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Roma
Chi azzecca tutti i numeri vince un maiale. Tombola della bestia, il rito ciociaro resiste

di Patrizio J. Macci

Non c'è indirizzo o servizio segreto al mondo che possa indicare il luogo preciso dove si svolge la "tombola della bestia". Nessun navigatore satellitare o applicazione per smartphone potrà mai condurre fino alle coordinate precise di un punto ben definito della Ciociaria, ignoto a qualsiasi carta geografica esistente, dove si svolge questo rito rozzo e spartano ma dal fascino di un diamante incastonato nella roccia nuda.
Una contrada che fa parte di un paese cancellato dalle cartine geografiche nel Dopoguerra per l'arrivo dell'autostrada, capricci progettuali che generano alternative alla civiltà della velocità a tutti i costi.
L'unica certezza è che ogni anno dal giorno otto dicembre fino all'Epifania, dall'imbrunire a notte fonda, trecento persone si ammassano nell'appendice di un locale che ricorda un bar degli Anni Ottanta, con il bancone metallico, le sedie di legno (che nessuna azienda produce più da anni, eppure non si estinguono mai) e panche ricavate da tavolacci provenienti da qualche cantiere edile. Il pavimento è in cemento grezzo mai rifinito. L'aria è quella del garage sgombrato dallle masserizie di famiglia.
Il regno della precarietà elevata a massimo sistema di vita. All'esterno nessuna insegna che possa attrarre un navigatore solitario magari arrivato per smarrimento della strada principale. Nulla che inviti a entrare oppure a fermarsi.
Una cartella della tombola costa un euro, e fino a qui non ci sarebbe nulla di strano, tranne che i premi non sono in soldi ma esclusivamente in generi alimentari spesso prodotti di provenienza locale. Il gestore della tombola ne ha un ampio magazzino in una località ignota che amministra con parsimonia.
L'arena si scalda con il passare delle ore, come nei match di pugilato il clou arriva verso la fine della serata. La "bestia", cioè il genere alimentare di valore maggiore, viene messo in palio quando la sala straborda e le persone si inerpicano fino al piano superiore con un bambino che funge da ripetitore vivente dei numeri estratti urlati a squarciagola.
I soldi delle cartelle finiscono direttamente nelle tasche dell'uomo che tiene il banco: un tizio baffuto somigliante al Mario dei videogiochi con voce baritonale, indossa un camice con tasche gigantesche; lì finiscono gli incassi, l'agente delle tasse non ha giurisdizione in questo luogo.
Lui non tocca mai denari, gli astanti li infilano direttamente nelle tasche oppure qualche solerte collaboratore volontario li raduna e distribuisce le cartelle in maniera casuale.
"Non accappottate (le cartelle)" è il mantra che ripete in continuazione per scongiurare il cataclisma di dover ripetere tutti i numeri, fino all'annuncio finale: "Signori, potete accappottare". A quel punto il delitto è servito. La bestia della "modernità", almeno per una sera, è stata sconfitta.

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