tutti discutevano di immigrazione e ong del mare, lui incluso, qualcuno abbia pensato anche a loro. E una manina ha ri-penalizzato l'illecito di blocco stradale (depenalizzato nel 1999) con pene esemplari e collegandolo, curiosamente, al mantenimento del permesso di soggiorno.

Ecco tutto questo significa scioperi, manifestazioni, picchetti, ordine pubblico, scontri. Per capire il clima basti un aneddoto. Un delegato del SiCobas ha raccontato a Roma mesi fa che “quando dieci anni fa gli operai stranieri in sciopero davanti ai magazzini vedevano arrivare i carabinieri erano felici, perché pensavano che fossero venuti ad arrestare i capi delle cooperative”.

Ecco. Non è detto che tutto ciò piaccia alla cittadinanza e alle amministrazioni locali dei comuni di prima fascia intorno a Milano. Ceto medio, anche medio-alto. Che non vuole troppe storie. Piace altro a quei cittadini. A Segrate per esempio piace il Toc. Technology Operative Center, colosso privato della ricerca e della meteorologia, che come cliente più famoso ha ovviamente Mediaset per le previsioni meteo ma nasce in quell'area anche la storica presenza del Centro Meteo Regionale di Linate in mano all'aeronautica dal 1936. Traferito a Poggio Renatico (Ferrara) per la rabbia dei militari. Tutti voglio i centri di ricerca. I poli di eccellenza. Come l'area Mind su Expo o il PTP Park di Lodi, per quanto in dissesto finanziario. Oppure i grossi ospedali come il Galezzi sempre su Expo, la Città della Salute a Sesto San Giovanni, l'Humanitas a Rozzano. Pochi o nessuno vogliono la logistica “dell'ultimo miglio”. Last mile, come si dice in gergo.

C'è però qualcosa di connesso al last mile, che potrebbe riaccendere l'interesse. Perché internet non è solo logistica una volta tradotto sul territorio. È videoconferenze, Netflix, videochiamate ai nonni con whatsapp, smartworking per chi fa analisi finanziarie o di immagini satellitari, milioni di richieste online all'Inps con Pin personale o Spid dei servizi accreditati (Aruba, Intesa etc.) o all'Agenzia delle Entrate, deposito di pratiche edilizie online e via dicendo. Chi più ne ha più ne metta. Sono migliaia le attività che si possono fare, si fanno e si faranno sempre più da remoto. Significa una pesante ricaduta sulla banda digitale. L'Italia è sotto infrastrutturata da questo punto di vista. Lo sanno tutti. Un esempio? Ecco cosa dice a Fortune Joy Marino, presidente di MIX: è Milan Internet eXchange, il principale Internet eXchange italiano e tra i primi in Europa in termini di traffico veicolato, un punto di interconnessione in cui le reti degli operatori Internet in Italia, nazionali e non, si collegano per scambiare traffico IP tra loro. Dice Marino che “Il cambiamento c’è stato ed è ben visibile, sia per il volume di traffico scambiato sia per le fasce orarie interessate. Prima il massimo del traffico avveniva nella fascia serale (pensi allo streaming tv) con sporadici picchi infrasettimanali in occasione delle partite di calcio più importanti (nel 2019 avevamo raggiunto picchi di 900 Gbps, ma il traffico durante le giornate “normali” non andava oltre i 700 Gbps). Da quando è iniziato il lockdown, tutti i giorni superiamo i 1000-1100 Gbps (“un terabit al secondo”) a qualsiasi ora.”

Nei documenti informali del Governo Conte bis che girano a Roma si parla per interi capitoli di grandi piani di cablatura della penisola. Bisogna però trovare i soldi. Per non parlare di battaglie e scontri anche dal sapore geopolitico sul 5G con la Cina, mentre invece Fastweb con WindTre ha annunciato nel 2019 di scommettere ben tre miliardi di euro nei prossimi cinque anni (ora quattro anni) sulla tecnologia per creare la banda ultra-larga e cablare le città. “Digitalizzare” l'Italia, come si dice con un po' di retorica, da un punto di vista immobiliare ha delle ricadute di vario tipo. Non solo sulle case delle persone e sui posti di lavoro o gli uffici. Alla sorgente servono edifici in affitto o hosting da destinare a Data Center. Banalizzando, sono grossi capannoni che contengono server e sale dati, con pesante fabbisogno di elettricità e corrente ad alta tensione, punti di accesso alle reti di telecomunicazione e internet globali. Garantiti e sicuri. E ora ci sono operatori italiani e cordate straniere o internazionali pronte a puntare fiches di peso sull'internet italiano e il mercato connesso. Chi sono? Alcuni nomi dei player che da tempo si affacciano sul mercato: Supernap, ramo societario italiano con sede ad Assago del gruppo americano omonimo; Data4, francesi operanti oltralpe, in Italia, Lussemburgo e Spagna. Sede italiana a Cornaredo, a nord ovest del capoluogo lombardo. E infine Equinix, partner internazionale di colossi come Amazon Web Services (AWS), AT&T, Google Cloud, Ibm, Microsoft, Verizon e altri. L'unica manager italiana in Equinix è Sandra Rivera, membro del cda e già vice presidente esecutivo e amministratore delegato di Intel e presidente della divisione di telefonia informatica presso Catalyst Telecom.

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RICEVIAMO E PUBBLICHIAMO - CEVA LOGISTICS: PRECISAZIONE ALLA STAMPA

In merito all’articolo pubblicato da AffariItaliani.it, è doveroso precisare che:

- CEVA Logistics non è una multinazionale americana, ma una controllata del Gruppo francese CMA-CGM, leader mondiale nel settore delle spedizioni e della logistica.- La misura di prevenzione di Amministrazione Giudiziaria applicata a CEVA Logistics Italia è stata revocata il 6 maggio 2019, con 3 mesi di anticipo con decreto emesso dal Tribunale di Milano il 13 febbraio e depositato il 24 febbraio.

In particolare, il provvedimento conferma l’efficacia e la tempestività delle azioni poste in essere dalla nuova proprietà e dal nuovo management di CEVA in Italia, che ha sostituito il precedente nel segno della discontinuità.

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