Il futuro del futuro: orizzonti e prospettive - Affaritaliani.it

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Ultimo aggiornamento: 20:30

Il futuro del futuro: orizzonti e prospettive

Per certi aspetti, le riflessioni sul futuro che ci sottopone Ennio Tangrosso rimandano all'analisi incisiva che faceva Henri Bergson, filosofo francese e Premio Nobel per la Letteratura (1927), quando sosteneva che “La linfa vitale, la forza interiore per un uomo sta nella capacità di ricordare il suo passato o nella speranza del proprio futuro. Quando la profondità di questi angoli visivi, per una ragione o per l’altra, si attenua, allora è inevitabile la crisi dell’individuo”. La crisi di una società che ha smarrito il concetto propusivo di "speranza" e sembra non avere più familiarità con la forza responsabilmente etica dell'impegno, sorretta da quella del "sogno", è la testimonianza che la gramigna accidiosa del "poco, maledetto e subito" sta avevdo - se non ha già avuto - la meglio! Buona lettura (ndr)


 

di Ennio Tangrosso

Il temine futuro è lentamente e progressivamente scomparso da ogni articolo, giornale, rivista, rubrica, testo, programma televisivo, e perfino dai discorsi correnti. I motivi sono molteplici, sicuramente nel corso del tempo è stato troppo utilizzato e in qualche maniera si è svuotato; quindi, è stato banalizzato potremmo insomma dire che si è usurato.

Anche per le parole, come per tutto il resto, esistono le mode ed è innegabile che il termine futuro ha attraversato un lungo periodo nel quale era di gran moda. Il termine, infatti, veniva usato a proposito e a sproposito per ogni cosa, anche in affermazioni paradossali come ad esempio “ritorno al futuro”.


 

Tuttavia pur potendo disquisire su ogni aspetto dell’uso del termine la questione è un’altra, non è solo il termine che è scomparso dal lessico corrente, ma è scomparso proprio il “futuro”, il suo significato concettuale. Quello che verrà dopo di adesso o se si vuole fare riferimento al significato etimologico del termine futurus, che ci viene dalla lingua latina, quale participio futuro del verbo essere, in italiano più semplicemente: sarà.

Infatti, la questione è proprio questa: dove è finito tale significato? Che fine ha fatto il: sarà? Fino a qualche anno fa il futuro era carico di significati, l’intera filosofia di vita era impregnata di futuro, tutto l’agire delle persone e delle istituzioni era rivolto al futuro. La politica, non solo nel lessico, quanto nell'estensione del proprio agire e del confronto politico, andava indifferibilmente verso il “sole dell’avvenire” o i “luminosi orizzonti”.

Il futuro paradossalmente si è perso, si è dissolto, è svanito sotto la prorompente spinta e la forza poderosa del presente. Un presente immanente, pervasivo, infiltrante, travolgente. Un presente che riempie tutto e tutti e che si insinua e invischia in ogni cosa. Un presente che non dà spazio a niente e a nessuno, che ha cancellato dai ricordi personali e dall’immaginario collettivo il passato e, come in un gioco di prestigio, ha dissolto il futuro.

Tutto galleggia in un vorticoso presente: passioni, lavoro, famiglia, pensiero, successo, delusione, dolore, morte, tutto è qui ed adesso e dura l’attimo di un respiro, un battito di ciglia. Si dimentica tuttavia che pensare al futuro serve anche a trascendere l’adesso, qualsiasi esso sia, brutto, bello, insignificante; guardare al futuro può valere anche il valutare meglio l’adesso guardare il qui ed ora con maggiore distacco ed obiettività e magari apprezzarlo o svalutarlo potendolo guardare come da una diversa angolazione, “un fori campo”, un punto di vista panoramico e per questo più completo e nel caso, anche cambiare il presente mentre lo si vive.

Ma, incredibilmente nessuno pare chiedersi: “E dopo di adesso?”. Semplice, vi è un altro adesso e poi un altro ancora, senza alcuna prospettiva, senza una ombra di prospezione è “adesso e basta”. Tutto è sospeso nel qui ed ora in una virtualità sempre presente esattamente come avviene nel web e sui social.

Un clik e tutto è passato, andato, dimenticato, un altro clik ed è già tutto qui ora, adesso nel mentre con l’aggravante che con un altro clik il passato scompare senza lasciare traccia o si dissolve da solo in automatico basta selezionare “un timer per eliminare i messaggi effimeri”. Tutto è riportato in quello che ci scriviamo o ci diciamo ora e qualsiasi sia il livello della relazione il tutto non diventa passato né tanto meno futuro. Vale per il solo tempo della scrittura e della lettura.


 

Dovremmo tornare ad avere più considerazione del futuro esso è la parte del tempo che ancora non ha avuto luogo e che può essere pensato, desiderato, immaginato, eppure come dice Leopardi “il dì futuro del dì presente più noioso e tetro”, il futuro dà speranza e respiro al presente, senza futuro non c’è prospezione di vita si è costretti in un presente chiuso ed asfittico.

Pensando al futuro possiamo avere più rispetto del nostro presente delle nostre azioni, mentre le svolgiamo avendo più riguardo per noi e per gli altri, con il pensiero di voler sapere consapevolmente cosa volere per sé e cosa si lascia alle “future genti”, per usare una espressione dantesca.

Non avere futuro è la cosa che fa soffrire di più del dolere fisico e che da più angoscia a chi, per sciagurate e nefaste condizioni” non gliene resta molto tempo, proprio perché non può immaginare dove si troverà e cosa farà domani.

Il futuro richiama tutti noi alla responsabilità costante di cosa vogliamo fare della nostra vita e cosa vogliamo trasmettere e lasciare alle “future genti” e in questo c’è tutta l’urgenza di tornare a parlare, immaginare, usare al meglio il termine e soprattutto il tempo che non è, ma che sarà.

Il futuro è proprio quell’orizzonte indefinito e pertanto immenso che Paolo Sorrentino fa dire a Parthenope, la “ninfa” protagonista del suo film: “Lo vedi il futuro laggiù, Sandrì, è più grande di me e di te”… e di noi con l’unica ed esclusiva prerogativa che volendo possiamo immaginarlo e magari realizzarlo.

(ennio.tangrosso@virgilio.it)