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Roma
Covid, Quattrociocchi: "La disinformazione dilaga con gli algoritmi social"

“Nonostante gli sforzi di Facebook, la disinformazione legata ai vaccini non ha mostrato segni di diminuzione in termini di coinvolgimento da parte degli utenti”. Lo ha spiegato all’AGI, Walter Quattrociocchi, professore di Informatica alla Sapienza Università di Roma e uno dei massimi esperti mondiali di social network, commentando lo studio, appena pubblicato su Science Advance da un gruppo di ricercatori della The George Washington University.

Fake news e algoritmi

“Lo studio – spiega Quattrociocchi – si concentra sull’efficacia delle politiche di rimozione delle notizie false adottate da Facebook durante la pandemia di COVID-19. Si rileva che, nonostante gli sforzi di Facebook, la disinformazione legata ai vaccini non ha mostrato segni di diminuzione in termini di coinvolgimento da parte degli utenti. Ciò che è più preoccupante è l’osservazione che anche i contenuti favorevoli ai vaccini sono stati rimossi, e i contenuti antivaccino sono diventati più ingannevoli, politicamente polarizzati e più visibili nei feed degli utenti. 

Facilità di diffusione dei falsi

"Questo fenomeno potrebbe essere attribuito all’architettura di Facebook che, fornendo una grande flessibilità agli utenti, permette di diffondere facilmente contenuti falsi attraverso molteplici canali. In altre parole, anche se Facebook tenta di bloccare determinate informazioni, gli utenti motivati e i produttori di contenuti possono trovare diversi modi per aggirare tali restrizioni. Insomma, nulla di nuovo sotto il sole, le persone tendono a selezionare e condividere informazioni che rafforzano le loro credenze preesistenti”.

I social e i falsi miti

“Quando questo comportamento si combina con l’architettura e gli algoritmi delle piattaforme di social media – ha aggiunto Quattrociocchi – si crea un ambiente in cui tutte le prospettive e narrazioni possono prosperare. Gli algoritmi sono spesso progettati per massimizzare l’interazione degli utenti, mostrando contenuti che sono più propensi a “piacere” o condividere, piuttosto che contenuti accurati o diversificati. Ha sofferto di questa distorsione anche chi dice di fare informazione scientifica, l’intrattenimento dei propri follower è il nuovo mestiere. “Infatti – conclude – lo studio sottolinea che nonostante gli sforzi di una piattaforma come Facebook per rimuovere la disinformazione, l’architettura stessa della piattaforma può contraddire o indebolire questi sforzi. Ciò rafforza l’idea che la responsabilità di combattere la disinformazione non dovrebbe ricadere esclusivamente sulle piattaforme, ma richiede una combinazione di interventi, tra cui educazione mediale, legiferazione e iniziative comunitarie”.

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