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Salento, l'incubo della Sacra Corona Unita. Sciolto il Comune di Parabita

PARABITA  Le mani della mafia tra le istituzioni di un paese del Salento. È lo schema di sempre: voti in cambio di favori. L’amministrazione di Parabita è stata sciolta per mafia il 17 febbraio scorso: nel profondo sud della Puglia non accadeva da 26 anni, da quando, sempre con un decreto del Presidente della Repubblica, furono sciolte le amministrazioni di Surbo e Gallipoli, negli anni ruggenti della Sacra corona unita, quando le armi parlavano ogni giorno e la storia di alcuni cadaveri sarebbe emersa solo molti anni dopo, nelle confessioni dei pentiti. 

Parabita
 

Oggi emergono, all'interno del dossier riportato nel decreto presidenziale di scioglimento, i favori fatti alle famiglie vicine al clan Giannelli per assegnare buoni in denaro, lavori, alloggi popolari, locali commerciali e assunzioni tra gli operatori ecologici, con aggravio di spese per l'amministrazione. Eppure, quel paese protagonista di uno dei più truci delitti della «sacra corona unita» avrebbe dovuto stare in guardia. Il sindaco non se lo aspettava, si è difeso fino all’ultimo: ha scelto di non dimettersi pur sapendo che rischiava la grande onta dello scioglimento per mafia. Le pagine del decreto che manda a casa coattivamente l’amministrazione comunale di Parabita, firmate dal ministro Minniti, parlano di un'amministrazione diventata dispensatrice di favori e lavoro agli uomini del clan: si entra nel dettaglio delle occupazioni abusive agevolate, voucher, buoni lavoro e altro.

«L'amministrazione diveniva una sorta di distributore  a disposizione dell'organizzazione per le diverse tipologie di benefici ad essa assicurati, chiaro segnale di un'inequivocabile influenza del clan sulla vita dell'ente»- si spiega nella relazioneLa mafia è una metastasi che non passa da un giorno all'altro: si sa trasformare, si sa ripulire, sa sedersi nei posti che contano. I gruppi mafiosi sanno dialogare col potere: hanno i loro referenti. La ricostruzione del Prefetto di Lecce, Claudio Palomba e il decreto del Presidente della Repubblica ci fanno ritornare indietro, in un passato animato da terribili incubi. È ormai una ustionante macchia su Parabita quell'atroce omicidio di Paola Rizzello (diventata scomoda per il boss di turno) e della figlioletta Angelica Pirtoli.

Il 20 marzo del 1991 i killer che avevano ammazzato la madre, lasciandola tra le braccia della figlia, ferita e in lacrime (perché sparando alla pancia della donna che la teneva in braccio, avevano centrato anche il piede della piccola), tornano indietro per finire il lavoro: non possono lasciare traccia. Un mostro prende la bambina per i piedi e la sbatte violentemente sul muro fino all'ultimo respiro«Quattro, cinque volte sul muro» - confessa un pentito. L’omicidio più crudele della sacra corona ha due protagonisti, secondo la rivelazione del pentitoLuigi De Matteis e Biagio TomaQuesta è la mafia vigliacca di Parabita: gente capace di massacrare a freddo una bambina. Ora si è evoluta: fa affari con le istituzioni, ma ha sempre lo stesso cinismo e crudeltà. Angelo Corvo, l'ex parroco della chiesa di San Giovanni Battista a Parabita, spesso ricorda quell'omicidio del '91, incitando i fedeli a lottare contro la mafia: un atteggiamento che il clan Giannelli non gli perdona, tanto da decidere di farlo fuori (sono stati intercettati e bloccati prima). «Lo scioglimento del Comune  è uno schiaffo salutare: gli onesti si facciano sentire» - ha commentato il prete all'indomani del clamore suscitato dall'intervento del Prefetto. 

Il decreto del Presidente della Repubblica, che scioglie il comune di Parabita, è pesante come un macigno: dipinge un quadro allarmante in cui la mafia è tra le istituzioni. Con le elezioni del 31 maggio del 2015 viene rinnovato il Consiglio comunale, ma il cancro mafioso aveva già ammantato le istituzioni, secondo gli inquirenti. «All'esito di approfonditi accertamenti, sono emerse forme di ingerenza della criminalità che hanno esposto l'amministrazione a pressanti condizionamenti, compromettendo il buon andamento e l'imparzialità dell'attività comunale».  Per i 18 mesi di incarico, fino alla data delle elezioni, la commissione straordinaria composta dai viceprefetti Andrea Cantadori e Gerardo Quaranta e dal dirigente Sebastiano Giangrande dovrà sforzarsi di  «rimuovere gli effetti pregiudizievoli per l'interesse pubblico». Il 14 dicembre del 2015 il gip del Tribunale di Lecce emette un'ordinanza di custodia cautelare in carcere nei confronti di 22 persone ritenute affiliate alla «sacra corona unita»: c'è anche il vicesindaco di Parabita, Giuseppe Provenzano, accusato di aver agevolato assunzioni e di aver avuto rapporti col clan a fini elettorali. Le accuse per i vari personaggi arrestati vanno dal traffico di droga, all'estorsione, passando dalla corruzione all'associazione mafiosa, fino al porto abusivo di armi. Il prefetto di Lecce, Claudio Palomba, che ha lavorato a braccetto con il Comitato per l'ordine e la sicurezza e con l’ormai ex procuratore generale Cataldo Motta su questa vicenda, ha redatto una relazione, del 28 novembre del 2016, «in cui si dà atto della sussistenza di concreti, univoci e rilevanti elementi su collegamenti diretti e indiretti di amministratori locali con la criminalità organizzata di tipo mafioso e su forme di condizionamento degli stessi».

Anche alcune sentenze della magistratura hanno certificato che la «sacra corona» è viva e vegeta sul territorio e ha un leader riconosciuto: pensavamo fosse un ricordo, ma abbiamo cantato vittoria troppo presto. I clan storici si riorganizzanoNel decreto del Presidente della Repubblica si puntualizza che la mafia ha saputo inserirsi in modo efficace nella pubblica amministrazione. Dal Ministero, in base alla documentazione esaminata, parlano di «scambio politico-mafioso»: il vicesindaco, secondo l'accusa, è «il veicolo consapevole per favorire gli interessi criminali». La sacra corona unita aveva in mano il Comune di Parabita, secondo gli inquirenti. La mafia ha sostenuto alcuni amministratori locali e in cambio ha chiesto più di qualche favore: l'accusa del voto di scambio emerge con forza nel decreto presidenziale di scioglimento. Il vicesindaco si definisce «santo in paradiso» della mafia, «palesando il suo status di punto di riferimento della consorteria all'interno dell'ente». I vertici del clan, infatti, esultano in rete per la vittoria elettorale del 2015: è una vittoria di alcuni uomini su cui avevano puntato per mettere le mani sull'amministrazione locale, su appalti e assunzioni.

Il vicesindaco è definito nel decreto di scioglimento «factotum amministrativo del clan», intento ad assumere gli uomini segnalati dalla mafia e a migliorare le condizioni lavorative degli uomini legati alla malavita che lavorano in ditte operanti nell'ambito di appalti pubblici. Il prefetto di Lecce descrive l'impegno dell'amministratore nell'assumere uomini del clan nella ditta che si occupa della raccolta dei rifiuti del Comune. Poi, c’è la questione delle case popolari. L’ente preposto non sgombera gli alloggi abusivamente occupati da uomini del clan: c'è uno scambio. Si chiude un occhio in cambio di voti: questo è quanto emerge nel dossier delle forze dell’ordine. Nel decreto si ricorda la segnalazione della Commissione di accesso, che accusa il sindaco di aver requisito con un'ordinanza alcuni alloggi e di averli assegnati a soggetti che non rientravano nelle graduatorie e non avevano titolo per ottenerli: tra i «fortunati» destinatari di questi provvedimenti c'era anche un pregiudicato vicino alla consorteria locale. «Anche la procedura per l'assegnazione di contributi economici e buoni lavoro per prestazioni occasionali risulta viziata - si legge nel decreto - Risultano beneficiari delle prestazioni esponenti della criminalità organizzata, loro familiari o persone a essi legate da rapporti di frequentazione». Sono tanti i favori che l'amministrazione può fare: il capo clan si interessa alla gestione di alcuni locali commerciali per riciclare denaro sporco, questo emerge dalla sentenza del 12 ottobre 2016, riassunta nel decreto di febbraio.

«Dagli atti in possesso degli inquirenti emergono in particolare contatti intercorsi tra l'amministrazione ed esponenti del clan, finalizzati a garantire la gestione di un esercizio commerciale da parte di uno stretto congiunto di un affiliato alla locale consorteria». Insomma, emerge una «conclamata capacità dell'organizzazione criminale di inquinare l'amministrazione comunale, ottenendo come contropartita del proprio sostegno elettorale, da alcuni candidati, favori di vario genere». 

Nel decreto si ricordano gli slogan in favore del vicesindaco da poco raggiunto da provvedimento di custodia cautelare in carcere per concorso esterno in associazione mafiosa: era il 10 gennaio del 2016, in occasione di un incontro di calcio. Per il prefetto si trattò di un inequivocabile segnale di consenso nei confronti di esponenti interni ed esterni al clan mafioso. Alla marcia della legalità a Parabita, in concomitanza con quell'incontro di calcio, non partecipano sindaco e alcuni assessori. Le anomalie segnalate nel decreto del Presidente della Repubblica riguardano anche alcune vicende urbanistiche, in particolare il rilascio di un permesso a costruire in variante concesso a una società il cui socio è un amministratore comunale (accusato dai magistrati di essere uno dei referenti del clan) che non si è astenuto dalla giunta, pur avendo interesse nel procedimento, in violazione delle norme vigenti. L'onta ha travolto il Comune del Salento, ma forse ha ragione il parroco: è uno schiaffo che serve a creare gli anticorpi, proprio nel momento in cui la mafia stava ammantando definitivamente le istituzioni locali e la comunità. 

Gaetano Gorgoni

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