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Bif&st, le pomeridiane e la rassegna internazionale
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Dopo il premio Alberto Sordi a Tommaso Ragno, come attore non protagonista di film come ‘Siccita’’, ‘Nostalgia’ e ‘Ti mangio il cuore’ proiezione del film internazionale: ‘Chien Blanc’ di Anais Barbeau Lavalette.

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Un film forte che entra dentro e assorbe tutta l’attenzione dello spettatore. Morte di Martin Luter King, il mondo nero è in subbuglio e le rappresaglie contro sono continue e violente. E qui diventa interprete del film un bellissimo cane lupo, trovato abbandonato sotto la pioggia dallo scrittore Roman Gary e dall’attrice Jean Seberg, coraggiosa sostenitrice dei diritti del popolo afro americano. Il cane viene accettato e diventa parte integrante della famiglia e compagno di giochi del bambino, finché un giorno aggredisce un uomo di colore.

È uno dei cani addestrati a fare male ai neri, un ‘cane bianco’ e qui sorgono i contrasti nella coppia perché lei vuole che il cane venga ucciso. Bellissima la scena in riva al mare quando lui punta la pistola contro l’animale, ma non riesce a sparare. Lo porterà da un addestratore nero che inizierà il percorso rieducativo del cane, passando attraverso una aggressione violenta nella scena e nel significato.

La morte crudele di un bambino di colore, il suo funerale,  coinvolgono la Seberg che si avvicina alla madre, ma viene respinta, perché la lotta che il popolo nero sta sostenendo appartiene solo a loro e alla loro disperazione. La coppia si allontana e qui c’è tutto il lavoro psicologico di lui che vuole salvare il cane a ogni costo, perché l’animale non ha colpa della crudeltà con cui è stato addestrato dall’uomo bianco. Lei, dopo giorni di assenza da casa tornerà, e riaccoglierà il cane fuggito dal rifugio per tornare “a casa”. Alla fine il cane rieducato ad accettare i neri, aggredirà il suo padrone che è bianco. Si sono invertiti i ruoli, non c’è equilibrio nella convivenza fra bianchi e neri, o gli uni o gli altri.

Superba l’interpretazione del cane, delicata e conflittuale quella di Jean Seberg che soffre per il popolo nero, rischia, combatte, ma rende conflittuale il suo matrimonio per il cane. Profondo, umano, lo scrittore  che affronta i disagi della posizione politica della moglie, il suo sparire per giorni e giorni probabilmente con un altro uomo, il dilemma di cosa fare del suo cane, fino alla soluzione che il cane stesso incardinerà quando invertendo il suo mondo umano da aggredire, passerà da quello nero a quello bianco, perché a gestirlo, a farlo restare in vita è solo l’uomo con i suoi limiti. Il cane nasce e vive come l’uomo vuole, e non è giusto, perché è leale, affettuoso, legato per la vita a chi gli tende una mano.

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L'esordio della rassegna internazionale ha raccolto consensi larghi: Ingeborg Bachmann ‘Reise in die Wuste’ (Viaggio nel deserto), di Margarethe von Trotta.

Un film in cui ogni  primo piano di lei, famosa scrittrice radicale austriaca, che ride che soffre che ama, è di una dolcezza sconcertante. Senza trucco, con un viso particolare, i suoi occhi parlano di amore e sofferenza. Due scrittori così diversi come possono amarsi e restare insieme? Lei libera, anticonformista, ansiosa di provare sempre nuove suggestioni e nuove interpretazioni del suo amore per lui, un amore che non ha il limite fisico della fedeltà che non le appartiene, ma quello di un amore vero che la coinvolge completamente. Quando scopre un quaderno di Max Frisch, in cui racconta tutto di lei, lo brucia, delusa ed esausta della sua gelosia, della sua normalità che a volte lo rendono crudele.

Vive a Berlino, lo incontra a Parigi, vive con lui a Zurigo, ma fugge per tornare a Roma, per incontrare Ungaretti di cui traduce le poesie con rara  delicatezza, per tornare al ‘Caffè Greco’ dove si sente come a casa. Gli uomini la desiderano per questo suo essere spontanea, vera, talvolta fuori dagli schemi della retorica amorosa. Lui riempie lo schermo, lei lo illumina.

Poi tutto il dolore di un amore che in lui muore, il distacco, il viaggio in Africa con un giovane appena conosciuto, che capisce il suo voler essere messa sotto la sabbia come una mummia, il suo voler cavalcare un cammello sprezzante del pericolo di cadere, il suo desiderare di stare con più di un uomo, e la la scena a letto non è di sesso, ma di rara delicatezza e poesia.

Poi ci sono loro con per sfondo le dune di sabbia del deserto, e lei che finalmente è libera. Che una regista adulta come la von Trotta, scriva una pagina così libera ed intensa insieme di amore, indica una visione diversa del sentimento che può unire una donna ad un uomo, e quando la produttrice del film dice di lei che riesce a rendere accettabile qualsiasi cosa dica o chieda le crediamo, perché questo film scrive una pagina di vero amore, nell’anticonformismo e nel rispetto di essere donna. 

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