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Palazzi & potere
La Cultura Parla al Palazzo/Francesca Serafini

Francesca Serafini, sceneggiatrice di film quali ‘’Non essere cattivo’’ di Claudio Caligari, autrice assieme a Giordano Meacci e a Dori Ghezzi del libro Lui, io, noi, (Einaudi),  e scrittrice al suo primo romanzo, Tre Madri, (La Nave di Teseo), dà prova di grande maestria nella cura della parola e nella struttura di un giallo ‘’esistenziale’’ ambientato in Emilia Romagna, nella città immaginaria di Montezenta, che ha per protagonista Lisa Mancini, giovane commissaria alle prese con la scomparsa di un ragazzino di quindici anni, River. Tanti modi di essere madri, ma anche figli.

 

Il Covid ha segnato inevitabilmente le nostre vite sotto molti aspetti. Nella tua vita di donna, sceneggiatrice e scrittrice, in che modo lo hai avvertito?

Per certi versi non ha cambiato la mia quotidianità. Quando scrivo, vivo in isolamento, che è l’unico modo per dimenticarmi di me e dare ai personaggi la voce che dovrebbero avere con la loro identità. Però, un conto è la solitudine che si sceglie, un conto quella imposta dalle circostanze. Per questo ho sofferto come tutti la mancanza degli altri. E quando uscivo dalle mie storie, la Storia intorno, di sofferenze e tribolazioni, mi ha trasmesso un dolore che da marzo dell’anno scorso non mi ha più abbandonato.

 

Prima Conte, poi crisi politica voluta da Renzi, infine Draghi nuovo presidente del Consiglio. Che cosa ne pensi della attuale situazione politica italiana?

Sull’operato di Draghi e del suo governo potrò esprimermi solo quando avranno cominciato a fare delle cose concretamente. La politica si giudica sulle azioni (come dovrebbe qualunque altra cosa, del resto) ed è troppo presto per esprimersi. Sulla base delle sue competenze, che non ho bisogno di ricordare io, mi auguro che Draghi faccia bene. Certo, il modo in cui siamo arrivati a lui mi allontana dalla politica, proprio in proporzione a quanto quella prassi ha allontanato la politica da quello che accadeva intanto nel paese e nel mondo. Piccole beghe di cortile, narcisismi e personalismi, in una situazione che richiederebbe più di sempre rigore ascolto e condivisione. Amarezza è la parola giusta per definire il sentimento che provo ora nei confronti della politica. Perché la politica è fondamentale ma non mi sembra che al momento riesca ad avere degli interpreti all’altezza del ruolo che dovrebbero rivestire.

 

Ritieni che una scrittrice, in quanto tale, debba possedere una coscienza civile maggiore rispetto agli altri?

No. Per il fatto che un senso civico forte per me dovrebbero averlo tutti, qualunque ruolo svolgano. Fare il pane, pulire una strada, guidare un camion, offrire assistenza sanitaria alle persone o scrivere concorrono allo stesso modo al bene della comunità, e tutti siamo chiamati a esprimere il nostro senso civico svolgendo con rigore e cura il nostro ruolo. Chi scrive, naturalmente, può esplicitarlo anche con la parola, ma non necessariamente, secondo me. Non ho lezioni da dare, ma un impegno preciso a lavorare sulla parola con il rigore dovuto ai destinatari delle cose che scrivo.

 

Nel tuo romanzo c’è una comunità di artisti che vive in maniera anticonvenzionale. Secondo te c’è un’alternativa al nostro modo di vivere? Mi riferisco al modello occidentale capitalista.

Non ho mai guardato alla comunità che racconto (e che prende ispirazione dall’esperienza di Mutonia, a Santarcangelo di Romagna) da questo punto di vista: mi interessava indagarne la storia letterariamente ma non mi sono mai posta la questione se potesse rappresentare un modello. Certo mi affascinano le scelte dei suoi abitanti. E anche il mondo occidentale potrebbe trarne degli insegnamenti. Imparare a ristabilire i parametri, ripartire dalle persone e dalle loro infinite possibilità.

 

Una scrittrice credi abbia le stesse opportunità di uno scrittore?

Il fatto stesso che si senta giustamente la necessità di questa domanda è già una risposta. Sogno il giorno in cui tutte noi verremo lette e valutate solo sulla base della qualità della nostra scrittura.

 

Tu, Antonella Lattanzi, Giulia Caminito, Marilù Oliva, raccontate nei vostri romanzi di donne, figlie e madri, di modi diversi di affrontare la maternità. Che idea hai rispetto al modello molto italiano di ‘’madre’’?

Già dal titolo del romanzo, che di madri ne prevede tre, metto in evidenza il fatto che di modi di essere madre ce ne sono molti, anche in Italia. Tutti molto difficili. Perché davvero credo che essere genitori sia una responsabilità enorme, che continuamente ci pone davanti a delle scelte delle quali non possiamo valutare da subito le conseguenze.

 

Instagram: @mariagloria_fontana

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