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#iorestoacasa, il dopo Coronavirus con Stefano Bronzini - Rettore Uniba
Il colloquio con Stefano Bronzini, Magnifico Rettore dell’Università degli Studi di Bari ‘A. Moro’, sugli scenari odierni e le prospettive del dopo Coronavirus.
Ulteriore appuntamento con la serie di interviste per il Magazine di Radici Future e Affaritaliani.it - Puglia a persone, a personalità, a singoli cittadini ed a chi rappresenta dei mondi nel sociale, per entrare nelle pieghe del quotidiano “segregato” e per provare a intravedere gli scenari al di là della luce in fondo al tunnel.

Interconnessione globale ed isolamento fisico. Mancanza dell’altro e senso di impotenza, crollo del mito del presentismo e delle narrazioni del nuovo secolo, digitalizzazione forzata del sapere.
Queste sono solo alcune delle riflessioni, imposte dal tempo cupo del Coronavirus, di cui abbiamo discusso con Stefano Bronzini, Magnifico Rettore dell’Università degli Studi di Bari ‘A. Moro’.
Magnifico, stiamo assistendo al ritorno delle cose dimenticate e del senso critico?
“Stiamo vivendo la prima epidemia nell’era dei social, bombardati da informazioni, dati, bollettini e numeri. Ma spesso non abbiamo una base di lettura e una capacità critica. E l’idea della chiusura in casa come momento di riflessione è un po’ esaltata. È più utile essere consapevoli che la pandemia, che è stata superiore alla nostra tenuta, ha mostrato le crepe del sistema. La scienza ha conquistato le prime pagine ma è finita inglobata nei talk show. Come ateneo, poi, c’è da riflettere sulla teledidattica”.

Già, la vera sfida dell’Università. In tempi record.
“È stata fatta, è stato un valore civile per il senso comune di mantenere una normalità, seppur virtuale. Ma non abbiamo potuto analizzare gli esiti con previsioni di bilancio, non sappiamo cosa aspettarci dagli esami. Semplicemente è stato trasferito il mezzo, con l’urgenza di tenere tutti a casa. Adesso però servono riflessioni di lungo periodo. Di positivo c’è senza dubbio la forte accelerazione della digitalizzazione del sistema amministrativo. È anche vero, dall’altra parte, che abbiamo vissuto in tempi senza Catone: nessuno ha fatto il moralizzatore. Invece servirebbe un coinvolgimento e una partecipazione di tutti”.
Per qualcuno questa soluzione ha anche degli aspetti negativi, a tratti quasi antidemocratici.
“C’è prima di tutto un altro elemento, non legato alla tecnologia ma ad un’idea culturale. Per me la cultura è contaminazione di saperi, a livello verticale e orizzontale. La teledidattica annulla le esperienze di aggregazione, come l’associazionismo. Il dialogo è fra molti, adesso, però ognuno è in un luogo separato. Sono contento che tutto abbia funzionato per l’obiettivo #restiamoacasa, ma questo trasferimento meccanico richiede un grande approfondimento. E allora tocca chiederci: migliora la qualità di apprendimento? Qual è ora il vero obiettivo? Alcune risposte le stiamo costruendo insieme. C’è poi un nodo politico”.

Politico?
“È un momento difficile per il Parlamento, la gente chiede l’esercito nelle strade, i droni controllano oltre le regole della riservatezza, siamo schedati ed elencati, c’è il rischio che si svuotino le istituzioni. Di fronte a tutto ciò, le università dovrebbero riempirsi di giovani che facciano barricate per la dialettica aperta. Certo, la teledidattica può presentare dei pericoli, ma in questa fase abbiamo dovuto ridimensionare il percorso di formazione allo scopo primario di far stare tutti a casa”.
Insomma, servirebbe una nuova lotta in nome del sapere?
“L’epidemia ha evidenziato che nei settori in cui non si investe ci sono danni devastanti, dal sistema sanitario, alla ricerca, a quello carcerario. L’interrogativo rimane sempre quanto il sistema pubblico possa poggiarsi sul privato. Che succede se domani Teams (la piattaforma di teledidattica che usa Uniba, ndr) chiude il suo ‘rubinetto’? Anche da qui dobbiamo strutturare la vera riflessione sul sapere”.

Quale?
“Il sapere oggi prevede la multidisciplinarietà, non è più l’interconnessione fra due ambiti. Il Covid non è solo un problema della sanità. Ne usciremo solo con il concerto di tutte le scienze, una vera e propria fusione che risponda ad un’idea che va in direzione opposta al sistema nazionale italiano e che tende a recintare i saperi. Serve rivisitare il funzionamento, tutti insieme, uniti”.
A proposito, per Edgar Morin ripartiremo da un nuovo senso di comunità, con un “umanesimo rigenerato”.
“Il cammino è lungo, incerto e bisogna essere lucidi. La verità è che saremo diversi con la nostra storia. La sfida sarà alzare l’asticella del pensiero critico, che sembra essersi drammaticamente abbassato oltre ogni limite. Dovremo provare a svitare il protagonismo dei singoli, tornare a coltivare le nostre competenze senza egoismi ed interessi”.

