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Roma
Regione Lazio, incognita Zingaretti. “Se tenta la scalata, si torna al voto”

di Valentina Renzopaoli

Regione Lazio in mano ad uno Zingaretti Bis, ma l'ipotesi di tornare al voto in tempi non troppo lunghi non è così remota, soprattutto se il Governatore scendesse in campo per un ruolo nazionale nel Pd. Intesa per il nuovo Governo difficilissima: trovare la quadra dopo una campagna elettorale caratterizzata da un durissimo scontro morale, è un obiettivo complicatissimo.

 

Luigi Di Gregorio, docente di Scienza politica all'Università della Tuscia di Viterbo, di Comunicazione Politica presso il master in Leadership politica alla Luiss di Roma ed esperto “numerologo politico” delle tornate elettorali romane, sceglie affaritaliani.it per un'analisi del risultato del voto e per ipotizzare scenari futuri.

Professor Di Gregorio, durante l'ultima intervista rilasciata ad aAffaritaliani.it alcuni mesi fa, aveva detto che per il centrodestra, in quel momento favorito dai sondaggi, sarebbe stato difficile vincere senza una candidatura unitaria su Pirozzi. In effetti, la Regione Lazio, è tornata nelle mani del centrosinistra e Nicola Zingaretti è al suo secondo mandato. Continua a pensare che il candidato giusto per il centrodestra sarebbe stato il sindaco di Amatrice Sergio Pirozzi?
“Il candidato giusto poteva essere Pirozzi, oppure lo stesso Stefano Parisi ma con tre mesi di anticipo. Parisi aveva un buon profilo come candidato ma il ritardo della sua candidatura, dopo che già erano stati fatti molti nomi, ha dato l'idea di essere una scelta tirata per i capelli. Il risultato di Parisi è stato un po' più basso rispetto a quello delle liste di appartenenza: quindi o Parisi non era un candidato eccezionale oppure ha avuto poco tempo, o tutte e due le cose”.

Crede che Pirozzi abbia condizionato il risultato del centrodestra?
“Sicuramente sì, almeno in parte: Pirozzi ha preso voti personali e anche voti disgiunti”.

Eppure Stefano Parisi, a sorpresa, ha superato il Movimento Cinque Stelle.
“Sì, contrariamente a quanto avvenuto a livello nazionale il M5S nel Lazio è andato male, o meglio, è Zingaretti ad essere andato bene”.

Nonostante la sottoesposizione del Governatore uscente, quindi paga avere un profilo “low”?
“Zingaretti ha tenuto un profilo sotto traccia per l'intera scorsa legislatura. Nel suo caso, governare senza una sovraesposizione e con una campagna soft ha premiato. D'altra parte Renzi insegna: quando si governa sovraesposti ci si fa male”.

Zingaretti ha vinto, è vero, ma la maggioranza non c'è. E ora? Come farà ad amministrare il Lazio?
“Zingaretti non ha la maggioranza e la Regione è e sarà in bilico. Ci sarà una fase di stallo e studio in attesa di capire cosa succederà nel Pd. Se Zingaretti scenderà in campo per un ruolo nazionale, così come già ipotizzato, è possibile pensare che sarà costretto a dimettersi e si tornerà al voto. Qualora invece rinuncerà a tentare la scalata nazionale e decidesse di radicarsi in Regione, allora dovrà fare i conti con i numeri risicati, rischiando di non riuscire a governare”.

Ha senso il voto di sfiducia paventato dal centrodestra?
“Credo che si tratti soprattutto di un atteggiamento di posizionamento ma non credo che possa andare in porto in tempi immediati. Perché in realtà, al di là di quello che dicono, sono tutti in attesa di capire che farà Zingaretti”.

Allarghiamo la prospettiva al panorama nazionale: sembra sempre più probabile che si vada verso un Governo M5S e centrodestra. Crede sia fattibile?
“Non sono affatto convinto che troveranno la quadra. Continuo a non vedere alleanze facilmente realizzabili per varie ragioni: la prima è che, dopo campagna basata su scontri emotivi più che sulle proposte programmatiche, che ha surriscaldato gli animi ed esasperato le posizioni, non è semplice comunicare al proprio popolo la decisione di allearsi con quelli che, fino al giorno prima, erano stati acerrimi nemici. Più la campagna elettorale si configura come uno scontro tra Hulligans, più, una volta finita, è difficile trovare una quadra. Da una parte e dall'altra, dovrebbero trovare una serie di scuse generalizzate che non è detto vengano accettate dall'elettorato. E' inoltre un dato di fatto che chiunque governi in queste condizioni rischia di farsi male: avere una maggioranza risicata e ballerina, darebbe un vantaggio clamoroso a chi è all'opposizione. Insomma vedo più contro che pro per chi finirà al governo”.

Dunque il Pd ha fatto bene a lasciare la patata bollente a M5S e centrodestra?
“L'unico modo che il Pd ha per sopravvivere è quella di stare all'opposizione. La scelta dell'opposizione è sacrosanta e l'unico modo per tornare a crescere”.

Quanto ha inciso la promessa del reddito di cittadinanza sulla vittoria dell'M5S?
“Credo che i grillini continuino ad essere visti come la scelta “meno peggio”, soprattutto nel sud Italia. Il voto nel Movimento non credo sia tanto dovuto alla promessa del reddito di cittadinanza quando alla voglia di cambiamento. Ci troviamo in un fase in cui gli elettori non valutano le proposte, ma sono mossi da ondate emotive: la paura ha fatto votare Salvini, la rabbia il Cinque Stelle. E infatti il voto moderato è sempre più scarso. In dieci anno i partiti di centro hanno perso 18 mln di voto, dalle politiche del 2008: lo scontro si è estremizzato perché si sono estremizzate le emozioni e non le proposte”.

Se la sente di indossare i panni del Mago Otelma e fare previsioni sul nome del prossimo premier?
“Nei panni del mago Otelma, a dire il vero, non sarei a mio agio... comunque credo che, semmai avremo un governo, il premier non sarà nessuno dei candidati che si sono presentati alle elezioni. La storia “Italia” insegna che quando si scende a mediazioni e compromessi, una delle prime cose che salta sono proprio i leader. Dunque bisognerà trovare altri nomi”.

Ne intravede qualcuno?
“Al momento non ne vedo. Berlusconi avrebbe in mente uno alla Tajani che però Salvini, in questo momento più forte di lui con i numeri, non accetterebbe. Insomma il nome del premier è ancora lontano”.

Crede anche lei che stiamo entrando nella Terza Repubblica?
“Tecnicamente no, perché non è mai esistita neanche la seconda, ma è vero che ci troviamo in una situazione nuova: le tre forze politiche sono più o meno equivalenti, e distanziate tra loro in modo abissale, non solo e non tanto politicamente, quanto in modo antropologico, morale ed etico. E questo rende molto complicato eventuali alleanze. La strategia del “tutti a casa” e del “governiamo da soli” per il Cinque Stelle ha funzionato per arrivare al 33% ma ora diventa un problema per goverare, perché questa tattica li ha allontanati troppo dagli altri. Ora potranno governare solo se il loro popolo accettasse di governare con chi fino al giorno prima era “ladro”, “mafioso” e “corrotto”.

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