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Roma
Case popolari, Raggi gestisce solo le emergenze. In graduatoria da decenni

di Diana Maltagliati

 

Sono 1400 le famiglie che a Roma abitano ancora nei cosiddetti residence, i Centri di assistenza alloggiativa temporanea (Caat) che la giunta Raggi ha annunciato di voler abolire. Al loro posto nasceranno i Sassat (Servizio di Assistenza e Sostegno Socio Alloggiativo), ma il bando per le proposte è scaduto il 3 novembre e nessuno sembra sapere a che punto stia la pratica.

 

Uno spiraglio di luce si è visto solo martedì, quando l'assessore al Sociale di Roma, Laura Baldassarre, nel corso dell'audizione presso la Commissione capitolina Trasparenza ha finalmente annunciato che il Comune di Roma ha “già in atto tutta una serie di iniziative in questo senso partite con due delibere il 25 luglio, una per le politiche e una per le fragilità abitative”.
"Abbiamo previsto un nuovo servizio per il superamento dei Caat con due azioni – ha spiegato Baldassarre - reperire tutti gli immobili disponibili, anche sequestrati alla criminalità, e creare un servizio di assistenza alloggiativa con presa in carico per 2 anni per superare le fragilità e permettere, appunto, di superare i Caat. Questo verrà fatto attraverso i Municipi, per non creare ghetti e prenderci cura delle fragilità, diffondendo la presa in carico sul territorio”.

Una ghettizzazione che con i residence, invece, è avvenuta eccome: si tratta di palazzi totalmente o quasi adibiti ad alloggi provvisori destinati alle famiglie in difficoltà economica e in lista a volte da decenni per ottenere una casa popolare.
Resta il fatto che il Comune di Roma un assessore alla casa ce l'ha e si tratta di Alba Castiglione, ma Unione Inquilini e i movimenti per la casa prendono la Baldassarre come punto di riferimento perché il Campidoglio da anni affronta le politiche abitative solo come politiche emergenziali.

Massimo Pasquini di Unione Inquilini ha scelto Affaritaliani.it per parlarci delle difficoltà di chi a Roma non può permettersi un affitto e della continua lotta per le case popolari.

Il 7 dicembre manifesterete in piazza del Campidoglio. Cosa chiedete al sindaco Raggi e all'assessore Castiglione?

Noi andremo lì intanto per chiedere alla giunta di avere un'interlocuzione. Abbiamo un assessore alla casa che è un ologramma: nessuno l'ha mai vista e nessuno l'ha mai intervistata. Stiamo assistendo a uno spostamento delle esigenze abitative sull'assistenzialismo e il fatto che stia diventando sempre più centrale l'assessore Baldassarre la dice lunga. Invece noi pensiamo che le politiche abitative siano un diritto che non va ricercato solo nelle situazioni di estrema fragilità, ma tra tutti coloro che hanno dei requisiti che permettono di partecipare al bando per le case popolari. Vorremmo poterci confrontare col Comune di Roma per mettere sul tavolo le proposte e capire cosa bisognerebbe fare. Vorremmo istituire una Commissione casa-sfratti e vorremmo che facessero una mappatura degli immobili inutilizzati. Noi abbiamo già idee concrete, è un problema di volontà politica.

A proposito di volontà politica: Raggi recentemente ha chiesto a chi occupa indebitamente le case popolari di lasciarle libere per coloro che ne hanno diritto. É un passo in avanti o un palliativo?

É una boutade: Raggi mischia due argomenti diversi. Non sappiamo se sta parlando di case di edilizia pubblica o se sta parlando delle case del patrimonio. Sono due concetti differenti. Se le 2000 famiglie, come penso io, vivono nelle case del patrimonio, Raggi e l'assessore Castiglione dovrebbero mandarle via, non scrivere letterine al Messaggero. Se invece parliamo di case Ater, ricordo al sindaco Raggi che Ater deve fare pareggio di bilancio, quindi ha bisogno di un minimo di famiglie con redditi più alti, che si possano permettere canoni più alti. A questo punto bisogna modificare la legge, abolendo l'obbligo di pareggio di bilancio per Ater. Altrimenti si manda soltanto alla città un messaggio fuorviante e populista.

C'è chi ha votato M5S all'interno dei residence perché sperava che i grillini trovassero una soluzione per le politiche abitative ed è rimasto deluso?

Probabilmente sì, ne sono quasi certo. Anche una buona parte dei movimenti di lotta avranno votato Raggi pensando che avrebbe messo al centro della sua politica i bisogni delle persone e non gli interessi economici. Ma a me sembra che lo stadio si faccia eccome e che si stia facendo anche molto altro per i costruttori. Eppure nessuno pensa a ipotizzare politiche abitative che siano degne di un tale nome.

Secondo lei i Sassat sono Caat a cui è stato cambiato solo il nome?

Il rischio che si tratti di altri residence c'è. Il bando infatti prevede che anche chi è proprietario di un alto numero di immobili (da 10 a 50) possa partecipare. Se si tratta di immobili da 4 a 13 piani avremo nuovi residence. I miei dubbi su questo bando rimangono tutti, compreso quello per cui ci sarà un effettivo risparmio passando dai Caat ai Sassat.

Su carta il risparmio dovrebbe esserci: gli inquilini dei Sassat hanno tempo 2 anni per superare le fragilità grazie al nuovo servizio di assistenza e rendersi indipendenti. Ma sarà così?

Chi ha diritto ai residence, fa parte di quelle famiglie che hanno diritto a una casa popolare: se escono dai Sassat è perché hanno ottenuto una casa popolare, quindi. Se il Comune di Roma è in grado di fornirle in 2 anni, farebbe ciò che non ha mai fatto in 40 anni. Dire che sono alloggi temporanei e che poi queste famiglie col reddito di cui dispongono possano trovare una collocazione nel libero mercato, la vedo molto difficile. Che il Comune sia in grado di dotare Roma di qualche migliaio di appartamenti, visto che ne servirebbero almeno 15 mila, la vedo dura. Quindi stiamo aprendo dei Sassat che dureranno due anni attualmente, ma che probabilmente diventeranno nei prossimi anni l'unico luogo dove far stare queste famiglie.

Quante famiglie al momento risiedono nei Caat?

Sono circa 1400 famiglie negli attuali Caat per le quali paghiamo come collettività romana dai 2000 ai 4000 euro al mese: spendiamo circa 30 milioni di euro l'anno per 1400 famiglie.

Di queste 1400, in 600 non potranno usufruire dei Sassat perché hanno un reddito superiore a 12 mila euro annui. Che ne sarà di loro?

È una bella domanda. Io continuo a pensare che per uscire dalla logica di Sassat e residence e dovremmo assegnare a chi ha i requisiti una casa popolare. Noi ad oggi non abbiamo mai sentito nessuno della nuova amministrazione comunale parlare di cosa intendono fare a Roma di programmatico e strutturale. Eppure c'è la circolare Minniti del 1 settembre che dice che i prefetti dovranno fare la mappatura degli immobili inutilizzati pubblici e privati al fine di un loro riuso. Possiamo chiedere a Raggi e Castiglione al posto che scrivere lettere per il Messaggero di chiedere a che punto è quella mappatura, visto che ci serve per il passaggio dal residence alla casa e non da un residence all'altro?

Perché Roma è ingolfata sul nodo delle case popolari? Come si sblocca la situazione?

Perché le politiche abitative sono politiche emergenzialiste e quando si fanno politiche di questo tipo c'è un grande spreco di risorse pubbliche. Poi c'è il Comune di Roma pensa che basti andare avanti come avviene attualmente assegnando case popolari che vengono da alloggi di risulta: quelle in cui muore l'assegnatario o che vengono sgomberato dell'occupante... e in questo modo pensa si possa risolvere il problema. Segnalo al Comune di Roma che di case popolari ne servirebbero 15mila. Non basta assegnarne una al giorno come avviene oggi. E quelle case popolari non serve costruirle, basterebbe mettere mano all'immenso patrimonio pubblico e privato del demanio civile e militare che è vuoto e inutilizzato. Questo darebbe lavoro, donerebbe agli immobili un utilizzo e darebbe risposte concrete. Ma noi questo approccio strutturale e programmatico non lo vediamo: tant'è che nella legge di Bilancio del Comune di Roma non c'è un euro destinato a politiche abitative da qui fino al 2020.

C'è in questa situazione qualcosa che le fa venire l'amaro in bocca in maniera particolare?

Il fatto che a Roma ci siano ogni giorno dalle 15 alle 20 famiglie che vengono buttate fuor di casa con la forza pubblica. Non si tratta di sgomberi che vanno sui giornali, ma di una diaspora di cui nessuno si interessa. Sono famiglie con anziani, minori e portatori di handicap che non hanno alcun sostegno da parte del Comune.

 

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