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Politica
La nostra Italia era credibile. Cirino Pomicino a tutto campo ad Affaritaliani

Paolo Cirino Pomicino nasce a Napoli il 3 settembre 1939 sotto il segno della Vergine. Si laurea con il massimo dei voti (110/110) cum laude in Medicina specializzandosi poi in Neurologia (70/70). Prima della grande ascesa in quota DC ha lavorato, come assistente ordinario e dirigente medico, presso il prestigioso nosocomio Cardarelli di Napoli.

I dati di una carriera virtuosa in politica parlano chiaro: Compromesso storico, Pentapartito, Quadripartito, Casa delle Libertà ed Europarlamento. Una lunga militanza nella Democrazia Cristiana per poi, con l’avvento della Seconda Repubblica, confluire nelle varie nuove anime centriste quali: PPI, DE, UDC, UDEUR, DCA e di nuovo UDC.

Dopo gli impegni comunali (in giunta) nel capoluogo campano, viene eletto a Montecitorio per cinque legislature, a partire dal 1976. Segue dunque la Presidenza della Commissione Bilancio, dal 1983 al 1987 (epopea Craxi), il Ministero della Funzione Pubblica del governo De Mita (’88-’89) e il Ministero del bilancio e della programmazione economica del governo Andreotti VI (’89-’92).  

Sposato con due figlie, l’ex Ministro vanta anche numerose apparizioni televisive come opinionista e altrettante “performance” giornalistiche per i quotidiani Libero e Il Giornale utilizzando, goliardicamente, lo pseudonimo di Geronimo.

Tra i protagonisti della Prima Repubblica si è reso oggi disponibile per un confronto su alcune tematiche che spaziano dai ricordi dei primi passi verso il mondo politico agli anni “caldi” del terrorismo, dall’era post Tangentopoli fino alla situazione globale odierna. Come suo solito non le manda a dire.    

Dott. Pomicino, da neurologo a Ministro. Un medico prestato alla politica. Quali le scelte e le motivazioni che l’hanno spinta fino a Montecitorio e Palazzo Chigi? La professione per cui si è specializzato nel periodo universitario non le è mancata nell’arco della carriera parlamentare?

Eravamo nel 1968 ed i medici ospedalieri si battevano per ottenere la riforma, arrivata appunto nel ’68, ed una dignitosa retribuzione arrivata poi nel 1970. Fui coinvolto nel grande sindacato dei medici ospedalieri (Anao) di cui divenni, nel 1973, uno dei segretari nazionali aggiunti. Dal sindacato alla politica il passo è breve e così, nel 1970, fui eletto consigliere comunale a Napoli dove trovai, tra gli altri, Galasso, Chiaromonte e tanti altri autorevoli politici. La passione politica che viaggiava sotto traccia nella vita universitaria esplose e fui eletto deputato nel 1976. Certo, la passione della neurochirurgia e poi della neurologia è rimasta sempre forte in tutti questi anni, ma l’altra grande passione, la politica appunto, è stata travolgente ed ha sempre primeggiato. La condizione della mia città, con i grandi bisogni atavici, alimentavano la passione e l’impegno al suo servizio.    

Lei è considerato uno degli uomini più  importanti della cerchia di Giulio Andreotti. Sorrentino sul “Divo” è stato un po’ “spietato” in merito. Sta di fatto che se Vittorio Sbardella e Franco Evangelisti erano considerati un po’ i “Re” di Roma (in quanto a consensi e potere), a Napoli non si muoveva “paglia” senza di Lei. Le decine di migliaia di preferenze in quel collegio ne sono concreta testimonianza. Dote innata? Amore per il territorio? Una politica schietta che sapeva ascoltare le esigenze dei cittadini? Qualche detrattore parlerebbe di “clientelismo”. Quale, in realtà, il segreto del successo anche in campo elettorale?        

Alla fine degli anni ’70 arrivarono nella corrente andreottiana molti giovani (Bonsignore, Baruffi, Bisagno, Fiori e tanti altri) e con loro cambiammo in profondità la corrente politica senza che Andreotti ci bloccasse in nessun momento. La corrente degli anni ’70 era al 5%, nel 1989 eravamo nel partito al 20% e al termine di quell’anno, in un convegno a Milano avviato da Nino Cristofori e concluso da me, vide la partecipazione del Presidente di Confindustria Pininfarina, di Carlo De Benedetti, di Alberto Falck, del Segretario della Cisl e di tantissimi altri. L’assenza di Andreotti vidimò la crescita definitiva della corrente che aiutò, con grande compattezza, Giulio nel suo governo e nella sua azione politica. Se ho o meno un talento naturale non spetta a me dirlo, ma l’amore verso il territorio era una costante di tutti i democratici cristiani che furono capaci, per questo radicamento, di battere i comunisti nella maggioranza delle regioni per oltre 40 anni. Le preferenze vengono criminalizzate solo da chi non ha un voto. Il nostro era un sistema per cui il deputato veniva scelto dall’elettore e non da un segretario di partito con liste bloccate. Clientelismo? Se così si chiama rispondere ai bisogni dei singoli oltre a quelli della collettività, io e i DC eravamo clientelari. Non è un caso che all’epoca l’85% degli italiani andavano a votare, oggi siamo al 55% sul piano nazionale e negli enti locali spesso al di sotto del 50%.    

Tutto si può dire tranne che la corrente “primavera”, di cui faceva parte, cresciuta in sordina e poi, con gli anni, salita in cattedra e divenuta la più influente della Democrazia Cristiana, aveva connotati di sinistra. La potremmo definire una corrente interna “filo destrorsa”, “filo americana”, “atlantista” e così via. Lei stesso infatti, dopo il crollo del sistema partitico post Tangentopoli si è mantenuto sempre all’interno di compagini riconducibile al centrodestra. Tuttavia le ultime dichiarazioni pro-Zingaretti dicono altro. Cosa sta cambiando in lei ultimamente?

Lei sbaglia! Quando si trattò di fare il governo della solidarietà nazionale nel 1976 e poi nel 1978 la DC e Moro vollero Andreotti ed il PCI non batte ciglio e neanche gli altri partiti. E’ un errore profondo dividere i democristiani  tra buoni e cattivi, tra destra e sinistra. La cultura democristiana era tale che consentiva al proprio interno le correnti di pensiero che intercettavano sensibilità diverse della società italiana come deve sempre avvenire in un grande partito di massa, ma lo zoccolo duro di unità culturale era fortissimo e la DC, fin quando visse, non ebbe mai una scissione e non praticava mai la ridicola ed autoritaria pratica delle espulsioni. Io ho votato alle ultime europee il PD perché ad oggi è l’unico partito non personalizzato e con una discreta democrazia interna. Il criterio della democrazia per un DC è dirimente. Non dimentichi mai che la DC era un partito di centro che guardava a sinistra e che l’Italia fu la prima a sperimentare positivamente l’intesa con i socialisti seguita, dopo qualche decennio, dalla Germania e da altri. Oggi in Europa, solo in Italia e brevemente in Austria, i popolari sono al governo con la destra. Io sono sempre stato in partiti guidati da DC e fui eletto a Strasburgo con l’Udeur di Mastella che, all’epoca, era alleato con la sinistra.

Quando dice che la DC era un partito di centro che guardava a sinistra immagino che intende solo al PSI (come poi è avvenuto) e non ovviamente ad altre aree troppo vicine al PCI

Certo che la DC guardava ai socialisti ma in gravi attacchi alla democrazia repubblicana non desisteva dal trovare un punto in comune anche con il PCI, che rappresentava quasi un terzo del paese. Questo però non interferiva nell’attività di governo tranne che nel 1976-1979 per la lotta al terrorismo rosso e allo stragismo di destra. Poi, nel 1985, andammo ad uno scontro referendario col PCI sulla scala mobile vincendo ancora una volta (governo Craxi-Forlani-De Mita).

Mi deve consentire un appunto. Lei è stato eletto a Strasburgo con l’Udeur di Mastella in alleanza con l’Ulivo. E’ pur vero che Mastella si è schierato a sinistra solo per un periodo perché come ben sappiamo è stato Ministro durante il governo Berlusconi. Così come un altro partito ex DC quale l’UDC di Casini (che è stato anche il suo partito) per molti anni è confluito nella Casa delle Libertà e PdL. Ci faccia capire. Lei dunque dopo il ’94 ha aderito ai partiti di centro (UDC-UDEUR) ma solo quando questi sono confluiti nell’Ulivo? E nel periodo della Casa delle Libertà e del PdL con Casini e Mastella?

I partiti di centro hanno in tutti i paesi a democrazia parlamentare la possibilità di scegliere le alleanze. Sino al 2000 non ero iscritto a nessun partito. Poi facemmo democrazia europea con Andreotti, d’Antoni e Zecchino, senza fare accordi con nessuno, contrariamente al mio tentativo di fare un’alleanza con Berlusconi, a quell’epoca entrato nel Partito Popolare Europeo. Poi Mastella si alleò con l’Ulivo (ormai il PCI non esisteva più) ed io mi candidai su insistenza di Mastella al parlamento europeo ottenendo un ottimo risultato. Nel 2006 mi candidai alle elezioni nazionali con Rotondi e i socialisti di De Michelis e tornai a Montecitorio. L’anno successivo fui trapiantato di cuore e fini così la mia battaglia in prima linea.

Perché, a suo tempo, ha optato per un dicastero di materia completamente diversa dalla sua professione originaria come quello del Bilancio e della Programmazione Economica? Ed inoltre. Come ha fatto a diventare così esperto del settore economico-finanziario dello Stato e della contabilità pubblica? Passione personale? “Obbligo” istituzionale?

Io sono convinto da sempre che un politico, se vuole formarsi e crescere, non può chiudersi nel perimetro della sua competenza professionale così come condivido appieno quel che diceva il vecchio premier francese George Clemenceau, “la guerra è una cosa troppo seria per lasciarla nelle mani dei militari”. Questo vale anche per gli economisti nei riguardi del Tesoro, per i medici verso la Sanità e così via. L’alta competenza porta con se rigidità culturali che impediscono quella flessibilità e quella visione generale che la politica richiede. Diceva Guido Carli che il governo dei tecnici o è una illusione o è una eversione, e l’Italia, da 27 anni, ha alla guida dell’economia un tecnico. Io ho avuto da sempre una grande passione per l’economia, ho molto letto e ho avuto come miei collaboratori al bilancio amici come: Paolo Savona, Mario Monti, Antonio Pedone e Giancarlo Morcaldo (capo dell’Ufficio studi della Banca d’Italia). Nei tre anni al bilancio, ogni mese, Carli, Formica ed io, facevamo un briefing con Andrea Monorchio, Carlo Azeglio Ciampi (governatore della Banca d’Italia) e Mario Draghi (direttore generale del Tesoro). Finito il governo ho continuato a coltivare la passione per l’economia e credo di potermi battere con le analisi di tanti opinionisti. Vede, la professione della politica è una dote necessaria che consente di avere una visione complessiva dei problemi.    

Le faccio dei nomi. Mi aggiungerebbe a fianco di ognuno un commento telegrafico? Anche solo degli aggettivi. Andreotti, Moro, Cossiga, De Mita, Craxi.

Andreotti, un grande statista ed un grande uomo di governo; Moro, un grande leader politico e di partito; Cossiga, un ottimo Ministro e amico, con qualche problema temperamentale; De Mita, un buon segretario di partito con qualche debolezza verso il pensiero azionista ma un grande e coraggioso democristiano; Craxi modernizzò il PSI sottraendolo alla mortale influenza del PCI.  

La stagione di sangue, il tragico periodo italiano del terrorismo, lo stragismo nazionale con ingerenze anche internazioni. Schegge impazzite difficilmente controllabili dell’ala estremista dei partiti o poca attenzione alle problematiche sociali della gente? Gli “scontri” veementi in parlamento di certo non aiutarono. Ci sono delle responsabilità anche politiche.  

La DC sconfisse il terrorismo rosso e lo stragismo di destra spingendo tutti a ritrovare quel minimo comune denominatore per difendere la democrazia repubblicana pagando con i suoi morti un prezzo altissimo ma doveroso per un grande partito democratico. Lo stesso PCI, ed in maniera diversa e più timida il MSI, concorsero a questo sforzo pagando un prezzo elettorale perché quei fenomeni terribili nascevano da una estremizzazione di alcuni aspetti delle rispettive culture politiche. Battemmo entrambi e consegnammo alla seconda repubblica un paese coeso socialmente e diventammo la quinta potenza industriale del mondo.

Giusta o sbagliata la tanto discussa linea della fermezza per la vicenda Moro? Quella voluta da Andreotti e gran parte dell’arco costituzionale. Non sembra abbia premiato, tutt’altro.

La tragica vicenda di Moro fu per la DC una tragedia umana ed un terribile attacco al cuore delle Stato. La DC scelse la strada della fermezza perché non si poteva riconoscere ai terroristi un ruolo politico ma tentò disperatamente di salvare la vita di Moro, d’intesa con la Chiesa di Paolo VI, e favorendo tutti i contatti anche attraverso i socialisti e quel mondo libertario a loro vicino. Solo gli sciacalli, che ieri attaccavano Moro, oggi imputano alla DC la linea della fermezza. Per questi i democristiani sono da ricordare e da elogiare solo quando sono morti.

Mani Pulite. Terremoto giudiziario. Tutti dentro. Tutti ladri. Però, come spesso accade, non è andata poi come si pensava. Il tempo sembra dire ben altro. Molte ombre sono emerse negli anni a seguire. Che giudizio storico si è fatto su quel periodo?

La storia di tangentopoli è tutta da scrivere ancora, ma ciò che si può dire certamente è che fu un disegno politico di cui io, Altissimo e Giuliano Amato fummo avvertiti da Chiaromonte, il quale ci disse che il PCI aveva scelto l’opzione giudiziaria per arrivare al potere. Noi avemmo la responsabilità, insieme a tutti gli altri partiti, di non aver spiegato che la politica aveva bisogno di risorse se non voleva diventare un soggetto al servizio dei grandi poteri finanziari. Resta il caso che solo i partiti di governo furono travolti mentre gli altri totalmente liberi dal peccato. Noi finanziammo tutti la politica democratica, oggi si finanziano i propri patrimoni. Si guardi la Lega, passarono dal cappio sventolato nell’aula di Montecitorio ai diamanti di Belsito, alle spese della famiglia Bossi e poi alla scomparsa di 49 milioni di euro. La storia si incaricherà di sbugiardare i moralisti che per interesse personale misero il paese sulla scia del declino fatto da ricchezze elitarie e da povertà di massa.

Vista la sua lunga e prestigiosa esperienza in campo politico nazionale, ci può fare una breve disamina delle “tre” Repubbliche? Ovvero. Mi spiego meglio. Mandiamo un messaggio anche ai giovani. Quali sono le differenze (pregi e difetti) secondo lei tra la prima (a tutti gli effetti la più lunga), la seconda (post mani pulite e crollo dell’antagonismo tra berlusconiani e d’alemiani) e l’attuale, considerata un po’ giornalisticamente la terza?     

La repubblica è una sola perché è sempre una repubblica parlamentare. Dopo il 1994 sono arrivati gli “abusivi” che hanno triplicato il debito pubblico in valore assoluto, hanno impoverito la maggior parte del paese, che dal 1995 è la cenerentola dell’Europa per tasso di crescita. Ai giovani posso dire due sole cose: nella costituzione il ruolo del partito è rappresentato come il ponte tra la società e le istituzioni, ma per fare un partito c’è bisogno di una cultura di riferimento che dà l’identità a ciascuno dei militanti, dei dirigenti e degli organi collegiali che selezionano darwinianamente idee ed energie. Fuori da queste due condizioni non ci sono partiti ma solo comitati elettorali. 

Declino, ricchezze elitarie, povertà, Italia cenerentola dell’Europa. Non può però far finta di nulla in merito alle forti ingerenze di commissari burocrati europei (miliardari e affaristi) che tendono quotidianamente a calcare la mano sui nostri governi e sulle scelte di una nazione che, fino a prova contraria, dovrebbe essere sovrana. Perché quando si parla (ad esempio) di temi quali la distribuzione dei migranti c’è l’Europa dell’elite che fa orecchie da mercanti?

In Europa i legislatori sono innanzitutto il Consiglio dei Capi di Stato e di governo e poi il parlamento. La commissione esegue le indicazioni di questi due legislatori. Nella sede del Consiglio io non ricordo alcuna battaglia dell’Italia politica, mentre sino al 1992 l’Europa era governata dal trio Khol-Andreotti-Mitterand. Poi venne la stagione di Prodi, ma l’Italia sovrana taceva. Anche oggi l’Italia sovrana sbraita e urla ma non va alle riunioni a Bruxelles né fa un offensiva persuasiva verso altri paesi e si dedica agli insulti ed alle intimidazioni. Le decisioni, insomma, si prendono in Consiglio e in parlamento, non altrove e quindi sparare a palle incatenate contro le Commissioni significa solo sbagliare il bersaglio. 

Lei parla anche di “abusivi” dopo il 1994 che hanno triplicato il debito pubblico. Altri sostengono il contrario. Ovvero che furono i vostri governi a lasciare una voragine immane che poi è ricaduta sulle generazioni future. Come risponde a queste illazioni? Da economista ci può dare una spiegazione tecnica? A Craxi e a quei governi imputano gravi danni di impoverimento. Ci può spiegare dove sta la ragione? 

Il debito pubblico degli anni Ottanta non fu dovuto ad un eccesso di spesa, quanto piuttosto ad una bassa pressione fiscale che dal 1981 (divorzio tesoro-Bankitalia) al 1986 fu di media intorno al 34/35%, mentre Francia e Germania erano già al 40/41%. Perché dopo il divorzio non si adeguò la pressione fiscale? Perché il paese era impegnato a  battere le BR e l’inflazione a 2 cifre con uno scontro politico con il PCI. Una politica fiscale restrittiva avrebbe causato una miscela esplosiva per la coesione sociale del Paese. Il governo Andreotti, Carli, Formica, Pomicino, azzerò per la prima volta il disavanzo primario realizzando un piccolo avanzo primario. Dieci anni dopo la società italiana degli economisti dichiarò che il primo governo che cominciò il risanamento dei conti pubblici fu proprio il nostro. Di questa dichiarazione degli economisti italiana ne ebbi conoscenza grazie ad una telefonata di Ferruccio de Bortoli e di Mario Draghi. Il resto della vulgata corrente è solo fuffa.

Una cosa è certa, prima la politica era al servizio del cittadino. Di lavoro non c’era gran penuria e le fabbriche “navigavano” a gonfie vele. Il benessere era tangibile. Metà anni Ottanta. Milano trascinava tutto lo Stivale ma in realtà erano gli Stati Uniti che trainavano gli alleati. Dopo il crollo del Muro tutto è cambiato per l’Occidente. I cosiddetti Paesi ricchi di un tempo (come il nostro) sono andati in recessione mentre l’est Europa, che sotto la scure dell’URSS “piangeva” sangue e dolore, è oggi in pieno sviluppo. Bravi voi e quella politica che metteva al primo posto l’occupazione o declino inevitabile per l’Italia di oggi causato da diversi fatti internazionali che non hanno nulla a che vedere con le questioni interne?

Se lei va a vedere i numeri del bilancio dello stato vedrà che con noi la spesa in conto capitale oscillava tra il 4/5%, mentre da 25 anni essa si è ridotta tra il 2/3%. Questo significa non mantenere il paese ne far investimenti su infrastrutture capaci di dare un effetto moltiplicatore sul tessuto industriale e su quello dei servizi. In più la presenza pubblica in molti settori dell’economia garantiva una forte innovazione con investimenti a redditività differita, ed utile per quel 95% di piccole e medio-piccole imprese italiane che oggi non hanno più alle spalle quella ricerca ed innovazione che garantiva una produttività ancora competitiva. Il grande salotto del capitalismo buono si è sfasciato perché qualcuno è fallito, qualcuno è scappato all’estero e molti hanno venduto. Il dato politico di fondo è che in quegli anni l’Italia era credibile ed affidabile con il concorso di tutti, mentre oggi, sempre con il concorso di tutti, non ha più alcuna credibilità né sul piano interno e meno che meno sul piano internazionale.  

Sul governo di oggi e su entrambi i partiti di Palazzo Chigi (5 stelle e Lega) non le chiedo nulla. Già sappiamo tutto. In più occasioni si è espresso anche con molta franchezza e impietosita. Tuttavia c’è una cosa che vorremmo sapere. Il ventennio di Berlusconi va totalmente cancellato dalla storia di questo Paese oppure qualcosa di buono si è fatto?

Berlusconi ha avuto un grande merito. Di aver fermato la famosa macchina da guerra di Occhetto intrisa di autoritarismo giudiziario ma ha avuto poi la colpa, solo in parte sua in verità, di puntare sempre e solo sul centrodestra e poi di non aver creato una vera classe dirigente né organi collegiali. Gli dicevo sempre “hai fatto un’azienda che ti sopravviverà ma hai fatto un partito che, al contrario, non ti sopravviverà”. E così è accaduto. La politica personalizzata e la selezione cortigiana l’ha introdotta lui in Italia, ed all’inizio così poteva anche essere, ma dopo avrebbe dovuto sposare un vecchio detto della DC; IL VERO LEADER E’ QUELLO CHE CONVINCE E NON QUELLO CHE ORDINA. 

Siamo in conclusione. Progetti per il futuro Dott. Pomicino?  

Primum vivere deinde philosophari     

 

 

          

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