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Orchestra di Santa Cecila, la solidità espressiva del 'suono italiano'

di Pierfranco Moliterni

Avvenimento tra gli avvenimenti quello del ‘secondo debutto’ dell’Orchestra dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia al Teatro Petruzzelli di Bari. Secondo debutto, infatti, se andiamo indietro nel tempo: e cioè al 1966, quando il complesso ceciliano si presentò per la prima volta in assoluto a Bari, nel teatro più famoso, diretta da Fernando Previtali uno dei suoi prestigiosi direttori stabili.

Dal 2005 l’Orchestra ceciliana viene guidata dall’italo-americano-londinese sir Antonio Pappano: un altro figlio di ‘emigrati’, che si è fatto onore prima come pianista e poi come una delle bacchette direttoriali di spolvero internazionale; suo il merito di aver perfezionato la macchina orchestrale, ringiovanito le file degli strumentisti, conferito disciplina e autostima a quella che possiamo ben stimare essere una delle tre più grandi orchestre italiane, meritevoli di giocarsela sui campi (musicali) internazionali. Insieme ovviamente all'Orchestra Filarmonica della Scala a suo tempo fondata dal compianto maestro Claudio Abbado, e a quella del Maggio Musicale di Firenze a sua volta diretta da un altro mostro-sacro che risponde al nome di Zubin Metha.    

Giusto sottolineare che l’orchestra di Santa Cecilia è un complesso ‘nazionale’ sin dal lontano 1908, e cioè assomma e accoglie in sé i migliori strumentisti in circolazione, senza quindi campanilismi di sorta, ma badando al sodo che, per un organismo che vive di musica/suono, significa qualità dei singoli e assoluto amalgama alla ricerca continua, laboriosa assai, ardua, di una identità propria, di una carta di riconoscimento.

Yuja Wang e Sir Antonio Pappano
 

Tutto ciò, per una compagine sinfonica (non operistica dunque), significa una e una cosa sola: suono! Un suono proprio, riconoscibile e identificativo al massimo grado possibile; suono che si conquista mediante mesi e mesi, anni e anni di lavoro comune. Suonare insieme, respirare insieme, fraseggiare insieme, sentirsi, in uno, solisti ma nel contempo com-plesso (dal latino cum-plexus: abbracciare).

Ebbene, l’Orchestra Nazionale dell'Accademia di Santa Cecilia ascoltata al Petruzzelli da un pubblico straboccante ed entusiasta, ci è sembrata tutto questo, specie nell'esecuzione magistrale della Sinfonia n.2 in re maggiore op. 73, scritta da Brahms nel 1877.

Già, Brahms il progressivo come lo definì il rivoluzionario Schoenberg (quello della dodecafonìa e della musica moderna), che riconosceva in lui la solidità ineludibile della tradizione. Sir Pappano ha splendidamente guidato questa ‘sua’ compagine con chiarezza e insieme solidità di un impianto interpretativo che lasciava intravvedere la cifra identificativa dell’Orchestra di Santa Cecilia-anni 2000: e cioè “il suono italiano” che la fa apprezzare in giro per il mondo.

Suono italiano che discende dalla nostra tradizione violinistica, brillante sempre e mai introspettivo, chiaro e argentino persino nei passaggi più ‘oscuri’, laddove le sezioni dei fiati (corni, trombe e tromboni, legni) primeggiano, assolutamente.

Il programma impaginato per il Petruzzelli prevedeva anche una sinfonia di Haydn (…impercettibile qualche imprecisione nei primi violini), e poi il pezzo forte: il  Concerto n. 2 in sol minore op. 16 di Serghej Prokoviev, lavoro giovanile del 1913 che lo stesso autore eseguì proprio a Roma, all’Augusteo, tre anni dopo nel 1916, in pieno clima ‘futurista’.

Un concerto pianistico che è un po’ il terrore dei solisti di ieri come di oggi, tante sono le difficoltà tecniche a cui egli viene chiamato vieppiù evidenziate dalle impervie lunghe cadenze (dieci pagine a stampa!), qui a Bari divorate dalla solista yé-yé appena ventiseienne, la cinese-americana Yuia Wang,  un altro di questi ‘mostri costruiti in batteria’ con cui dobbiamo fare i conti, con cui i nostri giovani musicisti europei devono fare i conti. 

Successo a dir poco strepitoso dunque, per lei come per Pappano e la Orchestra di Santa Cecilia, la cui sola presenza, in controluce, dovrebbe far giustizia di chi taglia e taglia e taglia i contributi statali per la musica. Anzi della Musica, quella come questa ascoltata con la M.

Dimenticavamo di far notare… che tra le file dei musicisti ceciliani suonano - eccome suonano! - tre giovani pugliesi, nati qui da noi, formatisi qui da noi nei nostri Conservatori, ma poi affermatisi come si conviene, altrove. Ci piace dunque nominarli: Sara Gentile violoncello, Leonardo Micucci violino, Antonio Sciancalepore contrabbasso.  

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