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Il salotto delle idee - Rospi (PP): 'UE, spendere guardando al futuro'

Torna nel 'Salotto delle idee' Gianluca Rospi, Onorevole e presidente Popolo Protagonista, per animare la rubrica di Affaritaliani.it - Puglia: una sorta di virtual-agorà dove stimolare ed incrociare riflessioni, confronto, contributi e stimoli per un futuro dei nostri territori e delle nostre comunità. Un futuro più derminato e segnato dai loro protagonisti, anziché subìto o auspicato da decisioni spesso non condivise o avulse dai contesti di riferimento. Una piattoforma aperta, dove la parola d'ordine sarà costantemente sintetizzata da una convinzione: "La ricchezza è nella diversità" (ag) 

Recovery Fund, soddisfatto Michel<br>“L’accordo è forte, l’Europa è solida”

 

di Gianluca Rospi *

Come si suol dire, i numeri non portano rancore: non sono opinabili, perché non appartengono a questo o quel colore politico. Al 30 settembre 2020 l’Italia aveva impegnato 62 miliardi di euro dei 72 stanziati in suo favore dal bilancio 2014-2020 di fondi europei strutturali e di investimento, pari all’86% del totale; e ne aveva spesi solo 31, pari al 43% di quanto avrebbe potuto spendere (fonte: cohesiondata.ec.europa.eu).

Dati decisamente inferiori alla media dell’UE, nella quale i primi della classe nella spesa (Finlandia, Lussemburgo e Austria) hanno raggiunto livelli, rispettivamente, del 77%, 73% e 67%, mentre l’Italia occupa il terz’ultimo posto con alle spalle solo Slovacchia (42%) e Spagna (36%).

Van Der Lynden

Dati preoccupanti sebbene ci sia stato un buon recupero nel 2020, ultimo anno del ciclo di bilancio europeo iniziato nel 2014, che ha scongiurato lo spauracchio del disimpegno automatico di alcune risorse europee. Sarebbe stato un macigno nelle settimane in cui si sta lavorando sulla destinazione delle enormi risorse previste nel nostro piano NextGenerationEU: 223,91 miliardi, il 13% circa del Pil del nostro Paese, in sovvenzioni e prestiti.Ma il Belpaese è terz’ultimo anche nella classifica delle somme impegnate (cioè riferite a progetti già presentati e approvati dall’UE, sopravanzando solo Spagna (84%) e Lussemburgo (82%), tuttavia distante anni luce da paesi come Romania, Grecia, Irlanda e Croazia che hanno impegnato risorse attorno al 115%, quindi già pianificando investimenti in vista delle risorse della programmazione 2021-2027.

Matera giallo

Deludenti anche i livelli di spesa dei fondi FESR e FSE allo scorso 31 ottobre per quasi tutte le regioni del Mezzogiorno, quelle che dovrebbero spendere più velocemente per recuperare il gap con le aree più sviluppate. Gli impegni di spesa oscillano tra il 50% e il 70%, mentre i pagamenti tra il 30% e il 40%; a fare eccezione la Puglia con impegni di spesa al 93% e pagamenti superiori al 50% delle risorse programmate. Da valutare se bene o male ma, di certo, le risorse europee la Puglia le sta spendendo.

Le difficoltà nella spesa relativa ai lavori pubblici sono legate a quella “liturgia dell’impotenza” in materia di appalti che neppure questo Governo è riuscito a risolvere. Tra i motivi per cui la burocrazia imbriglia le catene decisionali anche l’assenza dei provvedimenti attuativi sulla riforma del codice appalti, rivisto radicalmente tre volte negli ultimi tre anni e mezzo, e che avrebbero potuto finalmente semplificare il quadro normativo. Mi riferisco al regolamento unico, che già due anni fa avrebbe dovuto sostituire le linee guida Anac, al sistema di qualificazione che avrebbe dovuto ridurre le quarantamila stazioni appaltanti, alla semplificazione e digitalizzazione delle procedure.

Merkel Conte

Numeri impietosi e che, anche stavolta, non provano sentimenti, ma suonano come monito, in questa irripetibile fase storica che vedrà una pioggia di liquidità ricadere nel nostro Paese con l’obiettivo di rilanciarlo. Tuttavia, le risorse in arrivo non saranno la panacea di tutti i mali, soprattutto se gestiti senza una governance seria, che possa muoversi attraverso maglie della burocrazia meno fitte e confuse.Dei 62 provvedimenti attuativi previsti dal codice del 2016, solo la metà ha visto la luce e molti sono stati poi congelati. In tre anni e mezzo sul codice si sono concentrate 547 modifiche, con 28 nuovi provvedimenti normativi. Una bulimia legislativa che, ne sono certo, non ha pari al mondo.

Per spendere efficacemente la montagna di risorse in arrivo per ammodernare le infrastrutture sarebbe auspicabile affidarsi per alcuni anni a una legislazione di emergenza ispirata, perché no, al modello del “decreto Genova”, concepito per la ricostruzione del ponte, avvenuta in due anni: un decreto - del quale fui relatore - che diede vita a un paradigma potenzialmente replicabile per le altre grandi sfide infrastrutturali dello Stivale. Un modello che, rivisto e corretto in alcuni punti, punterebbe su una burocrazia snella, sulla nomina di commissari ad hoc, sulla rotazione delle imprese e sulla libera concorrenza tra le stesse.

Le prime erogazioni del Recovery Fund sono previste a fine 2021 ma, nel frattempo, gli Stati richiedenti devono dimostrare nelle progettazioni di perseguire alcuni obiettivi fondamentali, per essere ammessi ai finanziamenti: rendere le economie più green, digitalizzate, maggiormente resilienti alle crisi e sostenere il potenziale di crescita nel medio-lungo termine.

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L’Italia per raggiungere questi obiettivi potrà contare su oltre 311 miliardi, perché ai già citati 224 del NGEU si sommeranno altre risorse residuali per quasi otto miliardi e gli 80 miliardi della programmazione europea 2021-2026. Considerate le ataviche difficoltà nell’investire cifre ben più limitate, il dubbio sulla capacità di spendere nei prossimi cinque anni somme così imponenti resta; tuttavia, se alla semplificazione della burocrazia si affiancheranno la responsabilità e il rigore richiesti dall’UE, il rilancio del nostro Paese potrà compiersi.

Responsabilità perché l’Europa chiede di spendere i fondi guardando al domani: occorre investire in sanità, istruzione, giustizia, pubblica amministrazione, digitalizzazione, sostenibilità ambientale e climatica, oltre che su riforme utili a modernizzare un Paese rimasto indietro in quasi tutte le grandi sfide.

Quanto al rigore, l’Unione Europea ha raccomandato a Italia, Francia, Spagna, Grecia e Portogallo di affrontare il problema del debito pubblico, annoso tallone d’Achille per l’Italia. In questa non prestigiosa graduatoria, il debito pubblico italiano (nel 2020 attorno al 160% del PIL) resta il secondo peggiore tra quelli delle economie avanzate, sovrastato unicamente da quello del Giappone, pari al 260% (che, tuttavia, essendo detenuto quasi integralmente dai giapponesi, è al riparo da rischi speculativi). Allargando la classifica del debito pubblico a tutte le economie mondiali, solo Sudan, Grecia, Eritrea e Libano fanno peggio dell’Italia; una condizione, quella del Belpaese, da orlo del precipizio che induce qualche politico populista ad agitare lo spettro della Troika, che tante ombre e poche luci ha raccolto durante l’interregno ad Atene.

GianlucaRospi

Più serenamente va detto che l’occasione del NGEU rappresenta un’irripetibile occasione per rilanciare l’Italia a condizione che il Paese sia liberato da quei lacci e lacciuoli che lo imbrigliano. L’incapacità dell’Italia di sfruttarlo per aumentare il potenziale di crescita a lungo termine dell’economia, eserciterebbe probabilmente un’ulteriore pressione al ribasso sul profilo creditizio nazionale, che si tradurrebbe in un mancato sostegno e stimolo della crescita, impedendo di ridurre nel tempo il rapporto debito/PIL. Un circolo vizioso dall’epilogo infausto, considerando che qualora saltasse il banco in Italia, l’intera Unione Europea sarebbe a rischio sopravvivenza.

Siamo, dunque, di fronte a una vera e propria prova di credibilità. Si dice che un politico guarda alle prossime elezioni, mentre uno statista alle prossime generazioni. La nostra classe dirigente adesso deve decidere da che parte stare, sapendo di avere gli occhi addosso delle generazioni che studieranno il Coronavirus sui libri di storia.

+ Onorevole e presidente Popolo Protagonista

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