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Roma
Peste suina e cinghiali, Cia: "Virus fa paura ai maiali di Amatrice e Norcia"
(Fonte: IPA)

Ormai non è più solo un caso locale: dopo il ritrovamento di un caso a Rieti, ora le istituzioni vogliono la zona rossa anche nel Reatino. E il timore è che la Peste suina possa arrivare anche ai suini di Amatrice e Norcia.

Secondo Cristiano Fini, presidente degli agricoltori italiani Cia, le istituzioni non stanno facendo abbastanza e hanno reagito troppo lentamente di fronte a un evento che potrebbe mettere in ginocchio il comparto suinicolo.

Quindi cinghiali positivi al Covid, di cui uno nel Reatino. La situazione inizia a farsi preoccupante?

“Sicuramente la situazione è preoccupante, perché il fatto di aver ritrovato un caso un cinghiale affetto da Peste suina africana a Rieti, 100 km da Roma, desta preoccupazione anche per la vicinanza con la Capitale. La preoccupazione dipende dal fatto che Rieti si trova al confine con altre regioni, come Abruzzo e Umbria. Questo significa che il monitoraggio va ridefinito e ampliato perché attraverso il monitoraggio riusciamo a riconoscere dove ci sono i focolai e intervenire immediatamente. Se non effettuiamo un monitoraggio puntuale e preciso, come andrebbe fatto, rischiamo di trovarci casi a macchia di leopardo, come in questi giorni. Oggi sappiamo i numeri dei casi ritrovati, ma non quanti siano realmente”.

Cristiano Fini Cia
 

Perché gli agricoltori temono la peste suina?

“Il tema dei cinghiali riguarda molti aspetti, non solo gli agricoltori. A Roma vagano liberamente da parecchi mesi e creano problemi alla città e agli abitanti. Riguardano i danni agli agricoltori perché purtroppo negli ultimi anni c’è stato un incremento esponenziale della presenza dei cinghiali che, non solo creano danni nei campi, ma sono anche molto pericolosi per l’incolumità degli automobilisti. Ci sono stati tanti casi di incidenti legati all’attraversamento di fauna selvatica, dobbiamo intervenire per ridurre dappertutto la densità e la popolazione degli ungulati. La Psa non è trasmissibile all’uomo ma lo è ai suini. È quindi molto pericolosa per gli allevatori suinicoli. Ad oggi va sottolineato il fatto che non è stato trovato nemmeno un caso negli allevamenti, questo ci fa sperare. Dopo di che, servono azioni mirate affinché la Peste suina non venga trasmessa dal cinghiale al maiale”.

Di che danni parliamo?

“Il settore di salumi e carni di suino, a livello nazionale, ha un fatturato di circa 70 miliardi di euro e un export di 1,6 miliardi. È un settore importante, ecco perché i ritardi rischiano di compromettere un settore del Made in Italy. Parliamo di danni molto importanti perché chiaramente sono danni diretti, legati all’abbattimento dei capi di suino, all’interno delle zone colpite. Potrebbero verificarsi dei danni indiretti legati al fatto che potrebbe generarsi una sorta di psicosi che potrebbe fare crollare sia l’export che i consumi interni. Ci sono delle azioni da mettere in campo, quello che denunciamo è che sia passato troppo tempo dai primi ritrovamenti senza aver visto dei reali interventi necessari a contenere l’epidemia”.

Ci sono aree più a rischio?

“Siamo in una zona dove ad esempio c’è il tema del guanciale di Amatrice o la norcineria umbra. È chiaro che dobbiamo nella maniera più assoluta evitare che vengano penalizzate queste eccellenza nazionali”.

E si parla di zona rossa anche a Rieti...

“Sicuramente l’istituzione della zona rossa è una precauzione che va nella direzione del contenimento dell’epidemia, peraltro l’istituzione della zona rossa diventa obbligatoria secondo la normativa europea. Quello che occorre subito fare in caso di zona rossa, è stanziare fondi e risorse agli allevatori che subiscono danni. Perché la zona rossa prevede la non movimentazione dei suini, nel senso che gli agricoltori non possono farli uscire e non possono venderli. Quindi, di fatto, col passare del tempo sono costretti ad abbatterli”.

Le istituzioni hanno fatto bene finora?

“Sicuramente ha fatto bene il presidente della Regione Lazio a chiedere immediati ristori e a chiedere comunque di poter installare le recinzioni per contenere l’epidemia. È evidente anche che dobbiamo stanziare maggiori risorse per il monitoraggio e per la riduzione della densità dei cinghiali, perché la circolazione degli ungulati diffonde l’epidemia. Servono misure per ridurla, attraverso l’abbattimento selettivo e anche usando metodi alternativi come il contenimento. Però non stanno facendo il massimo perché mancano risorse e ridurre il numero dei cinghiali. Questo non sta avvenendo. Serve anche maggiore rapidità negli interventi, ogni giorno che passa significa diffondere l’epidemia. Per riassumere, le priorità sono 3: monitorare dei casi, ridurre drasticamente i cinghiali a livello nazionale e ristori immediati per gli allevatori della zona rossa colpiti”.

Avete chiesto altri indennizzi, ma non temete che si possa pensare che questa emergenza per chiedere fondi pubblici?

“Assolutamente no, non abbiamo questo timore perché i danni che stanno subendo gli allevamenti all’interno delle zone rosse sono tangibili, evidenziabili. Le risorse servono per mettere in atto più prevenzione: è un epidemia che si diffonde in maniera importante. Bisogna evitare la diffusione perché ne va di tutto il comparto della carne dei suini e dei salumi”.

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