Auto e Motori
Auto elettrica europea: la sfida impossibile delle batterie locali
Bruxelles punta al 75% di valore locale per le auto elettriche, ma i costi energetici e il calo della domanda allarmano l'industria: a rischio la competitività.


Il nuovo pacchetto automotive dell’UE ha un obiettivo ambizioso:
rafforzare la sovranità industriale europea imponendo che fino al 75% del valore delle auto elettriche commercializzate nel continente sia generato da componentistica e materiali prodotti localmente. Il centro della misura è il sistema batterie, oggi asse portante della competitività tecnologica dell’e-mobility.
Le bozze in discussione definiscono “europei” non solo gli accumulatori finali, ma anche catodi, anodi, elettronica di potenza e materiali raffinati. Una soglia molto più ambiziosa rispetto agli standard attuali, soprattutto considerando la dipendenza esterna per le materie prime. A supporto, Bruxelles ha allocato 1,8 miliardi per spingere nuovi investimenti, ma gli analisti avvertono che la criticità è strutturale: costi energetici più alti rispetto ai competitor globali, filiera semiconduttori fragile e tempi di sviluppo industriale incompatibili con regolazioni immediate.
Il settore si divide. Una parte dell’industria e dell’indotto storicamente europei punta a soglie robuste per attenuare la pressione competitiva internazionale. Altri attori, pur pienamente europei, chiedono criteri più pratici. La variabile metodologica è cruciale: l’applicazione per singolo modello, per vettura prodotta o su base media può cambiare la sostenibilità della misura per costruttori e fornitori con supply chain globali e progetti di investimento nello spazio UE.
Sullo sfondo, una congiuntura di mercato complessa. La domanda di elettrico cresce meno delle attese, gli incentivi sono stati ridotti, e il prezzo medio rimane sensibilmente superiore al termico. Qualsiasi forzatura sull’adeguamento delle filiere potrebbe far salire i costi industriali e quindi i prezzi, penalizzando un segmento ancora fragile. L’Europa già importa oltre metà delle elettriche da Paesi esterni all’Unione e molte delle tecnologie più competitive arrivano da operatori globali che hanno maturato economie di scala difficili da eguagliare nel breve periodo.
L’impatto occupazionale ed economico non è marginale: tra il 2024 e il 2025 si contano più di 30 mila posti persi nella componentistica, che salgono a oltre 58 mila includendo il periodo 2020-2023. La transizione rischia di comprimere ulteriormente i margini di una filiera già in contrazione. Anche l’energia resta un fattore critico: un’industria elettrificata richiede costi energetici stabili e competitivi.Da qui l’orientamento di una parte del mercato: preferire obiettivi graduali, flessibilità nel calcolo e periodi di adattamento più lunghi, trasformando la regolazione da barriera a catalizzatore. Un framework eccessivamente rigido potrebbe scoraggiare investimenti esteri e frenare la localizzazione di produzione, ricerca e know-how. Al contrario, una definizione dinamica di local content può diventare leva strategica per attrarre capitali.
La posta in gioco è chiara: decidere se l’Europa vuole costruire un ecosistema competitivo rendendo il continente il luogo migliore dove produrre, oppure se il tentativo di protezione finirà per rallentare la corsa tecnologica e gli obiettivi ambientali. Regole chiare e sostenibili, insieme a condizioni industriali favorevoli, restano la chiave per rendere l’automotive europeo resiliente e attrattivo.
