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Politica
Salvini a processo, il web non ci sta: "Morte sua vita loro"

Salvini a processo, il giorno della verità per il leader del Carroccio

Il tanto atteso verdetto è arrivato. Per l’affare Gregoretti Salvini dev’essere processato. Palazzo Madama si è espresso. Orecchie da mercante, nonostante l’arringa di Giulia Bongiorno e la mano tesa della colomba Casini. Il tutto davanti ai banchi completamente deserti di un governo assente. Pilato docet. Presunto reato, tra l’altro, commesso nel periodo in cui l’ex Ministro sedeva in maggioranza con i suoi stessi aguzzini.

Diciotti e Gregoretti, due casi da carta carbone. Per il primo si lancia la scialuppa, per quest’ultimo si spara la fiocina. Nel giro di pochi mesi si passa da un bell’OK di gruppo alla regolamentazione dei flussi migratori con tanto di muso brutto a Bruxelles, all’attuale incoerente volta faccia con tanto di ditino retratto alla “IO NON C’ERO”. Al tempo dei gialloverdi in tanti sapevano, o per lo meno in tanti apparivano solidali con il titolare del Viminale dinanzi all’opinione pubblica; premier, capi dicastero, sottosegretari, dirigenti ed attivisti. Come non ricordare il voto della piattaforma Rousseau o il pugno duro del precedente esecutivo contro un’Europa sorda e sbruffona al grido di: “vogliamo la sacrosanta redistribuzione degli sbarcati”.

Per molti, quel che è avvenuto ieri nell’aula del Senato, ha dell’incredibile. Un gesto a dir poco sconsiderato nei confronti di un collega pur sapendo che nel caso dell’Unità Navale della Guardia Costiera “Bruno Gregoretti” c’era l’avallo (più o meno palesato) di Chigi e dei vari ministeri e pur sapendo che la difesa dei confini territoriali è sempre (o quasi) legittima. L’ennesima pagina a dir poco infelice per una politica italiana in preda ad un’isteria senza controllo. Una scelta dettata non da specifici accordi di potere o da ipotetiche ideologie (alle quali in pochi credono ormai), ma da un malsano senso di squadrismo con chiare mire all’epurazione del nemico, ad ogni costo.

Una sorta di giornata della vergogna ove ad andarci di mezzo è qualcosa che ha a che fare con una parola ultimamente un po’ in disuso: l’ONORE.

Sono trent’anni (da Craxi in poi) che la “gioiosa macchina da guerra”, spinta da un mix ineguagliabile di odio, vendetta ed invidia mette in campo ogni tipo di arma per distruggere il rivale, financo la persecuzione. E’ accaduto con i socialisti, con i democristiani, poi con i forzisti e ora con i leghisti e il loro leader. O sei con loro o sei contro di loro. Garantisti quando gli fa comodo per poi tornare boia giustizialisti nel momento in cui lo “stipendione” è a rischio. La contraddizione regna sovrana.

Qualcuno si ricorda cosa accadde il 28 marzo del 1997, alle ore 18:45, nel mar Adriatico? La nave corvetta italiana Sibilla speronò e affondò la mo­tovedetta albanese Kater i Rades (Quattro in Rada) che si stava dirigendo sulle coste pugliesi. 120 disgraziati in fuga dall’Albania in rivolta. 81 perirono, 27 i dispersi e 34 i superstiti. Viene tristemente ricordata come la tragedia di Otranto. Era in vigore il “terrificante” blocco navale in virtù di un discutibile accordo italo-albanese aspramente criticato dall’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati. Il Presidente del Consiglio dell’epoca, Romano Prodi, molto tempo dopo (2013) alla trasmissione condotta da Giovanni Floris affermò che: “La sorveglianza dell’immi­grazione clandestina attuata anche in mare rientra nella doverosa tutela della nostra sicurezza e nel rispetto della legalità che il governo ha il DOVERE di perseguire”.

Quindi la sorveglianza at­tuata in mare è necessaria e il governo ha il dovere di perseguirla. Abbiamo capito bene?! E l’Albania era in guerra, a differenza di Tunisia, Marocco, Pakistan, Costa d’Avorio, Nigeria e via discorrendo.  

In epoca Sibilla il Ministro dell’Interno era Giorgio Napo­litano e il Presidente della Repubblica Oscar Luigi Scalfaro. Nessuno fu mai indagato. Il processo si limitò ai due soli comandanti delle imbarcazioni. Basta andare al porto di Otranto per ve­dere il relitto, divenuto memoriale dal titolo “L’Approdo”. Due pesi e due misure. Il sequestratore della Gregoretti e i Patrioti della Sibilla. Qualcosa come al solito non torna. Ma il popolo italiano sembra come assuefatto da certi meccanismi che hanno imperversato per decenni. Ha tollerato pazientemente 10 anni di presidenti non votati (Monti, Letta, Renzi, Gentiloni, Conte), ha mandato giù i bocconi amari della scure giudiziaria e si è visto scippare il democratico suffragio universale. Si passa dalle raccolte fondi in favore delle Ong straniere e delle pseudo-capitane eroine ai 15 anni di schiavettoni per colui che, secondo alcuni magistrati e la maggior parte dei senatori, è il “Grazianeddu” dei mari del sud.

Un popolo che andrebbe beatificato e poi santificato. Non si lamentano quei poveri terremotati ancora coperti di neve, non si lamentano i correntisti defraudati dalle banche, non si lamentano le vittime del ponte Morandi, non si lamentano le mamme delle figliuole violentate e uccise, non si lamentano i cittadini in preda alle razzie degli irregolari muniti di machete, non si lamentano i giovani che sono costretti a scappare dopo la laurea, non si lamentano gli anziani che vivono con una pensione da fame e non si lamentano le partite iva (i dimenticati da Dio) che lottano ogni giorno per sbarcare il lunario. Dove non arriva quella buffonata dello spread ci pensa la longa manus di qualche sceriffo togato. Un modus operandi da totalitarismo e la sovranità va letteralmente a farsi benedire. A nulla è servito il rapporto della Dia (Direzione investigativa antimafia) che cita: …per le organizzazioni criminali straniere in Italia il favoreggiamento dell’immigra­zione clandestina, con tutta la sua scia di reati satellite, per le proporzioni raggiunte, e grazie ad uno scacchiere geo-po­litico in continua evoluzione, è oggi uno dei principali e più remunerativi business criminali, che troppe volte si coniuga tragicamente con la morte in mare di migranti, anche di tenera età”.

E a nulla sono servite le parole del Dott. Nicola Gratteri (intervista a Panorama), il quale sostenne che: “bisognerebbe evita­re questo costosissimo servizio taxi e investire in uomini e risorse in quei tre o quattro Paesi del Centro Africa da cui partono i flussi migratori. Con molti soldi in meno rispet­to a quelli utilizzati oggi si potrebbero costruire là ospedali, scuole, strade: garantendo un futuro migliore a chi pensa di trovare in Italia e in Europa l’Eldorado. E sarebbe meglio evitare quell’atteggiamento di supponen­za che ha sempre caratterizzato la presenza occidentale in terre come l’Africa”.

Dopo l’infausta giornata di ieri il “mondo” del web, cartina di tornasole e specchio di una società al limite della sopportazione, reagisce con disappunto. Qualcuno sussurra “Morte sua vita loro. La poltrona non ha prezzo. Lo vogliono ammazzare con la galera quando la maggioranza del Paese è fuori da quei palazzi della vergogna”.

Altri invece si rifanno a qualche anno addietro: “il tradito potrà anche essere un ingenuo, ma il traditore, che sia ben chiaro, è e sarà sempre, natural durante, un vero e proprio infame!!!”.

Per come sono andate le cose, difficile dargli torto.  

 

 

 

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