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Trifone Gargano, l’Italia di Dante, secondo Eraldo Affinati e Giulio Ferroni

Anche Affaritaliani.it - Puglia ha deciso di celebrare i 700anni dalla morte di Dante Alighieri, dedicando ogni week-end questo spazio per la pubblicazione di lavori ad opera di dantisti pugliesi o di autori, i cui articoli sono ispirati all’influenza del Somma Poeta sulla realtà pugliese in particolare o quella italiana in generale.

Gargano Trifone declama

Dopo l'esordio in accoppiata con Mina, i riflettori accesi su Netflix con la fiction di successo con Sabrina, e le incursioni ne "La casa di Jack" di Lars von Trier, l'incontro con Harry Potter nella saga di Joaanne K. Rowling; l'avventura tra i twitter fulminanti delle terzine di dantesca memoria, l'esplorazione dell'influenza del Sommo Poeta nella prosa contemporanea; e dopo l'incursione dantesca nel mondo del giallo e l'approdo in Sicilia negli intrighi di nino Motta, il viaggio con Trifone Gargano (Pugliese, Docente Didattica Lingua Italiane e Informatica per la Letteratura, nonché dantista e divulgatore letterario) continua tra le pagine dei libri di Eraldo Affinati e Giulio Ferroni. (ag)

esilio Dante

di Trifone Gargano

Singolare libro, questo, di Eraldo Affinati, sui luoghi della letteratura italiana. Racconto di viaggi e di incontri tra e con gli Autori, ma, soprattutto, racconto di viaggi nei luoghi e nei paesaggi (letterari e reali) della letteratura italiana, da san Francesco, a Pasolini. Già il titolo del volume, Peregrin d’amore, è un omaggio a Dante, con la citazione dal v. 4 del canto VIII del Purgatorio, che poi, nel libro, Affinati riprende, con contesto di citazione più largo (estendendo cioè ai vv. 1-9), nel capitolo del libro esplicitamente indirizzato a Dante Alighieri, Lido Dante. Anche per questo capitolo, ovviamente, l’approccio letterario di Affinati avviene attraverso l’evocazione di un luogo, e precisamente:

"la lunga striscia di terra davanti al Mar Adriatico"

noto come il “lido di Dante”, il posto in cui, verosimilmente, il poeta, nella notte fra il 13 e il 14 settembre del 1321, morì, ucciso dalla malaria, a soli cinquantasei anni.

Affinati cop 01

Affinati si aggira lungo questa striscia di terra, alla ricerca di un contatto umano, ma soprattutto animato dalla speranza di ricordare e di rievocare momenti, volti e circostanze del poema dantesco. Egli pensa al personaggio Dante, che, già nei primissimi versi del poema, nella cantica infernale, dice di aver smarrito la via, riflettendo sul senso del viaggio. Affinati, dunque, novello peregrin d’amore, che colloquia, in questo capitolo dantesco, con un anziano professore, oramai in pensione, un certo Giuseppe Tricca, già docente di lettere, che ha sempre coltivato la passione e lo studio per Dante Alighieri e per la Divina Commedia, e che, adesso, quindi, in questo colloquio, sottopone all’attenzione dello scrittore-viandante, per girargli alcuni interrogativi critici.

La riflessione, a voce alta, dell’anziano professore, infatti, si sofferma su questioni, momenti e figure del poema dantesco, tra i più dibattuti: dal ruolo della terzina, adottata da Dante, nel poema, come geniale soluzione metrico-narrativa; alle figure di Paolo e di Francesca, del V canto dell’Inferno; a quella di Filippo Argenti, che giganteggia tra gli iracondi, nel canto VIII dell’Inferno; oppure, alla figura di Pier delle Vigne, collocato tra i suicidi, trasformato in pianta, in quella selva «di color fosco» (v. 4), nel canto XIII dell’Inferno, protagonista assoluto (e memorabile) del canto, quasi schiacciato dalle severe parole di Dante:

"L’animo mio, per disdegnoso gusto,

credendo col morir fuggir disdegno,

ingiusto fece me contra me giusto" [If. XIII, 70-2]

Lido Dante Ravenna

In chiusura di capitolo, Affinati, salutando l’anziano professore, gli chiede cosa possa insegnare, oggi, a suo giudizio, cioè, a giudizio di uno che ha dedicato la vita intera allo studio e all’insegnamento, cosa possa insegnare, dunque, oggi, la Divina Commedia a un lettore di terzo millennio. Il professore gli risponde che, oggi, a suo giudizio, dal poema dantesco, si debba ricavare, come lezione di vita, quella dell’esistenza «del limite» (p. 43); precisamente, il monito che, solo accettando la presenza di un limite, nella nostra esistenza, ciascun uomo può diventare davvero adulto.

Ferroni cop 01

Opera firmata da uno dei più grandi interpreti di Dante, Giulio Ferroni, autentico maestro di generazioni di studenti, e critico letterario tra i più raffinati. Come ben recita il sottotitolo di questo ponderoso e fascinoso volume, Viaggio nel paese della Commedia, il libro di Ferroni è un singolarissimo atlante letterario, che conduce il lettore alla scoperta (o alla ri-scoperta) della geo-fantastica del poema dantesco: Firenze, Siena, Roma, Venezia, Tagliacozzo, Verona, Orvieto, Anagni, La Gallura, Pistoia, Ravenna... (sono ben 25 le pagine dell’Indice dei Luoghi, sistemate in coda al volume, per la curiosità del lettore scrupoloso, come mappa di orientamento, all’interno dell’universo fantastico e reale della Divina Commedia). Grazie alla (piacevolissima) lettura di questo libro, il lettore, infatti, percepisce immediatamente che l’affermazione secondo la quale Dante sia l’Italia, non è affatto un luogo comune o, peggio, un modo di dire, quanto, piuttosto, un dato di fatto. L’Italia intera, ciascuno di noi, è Dante.

Giulio Ferroni, pellegrino (d’amore), inizia il suo viaggio con l’omaggio a Virgilio, alla tomba del poeta, a Napoli, con una duplice citazione; dapprima il saluto dantesco al suo duca:

O de li altri poeti onore e lume,

vagliami ‘l lungo studio e ‘l grande amore

che m’ha fatto cercar lo tuo volume [If., I, 82-4]

poi, Ferroni precisa perché abbia scelto proprio Napoli come prima tappa di questo suo viaggio dantesco:

Vespero è già colà dov’è sepolto

Lo corpo dentro al quale io facea ombra:

Napoli l’ha... [Pg., III, 25-7]

Dichiarando che, da tempo, avesse avuto in animo d’intraprendere questo viaggio nei luoghi del poema, incuriosito e affascinato dall’idea di verificare quanto quei luoghi si fossero caricati di memoria letteraria, nel corso dei secoli; quanto fossero ancora vivi; o, al contrario, silenti, abbandonati, dimenticati, nel disgregato presente. Un viaggio, dunque, alla ricerca della bellezza, ma anche dello sfacelo di tanta Italia, di ieri e di oggi. Un viaggio sui luoghi visitati (toccati), calpestati direttamente da Dante; oppure, sui luoghi dei quali il poeta avesse solo sentito parlare; o, ancora, sui luoghi dei quali avesse soltanto letto, rendendoli, in ogni caso, tutti, così vivi e così reali, grazie proprio alla sua parola (poetica).

Dante

"Quell’umile Italia", che già compare all’inizio del viaggio dantesco (If., I, 106); il «bel paese là dove ‘l sì suona» (If., XXXIII, 80), a celebrare, con l’idea di nazione (molti secoli prima della nascita della nazione), l’idea di unicità linguistica, in un orizzonte geo-storico ben definito, e cioè quello della «serva Italia, di dolore ostello» (Pg., VI, 76), come Dante annota, con lucido e profetico dolore, in uno dei canti iniziali del Purgatorio.

Il viaggio di Ferroni si conclude (alle pp. 1165-1170) con il ricordo dei vv. 109-11 del canto XV del Paradiso, uno dei tre canti di Cacciaguida, l’avo Cacciaguida, la sua Firenze, quella «dentro da la cerchia antica» (Pd., XV, 97), «sobria e pudica» (v. 99), per contemplare la città da nord, con l’occhio malinconico e severo dello stesso Cacciaguida, che preannuncia già la futura decadenza di Firenze. Ma Ferroni, con un guizzo di fantasia, immagina che Dante, guardando la sua città dall’Uccellatoio (località, appunto, a nord di Firenze), pensasse (già) ai versi di Paradiso XXV:

firenze
 

Se mai continga che ‘l poema sacro

Al quale ha posto mano e cielo e terra,

sì che m’ha fatto per molti anni macro,

vinca la crudeltà che fuor mi serra

del bello ovile ov’io dormi’ agnello,

nimico ai lupi che li danno guerra,

con altra voce omai, con altro vello

ritornerò poeta... [Pd., XXV, 1-8]

dando voce alla nostalgia del pellegrino Dante, sorretta dalla speranza di poter rivedere, un giorno, la sua amata Firenze.

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