Roma
Atac sciopera con un giorno di anticipo. Tra corse cancellate e attese al sole
Una giornata sui mezzi del centro storico romano tra ritardi e bus fantasma
Lo sciopero dell'Atac parte con un giorno di anticipo e lascia i romani a piedi.
di Diana Maltagliati
Un'altra storia di ordinaria follia sotto il cocente sole della Capitale, dove i cittadini impazziscono per trovare un mezzo. La firma però stavolta non ce la mette Charles Bukowski, ma l'Agenzia di Trasporto di Roma, visto che chi ancora non ha avuto la fortuna di partire per le vacanze fatica a raggiungere il posto di lavoro. “Che ci devi fare? È Roma” è la frase che da milanese mi sono sentita ripetere più di qualunque altra da quando mi sono trasferita, ma proprio perché vengo da una città dove il servizio pubblico funziona, voglio dare voce al pensiero dei tanti romani che mi hanno fatto compagnia nelle ultime ore alla fermata dell'autobus.
La giornata parte benissimo, devo addirittura correre per riuscire a prendere il primo bus che da casa mi deve accompagnare in pieno centro, a Piazza Venezia, ma la folla alla fermata vicino a villa Sciarra mi fa intuire che la mia stessa fortuna non ce l'hanno avuta in molti, questa mattina. All'Ara Coeli però, l'attesa si fa snervante. Sono le 11.30, il sole è quasi a picco sulle teste della gente in attesa vicino a me e c'è già chi barcolla vistosamente o si appoggia ai panettoni stradali accanto al capolinea degli autobus. D'altronde in una delle fermate più frequentate di Roma non c'è neppure una pensilina che ripari dal sole e chi non è nelle condizioni fisiche di aspettare i tempi dell'Atac deve trovarsi soluzioni alternative. Come quella che ho dovuto escogitare per spostarmi da una via nei pressi del Senato fino a San Giovanni. Consulto Google Maps e la proposta migliore che sa farmi è quella di arrivare all'inizio di via del Corso e di prendere un fantomatico bus numero 85. Si tratta di un tragitto di poco più di un chilometro, niente di eccessivamente complicato o faticoso, mi stupisce solo che la mappa non mi fornisca percorsi alternativi per andare in quella direzione, ma in definitiva a me basta arrivarci, quindi non mi faccio troppe domande e sono già alla fermata. Mi guardo in giro e mi accorgo di essere l'unica italiana tra la dozzina di persone che aspettano un autobus. Appena chi mi circonda capisce che non sono una turista si forma una vera e propria fila per chiedermi indicazioni: “Come faccio ad arrivare in Vaticano?”, “Mi hanno detto di aspettare qui il bus per Cipro, è vero?” e così via. Domande di rito, penso. Non sono del posto e vogliono esser sicuri di attendere nel posto giusto. Dopo un quarto d'ora smetto di farmi illusioni o trovare giustificazioni: tutte quelle domande mi sono state fatte perché nessuno dei loro autobus è ancora passato e temono che la linea sia stata deviata. Me l'ha spiegato un turista francese che da più di mezz'ora stava aspettando un bus per portare il suo nipotino e sua figlia a visitare piazza San Pietro. “È proprio sicura che la fermata sia giusta?”, mi ha chiesto, accaldato e stanco per l'attesa. Non so più che dirgli, iniziano a venire dubbi pure a me, che coi mezzi mi sposto frequentemente. Non ho mai utilizzato quella fermata, chi mi può assicurare che non sia stata dismessa senza nemmeno un cartello? Ci rinuncio, cammino verso largo Chigi e costeggiando Galleria Sordi mi fermo all'unica pensilina della zona che mostra gli orari di attesa. I tempi sono lunghissimi e nonostante le varie linee che fanno sosta lì, molte attese vanno dalla mezz'ora in su, anche se i primi due bus in arrivo sono previsti dopo qualche minuto. Non fanno al caso mio e decido di affidarmi al trasporto sotterraneo più per l'esigenza di un po' di ombra che per una fiducia intrinseca nella metropolitana romana. Una volta a largo del Tritone sento di avercela fatta. La fermata Barberini mi aspetta con la sua coda infinita di turisti per comprare un biglietto. Non mi fregano, io ne ho sempre un paio di scorta nel portafogli e arrivo al binario. Sono stanca e vorrei sedermi, ma i posti sono limitati: appena quattro panchine da quattro posti ciascuna e centinaia di persone in attesa accanto a me. Il vagone arriva, straripante di persone compresse e sudate. Che abbiano aspettato come me autobus fantasma? Scendo a Manzoni per evitare di rimanere per una fermata in più schiacciata tra i miei compagni di viaggio e mi avvio all'uscita: scale mobili rotte o ferme. Una delle due, ma la situazione non cambia: o si nuota controcorrente nel flusso di gente che sta tentando di tornare in superficie o si inizia la scalata. Guardo l'orologio: sono le 14.30. Ci ho messo un'ora e un quarto a percorrere coi mezzi meno di 3 chilometri e mezzo.
La giornata non è ancora finita e dopo una breve sosta sono di nuovo in attesa dei mezzi pubblici. Questa volta penso di fare la scelta giusta e mi metto ad aspettare il tram numero 3. E aspetto. Aspetto a lungo e al sole perché la poca ombra disponibile se la stanno gustando senza troppo entusiasmo le 15 persone che si sono accalcate sotto il riparo in plastica. Con un'abbronzatura nuova fiammante e poche speranze, dopo poco più di 15 minuti riesco a salire sul tram, che versa nell'identica condizione della metro presa un'ora prima. Mi posiziono sulle porte, non riuscendo ad andare più avanti e inizio a salire e scendere a ogni fermata per permettere agli altri di passare. Così fino a Trastevere dove l'incubo continua. Alla fermata al sole non c'è nessuno: buona idea, penso, non mi ci fermo neanche io e in due passi arrivo alla successiva, dove c'è sia l'ombra che una panchina. Il cartello elettronico segna 10 minuti di attesa, tiro un sospiro di sollievo e aspetto. In piedi, però, perché anche quella fermata è davvero affollata per essere le 16 di pomeriggio. I 10 minuti diventano 9, poi 10 ancora, poi 7... e di nuovo 10. Quando si arriva agli 11 si alza un grido di sconforto: “Ma non era domani lo sciopero?”, “Arriva o non arriva?”, “Sono 50 minuti che aspetto”. Le lamentele si fanno sempre più insistenti e le voci concitate. Ognuno ha qualcosa da dire, ma l'autobus ancora non arriva. Intanto ci si organizza e si fanno sedere i più anziani: un po' di umanità nella follia di Roma. E tra chi sostiene che “per forza le attese si allungano, i politici si mangiano tutti i soldi dei cittadini” e chi invece più prosaicamente invoca i santi, il 44 arriva e parte un tetris di gruppo per non lasciare nessuno a terra. Una donna si avvicina al conducente: “Scusi, è normale aspettare 45 minuti quest'autobus? C'erano incidenti”. “No, no signora non c'era niente. Io sono in orario”. C'è da chiedersi le due corse precedenti che fine abbiano fatto, allora, e forse Atac dovrebbe fare un'operazione verità e parlare chiaro a romani e turisti.