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Politica
Il crescente divario tra pochi super ricchi e tanti poveri porterà l’Italia al fallimento
Mensa poveri Caritas

Lo hanno chiamato «il virus della disuguaglianza». Il saliscendi dei contagi non è l’unico dato allarmante degli ultimi anni. Ogni giorno, in Italia, il divario tra ricchi e poveri aumenta. In una nazione già profondamente segnata dalle differenze sociali, l’emergenza sanitaria ha esasperato gli ampi divari su lavoro, salute e istruzione. I ricchi sono sempre più ricchi e i poveri sempre più poveri.

Il divario tra classi sociali non si colma, anzi continua a inasprirsi, a ritmi sempre più allarmanti. Secondo i dati raccolti da Eurostat, il 20% della popolazione con i redditi più alti può contare su entrate circa sei volte più alte rispetto a quelle di coloro che fanno parte della fetta di popolazione più in difficoltà. Un divario che arriva anche a 7,4 volte nel Sud Italia.

Nell’ultimo «Better Life Index» stilato dall’Ocse ogni anno e basato su diversi indici di benessere tra cui reddito, lavoro, condizioni abitative e istruzione, il reddito medio pro capite in Italia è pari a 26.588 dollari l’anno, un dato inferiore alla media Ocse di 33.604 dollari annui. Un dato che preoccupa, ma che impallidisce in confronto al divario tra le fasce più ricche della popolazione e quelle più povere. Lo stipendio medio del 10% più ricco è oltre dieci volte superiore a quello del 10% più povero (49.300 euro contro 4.877). Inoltre, la quota di reddito nazionale complessivo detenuta dall'1% più ricco è passata dal 7 al 10% negli ultimi 20 anni.

A questi numeri si aggiungono quelli pubblicati da Oxfam nel suo rapporto «Time to care». Secondo lo studio, il 20% più ricco degli italiani detiene quasi il 70% della ricchezza nazionale e il patrimonio del 5% più ricco degli italiani (titolare del 41% della ricchezza nazionale netta) è superiore a tutta la ricchezza detenuta dall’80% più povero. Andando più a fondo, se prendiamo il patrimonio dei primi tre miliardari italiani presenti nella lista dei “Paperoni” di Forbes ci accorgiamo che la loro ricchezza netta detenuta (37,8 miliardi di euro a fine giugno 2019) è superiore a quella del 10% più povero della popolazione italiana, ovvero quasi 6 milioni di persone.

Negli ultimi 20 anni, le quote di ricchezza nazionale netta detenute dal 10% più ricco degli italiani e dalla metà più povera della popolazione hanno mostrato un andamento divergente. La quota di ricchezza detenuta dal 10% più ricco è cresciuta del 7,6% mentre la quota della metà più povera degli italiani è lentamente e costantemente scesa, riducendosi complessivamente negli ultimi 20 anni del 36,6 per cento. Ci troviamo davanti alla scomparsa di quel tanto decantato «ceto medio».

Se il ceto medio rappresentava il 40% della popolazione italiana prima della pandemia, ora il numero si è ridotto, scendendo drasticamente al 27%. Per un numero sempre maggio di famiglie italiane la "persona di riferimento" è un anziano, magari pensionato e la classe operaia è sempre meno presente. E il motivo di questa diseguaglianza sempre più significativa è da ricercare nei redditi e nelle pensioni. «La perdita del senso di appartenenza a una certa classe sociale è più forte per la piccola borghesia e la classe operaia», osserva l'Istat.

Ed è sempre l’Istituto nazionale di statistica a definire i nove gruppi sociali di cui si compone l’Italia oggi. Ci sono i giovani "blue collar” (2,9 milioni di famiglie), le famiglie degli operai in pensione con reddito medio (più del 40%, ovvero 5,8 milioni di famiglie), le famiglie a reddito basso con stranieri (1,8 milioni), quelle a reddito basso di soli italiani (1,9 milioni di famiglie), le famiglie tradizionali della provincia (meno di un milioni di famiglie), il gruppo formato da anziane sole e giovani disoccupati (3,5 milioni di famiglie), le famiglie benestanti di impiegati (4,6 milioni di famiglie), le famiglie con "pensioni d'argento" (2,4 milioni di famiglie) e infine la classe dirigente.

Il gruppo sociale più povero, quello delle famiglie con stranieri, si ferma a una spesa media di 1.697 euro; si arriva poi agli oltre 3.000 delle famiglie di impiegati e delle pensioni d'argento fino alla classe dirigente che supera di poco i 3.800 euro mensili. I redditi da lavoro, spiega l'Istat, sono il motivo del 64% delle disuguaglianze, però una parte è determinata dai redditi da capitale, non sono solo redditi da lavoro. Le pensioni contribuiscono al 20% della disuguaglianza, e si tratta di un dato in forte crescita dal 2008, anche per via dell'invecchiamento della popolazione (nel 2008 la percentuale si fermava al 12%).

Tutto questi dati fanno rabbrividire. Se andassimo avanti di questo passo tra non molto la classe media del paese scomparirà definitivamente e la classe povera crescerà vertiginosamente. Avremo un paese con pochi ricchissimi e tanti poveri. La politica anche in questo caso cosa fa? Nulla come purtroppo spesso accade. L’attuale classe politica pensa a trattare temi che vanno nella direzione  di rincorsa al consenso non curandosi minimante di concentrarsi invece su temi fondamentali e strategici per il paese come ad Emilio questi che sto trattando. Io sono Andrea Pasini un giovane imprenditore di Trezzano Sul Naviglio e non ho paura nell’affermare che una  Nazione con pochi ricchissimi e molti poveri è una Nazione che non ha futuro e che è destinata al fallimento economico e sociale. L’arretramento della politica causato dai cambiamenti nelle politiche pubbliche adottate nella maggioranza dei Paesi avanzati è stata in parte la causa di questo processo di disuguaglianza sociale così marcato. Mentre gli anni ‘70 si sono distinti per la varietà di politiche e di manovre attuate dagli Stati per ridurre il divario ricchi-poveri, gli anni ‘80 hanno rappresentato una decisa inversione di tendenza. Difatti, le nuove politiche hanno abbracciato i concetti di liberalizzazione e di deregolamentazione. Molte attività pubbliche sono state privatizzate, sono state incentivate sia le imprese private che la finanza, limitando ogni forma di regolamentazione. E come risultato, la rottura degli schemi precedenti, ha prodotto un incremento di diseguaglianza.

Complessivamente, la combinazione di questa strategia politica ha generato, negli ultimi trent’anni, una dilatazione della forbice ricchi-poveri, creando una società sempre più diseguale. Le disuguaglianze non sono un fatto naturale, ma sono il risultato storicamente determinato dall’interazione tra attori politici, economici e sociali. Urge riportare all’attenzione delle Istituzioni la sfida alla riduzione del divario ricchi-poveri affinché, con opportuni strumenti, venga garantito a tutti un accesso il meno differenziato possibile a risorse economiche, sociali e naturali. In quest’ottica è interessante il contributo fornito dal Forum Disuguaglianze Diversità (ForumDD) nel rapporto ’15 proposte per la giustizia sociale’, in cui vengono avanzati ben 15 progetti, ispirati al pensiero dell’economista Atkinson e volti a ridurre le disuguaglianze. Sostanzialmente, esse mirano ad agire sul cambiamento tecnologico, sul rapporto lavoratore-impresa e sul passaggio generazionale, che sono i principali processi di creazione e di accumulo di ricchezza, al fine di invertire le tendenze attuali e dar vita ad una società più equa.

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