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Epifania barivecchiana (Befanì e 'La cape du turche')

di Antonio V. Gelormini

Il racconto popolare, tra leggenda e tradizione, colora la ricorrenza dell'Epifania nel dedalo dei vicoli arabeggianti di Bari Vecchia.

Nella notte della Befana, trovandosi tra i vicoli e il dedalo arabeggiante di Bari Vecchia era facile imbattersi in improvvisati raduni di fantasmi, evocati dalle ‘masciàre’ solite riunirsi sotto “u arche de la masciare” (arco della strega o fattucchiera).

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Non distante da questo presidio ‘sinistro’ - in strada Querce al n. 10 - la testa scolpita di un turco ‘la cape du turche’, ancora oggi, campeggia minacciosa nell’architrave.

E’ probabile che secondo la tradizionale apposizione di maschere apotropaiche sui portoni o in cima agli ingressi delle proprie case, per spaventare e tenere lontano il maligno e proteggere l’abitazione, si sia deciso di usare il ghigno ripugnante di un saraceno, ma la leggenda colora la narrazione di una vicenda ben più suggestiva.

Dall'847 all'871, il capoluogo pugliese era stato la capitale dell'unico "Emirato dell'Italia continentale”, anche se non fu mai riconosciuto ufficialmente dalle autorità musulmane.

Nell'853 il comandante berbero Mufarrag succedeva a Khalfun, che aveva conquistato la città, strappandola ai Bizantini. Il nuovo reggente consolidava il suo potere ed estendeva i suoi possedimenti oltre i confini dalla stessa Bari: una sorta di Bari Città Metropolitana ante litteram.

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Una presenza - come si può immaginare - mal sopportata dai baresi, ai quali Mufarrag - smanioso di affermare la sua autorità - tentava di imporre anche il credo religioso, provando a fare opera di conversione e ordinando persino la costruzione di una moschea. Tanto da inviare al califfo di Baghdad la richiesta per il titolo di “wali”, ovvero emiro, senza ricevere mai risposta.

Preso in giro e deriso dai barivecchiani, per le ambiziose mire mortificate dai suoi stessi superiori e in un estremo tentativo di recupero della sovrana dignità, decise di sfidarli, provocandoli e sbeffeggiandoli per la viltà manifestata nelle credenze popolari.

Era di comune dominio che nella notte tra il 5 e il 6 gennaio, i vicoli della città facessero da sfondo all'apparizione di due befane: una buona ed una cattiva. La prima indaffarata a portare doni e calze piene di dolci ai bambini; la seconda, la malvagia Befanì - animata dal veleno del risentimento - decapitava con la sua falce chiunque incontrasse. Per questa ragione, i baresi si rinchiudevano in casa, per paura di incrociarla.

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Vantandosi delle sue abilità di combattente e prendendo in giro i suoi sudditi, Mufarrag si preparò ad affrontarla, armandosi di tutto punto, e in caso di vittoria avrebbe poi preteso la conversione in massa auspicata. Purtroppo per lui, lo scontro non andò a buon fine: prima ancora di scorgerne i lineamenti, nel buio della notte, Befanì gli falciò la testa che prese a rotolare sulle chianche di Bari Vecchia fino a conficcarsi nell’architrave di via Quercia, 10.

Mufarrag moriva nell'858, a succedergli fu Sawdan che governerà fino all'865. L'emirato sarà sconfitto solo nell’871 da un’alleanza di Bizantini e di Longobardi.

Da allora il monito popolare si tramanda nei secoli dei secoli a Bari Vecchia, ricordando “Il turco che, per non perdere la faccia, ci rimise la testa”!

(gelormini@gmail.com)

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Pubblicato sul tema: Il presepe e la fuga improbabile