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Roma
Finto Negus, truffa vera: 6 anni in Appello per Bissiri e 13 mln da restituire

Finto Negus: la truffa è vera. Per il Giulio Bissiri è scattata la condanna in Appello a 6 anni. Il finto Negus dovrà anche restituire 13 milioni di euro.

La “Corte d’Appello e di revisione penale” del Canton Ticino, in Svizzera, ha confermato la pena di  sei anni di carcere al sedicente nipote del Negus, Giulio Bissiri, alias Aklile Berhan Makonnen Hailé Selassie, sedicente nipote dell’ultimo Negus d’Etiopia.

L’uomo padre delle tre sorelle, Jessica, Lucrezia e Clarissa, note per aver partecipato quali concorrenti al Grande Fratello Vip, edizione 2021-22, dovrà anche restituire 13 milioni di Franchi - 13 milioni di Euro - di cui si era impossessato con un raggiro ai danni di tre cittadini elvetici. A giudicarlo per “Truffa per mestiere, falsità in documenti, ripetuta” è stato un collegio composto da tre magistrati: Giovanna Roggero-Will, Rosa Item e Matteo Tavian, mentre l’accusa è stata sostenuta dal “procuratore pubblico” Chiara Borelli.

La difesa nel processo

A difendere le ragioni di Bissiri-Makonnen è stato Andrea Minesso, agguerrito avvocato del foro di Lugano, già procuratore pubblico del Canton Ticino il quale ha cercato di dimostrare che i “truffati” in realtà erano stati molto sprovveduti e che sarebbe bastato un controllo approfondito per scoprire che il principe raccontava balle sul valore e sul possesso dei bond tedeschi. 

Chi è Giulio Bissiri

Giulio Bissiri è figlio del defunto Beniamino, un prodigioso cavallerizzo italiano di Borore, in Sardegna, emigrato in Etiopia e successivamente divenuto ammirato stalliere del Negus Hailé Selassie. Dunque, Giulio visse effettivamente a corte, poi nel 1977 rientrò in Italia con il padre, i fratelli e sorelle, dopo la caduta della monarchia e il golpe di Hailé Mariàn Menghistù. I parenti sono ora ad Aprilia vivendo di duro lavoro.

La truffa

Giulio però sognava in grande e a un certo punto cominciò a raccontare come sua madre fosse stata un membro della dinastia imperiale spodestata e di poter avere accesso ad un mitico e gigantesco tesoro appartenuto al Negus, custodito in America e in Europa.

Si tratterebbe di bond tedeschi emessi non in marchi ma in dollari ed agganciati al valore dell’oro, dopo il primo conflitto mondiale. L’ammontare - secondo le affermazioni di Bissiri - sarebbe stato della fantastica cifra di oltre 6000 miliardi di dollari. Per comprendere l’entità della cifra basti pensare che gli Stati Uniti in tutti gli anni di permanenza con un poderoso esercito in Afghanistan hanno speso “solo” 2000 miliardi di dollari. Per poter smobilizzare i bond, Bissiri affermava che ci volevano alcuni miliardi delle vecchie lire.

Soldi che non aveva e che cominciò a chiedere in giro ad imprenditori a cui prometteva di restituire il prestito centuplicato anzi facendoli partecipi della spartizione della montagna di denaro. Incredibile ma abboccarono in molti. Bissiri chiedeva soldi a tutti ed in particolare a facoltosi imprenditori da cui riuscì a farsi consegnare cifre che oggi ammontano a molti milioni di euro. Bissiri però non disdegnava neppure cifre più modeste, facendosi per esempio, consegnare da un funzionario del ministero italiano dell’interno il corrispettivo di un mutuo sulla casa, così da finanziare le sue  attività. Al funzionario che accompagnò, a spese sue, il sedicente principe in Etiopia erano stati promessi 20 milioni di euro una volta incassate le cedole del tesoro. In Etiopia Bissiri si fece accompagnare perché contava sulla influenza del funzionario italiano per far cambiare il proprio cognome e così riuscire ad avere accesso alle chiavi del deposito dei bond.

Ora sono in molti a chiedersi se Bissiri con la promessa di enormi cifre a funzionari poco onesti in Etiopia sia riuscito a procurarsi documenti che potessero farlo ritenere appartenente alla ex famiglia imperiale. Proprio durante il processo di appello, Bissiri ha mostrato un certificato di nascita con cui voleva attestare la sua appartenenza alla famiglia imperiale.

Le vittime della truffa

Ebbene una volta mostrato il documento, l’avvocato Luigi Mattei, che ha patrocinato uno dei truffati, ha affermato: “Se pure avessi davvero creduto che l’imputato era un principe, vedendo quell’atto di nascita mi sarebbero venuti dei dubbi. È la prima volta che vedo un atto di nascita che riporta anche le generalità del nonno in particolare di quello materno”.

Inutile dire che anche il funzionario italiano che accompagnò Bissiri in Etiopia rimase a bocca asciutta, lasciato nello sconforto per aver impiegato tutti i suoi risparmi e i soldi della casa per il “nobile” eclissatosi. Altrettanto deluso Franco Lazzarini conosciuto imprenditore genovese della compagnia di assicurazioni navali Ital Brokers, che a Bissiri consegnò a più riprese cifre da capogiro con la promessa non solo di restituire le somme ricevute ma soprattutto di divenire socio della Ital Brokers con i capitali del misterioso tesoro del Negus, come Bissiri promise a tutto il personale della compagnia riunito per l’occasione in una cena di lavoro, pagata naturalmente da Franco Lazzarini. Lazzarini per cercare di riottenere il denaro, fu costretto a dare in uso a Bissiri e famiglia un minuscolo appartamento dell’assicurazione a Piazza della Cancelleria, zona campo dei Fiori, al n.85, dove il “principe” viveva ammassato con 4 figli, la moglie Adalgisa e alcuni labrador.

Altro personaggio ridotto letteralmente in miseria, fu Roberto Tedeschi amministratore delegato della Holiday Inn di Roma. Ogni settimana Tedeschi accompagnato da Bissiri si recava alla sede della banca Cariplo in via IV Fontane a Roma, dove prelevava alcuni milioni che consegnava al “principe” che intanto si faceva chiamare “Negus”. I denari, diceva Bissiri, servivano per viaggi a Londra per cercare di smobilizzare il tesoro. Invece le cifre venivano usate per una vita dispendiosissima sua e della sua famiglia. Su questo punto il Procuratore Pubblico, Borrelli, è stato lapidario: “I soldi servivano per vivere nel lusso e nei vizi”.

Questo finiva per alimentare la leggenda di un uomo ricchissimo veramente discendente del Negus. Per darsi delle arie, il “principe” lasciava mance faraoniche ai ristoranti e le figlie si vantavano di vivere in un lusso degno degli antichi satrapi orientali. Ricordano in ambasciata etiope, che durante le sue visite per cercare di far cambiare il suo nome da Bissiri in quello di Makonnen Hailè Selassie, elargiva bigliettoni da 500 euro ad impiegati ed autisti i quali per poco non si prostravano ai suoi piedi.

“I soldi però - come ci racconta la figlia di Tedeschi, Carla, - erano di persone cadute nella rete di bugie di Bissiri”. Carla è stata l’unica in Italia a denunciare pubblicamente il “principe”. La rete veniva tesa in quel di Piazza Euclide a Roma, dove il principe aveva il suo “ufficio” in uno dei due bar della piazza e dove faceva servire champagne alle future vittime e respingeva, anche con oscure minacce, chi vi si recava per riottenere il mal tolto.

Accade a Carla Tedeschi e anche a Franca Bigelli che con il marito, ormai anziano, l’imprenditore edile Fabrizio Bigelli, affrontarono il Bissiri a piazza Euclide, lei, Franca, presa dalla disperazione mise le mani al collo al “Negus” che si allontanò ma non restituì nulla. La sfilza di quanti sono stati coinvolti è lunga, vi sono anche nomi importanti dell’economia italiana. Qui da noi però nessuno denunciava. Tutti, anche ora che Bissiri è in prigione a Lugano, hanno paura di essere coinvolti in uno scandalo.

La fine della carriera da truffatore

Diversamente sono andate le cose in Svizzera. Qui gli imprenditori che hanno prestato orecchio al “canto” di Bissiri, tra cui il patron della Fox Town di Mendrisio, Silvio Tarchini, accortisi del raggiro, non hanno esitato a denunciare alla Procura di Lugano, che nel 2021 emise un mandato di cattura internazionale che nessuno eseguiva qui in Italia. Diversa musica a Lussemburgo dove a giugno del 2021 Bissiri si era recato per mettere a punto nuove iniziative intese a rastrellare denaro. Infatti, quando è stato arrestato, si è appreso durante il processo di appello, gli fu trovata una valigia di documenti falsi in francese, questa volta. L’obbiettivo era di ricominciare con nuovi bond, non più quelli tedeschi, da propinare a nuovi polli da spennare.

Appena l’aspirante Negus scese dall’aereo fu ammanettato e dopo pochi giorni trasferito a Lugano nel carcere della Farera. Un anno dopo il processo durato due giorni al termine del quale il tribunale con una dura sentenza, in cui si accusava il “forse” principe di aver costruito un castello di menzogne, lo condannava alla pena di sei anni e alla successiva espulsione dalla Confederazione. Ora il principe che diceva di essere discendente di re Salomone e della Regina di Saba, dovrà rimanere il prigione in Svizzera sino ad espiare la pena. Dovrebbe anche restituire i soldi truffati. Su questo punto c’è scetticismo.   

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