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Canosa, dialogo interreligioso
L'intervista a don Felice Bacco

di Dario Patruno

Dialogo interreligioso: costruire la fraternità con gesti concreti, si può, si deve! L'intervista a don Felice Bacco - Canosa di Puglia.

Il Ramadan (che letteralmente vuol dire il "torrido", perché originariamente cadeva in estate) è considerato il mese più sacro, poiché in questo periodo - precisamente nella Laylat al-Qadr, la Notte del Destino - l'Arcangelo Gabriele rivelò a Maometto il Corano. La fine di questa festività islamica, celebrata il 10 aprile, è stata festeggiata con una ricca colazione nei locali della parrocchia.

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Accade a Canosa di Puglia, città dell’entroterra, situata nella Bat, di poco meno di 30.000 abitanti, grazie alliniziativa di don Felice Bacco, arciprete e parroco della Concattedrale Basilica San Sabino, primo patrono di Bari fino al 1138, quando la città adottò come patrono San Nicola. Don Felice che ha aperto ai fedeli musulmani gli spazi della mensa solidale Casa Francesco, ha dato la sua disponibilità a rispondere ad alcune domande.

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Cosa ha generato il desiderio di condividere i locali della parrocchia, con persone di altra religione monoteista qual è l’Islam per celebrare la fine del Ramadan e da quando questa iniziativa è stata intrapresa?

Sono due anni che offriamo ad un gruppo di circa 40 persone, la possibilità di consumare il pasto previsto per il Ramadan agli amici musulmani. Alcuni di loro frequentano quotidianamente “Casa Francesco”, la mensa solidale che tutte le sere offre a circa 60 persone il pasto caldo. “Casa Francesco” opera da circa dieci anni e nasce in seguito all’invito di Papa Francesco ad aprire le comunità ai bisogni dei poveri. Sottolineo che non abbiamo accolto i fratelli musulmani solo per la colazione di festa per la fine del Ramadan, ma durante tutto il periodo penitenziale.

“Dio, l’Onnipotente non ha bisogno di essere difeso da nessuno e non vuole che il suo nome venga usato per terrorizzare la gente” (Documento sulla fratellanza umana per la pace mondiale e la convivenza comune” di Abu Dhabi 14 febbraio 2019). Quindi può dire di aver iniziato a toccare con mano la declinazione di una modalità concreta di “fare pace”?

La pace nasce dal rispetto della persona umana, di ogni vita umana! Rispettare la storia, la religione, le tradizioni di ogni popolazione. E’ possibile la “convivialità delle diversità”, come sosteneva il compianto don Tonino Bello, senza pretendere di imporre agli altri la propria cultura. Il rispetto delle diversità è il fondamento della convivenza civile, quindi della pace e, nella misura in cui si cerca di conoscere le diverse culture e religioni, questo non può che arricchire le persone e il Paese stesso.

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Ritiene in tutta sincerità che possa essere un deterrente per tenere lontana la violenza dalle mura domestiche ed educare alla convivenza virtuosa sia le famiglie cattoliche sia le famiglie musulmane all’interno dei loro nuclei?

Nel contesto culturale presente c’è un esasperato individualismo, che porta all’esaltazione dell’”io” e alla negazione delle ragioni dell’altro. Convivere, convivenza, significa “vivere insieme”, aprirsi all’altro, rispettare il suo pensiero: questo vale sempre e per tutti!

Nella convinzione che le religioni sono al servizio della fraternità nel mondo, come è possibile dare ulteriore impulso a queste best practice nel rispetto delle differenze?

Secondo me, innanzitutto non bisogna generalizzare, pensando, per esempio, che tutti i musulmani siano fondamentalisti, e che quindi non c’è alcuna possibilità di dialogo con loro. Nella nostra comunità ci sono donne musulmane che collaborano con la Caritas nella distribuzione di viveri e di indumenti e vi assicuro che lo fanno con tanto amore. Molte volte è la non conoscenza dell’altro che porta alla chiusura e alla paura.

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Quali iniziative dovrebbe intraprendere la comunità politica locale e nazionale per facilitare questo incontro e favorire una convivenza pacifica?

Intanto, purtroppo, molte volte c’è indifferenza nei loro confronti, o si fa finta di non sapere che, comunque, ci sono! Non possiamo non chiederci: chi sono, quanti vivono nelle nostre città? Per poi chiederci: come vivono? Dove abitano? E, dopo averli identificati, cercare di offrire loro almeno un minimo di assistenza dignitosa. Questi sono i primi passi da muovere per cercare di integrarli, naturalmente per chi decide di rimanere nel nostro territorio. Quanto più si sentiranno accolti, tanto più cercheranno di integrarsi pacificamente, nel rispetto reciproco delle diversità, che si riveleranno come ricchezza, non minaccia o pericolo. Questi gesti rappresentano concrete testimonianze di speranza che allontanano violenza e odio, suscitando rispetto e amicizia per una autentica convivenza pacifica di uomini e donne appartenenti a fedi diverse.