"Torture nazifasciste su Giulio Regeni". Famiglia accusa la ricostruzione egiziana - Affaritaliani.it

Roma

"Torture nazifasciste su Giulio Regeni". Famiglia accusa la ricostruzione egiziana

L'accusa: "Grottesca ricostruzione de Il Cairo"

I nuovi dettagli che emergono sul caso di Giulio Regeni non fugano i dubbi sulla versione fornita dalla polizia egiziana sull'omicidio del giovane italiano. Nonostante la cautela espressa dal ministero dell'Interno e dalla procura di Giza, la polizia del distretto di Shobra al Khaima continua a sostenere apertamente il coinvolgimento della banda criminale locale nel rapimento, nella tortura e nell'omicidio del ricercatore scomparso al Cairo il 25 gennaio scorso e trovato morto alla periferia della capitale egiziana il successivo 3 febbraio.

Una versione che pero' non sembra trovare riscontri da parte degli inquirenti italiani che seguono il caso. Non solo: secondo il capitano di polizia Mohamed Refaat, la stessa banda sarebbe responsabile di una rapina ad un altro italiano, le cui iniziali sono D.C., avvenuta il 15 febbraio. Al Senato, in sala Nassiryia, la conferenza stampa Paola e Claudio Regeni, i genitori di Giulio, convocata dal senatore Luigi Manconi, presidente della Commissione per i diritti umani a cui partecipa anche il portavoce di Amnesty International Italia Riccardo Noury.

Secondo le testimonianze inoltre, il capo della presunta banda specializzata nelle rapine agli stranieri avrebbe consegnato il borsone rosso con all'interno gli oggetti di Regeni alla sorella due giorni prima di essere ucciso in una sparatoria con la polizia giovedi' 24 marzo. Ma la borsa rossa con lo stemma della nazionale italiana di calcio, secondo gli inquirenti italiani, non apparteneva a Regeni.
Nuovi particolari emergono anche sulla tempistica della sparatoria, della perquisizione e dell'annuncio dell'operazione. La borsa rossa e' stata trovata in casa di Rasha Saad Abdel Fatah, la sorella del defunto capobanda Tarek Saad Abdel Fatah, durante un blitz delle forze speciali avvenuto intorno alle 11 della mattina di giovedi' 23 marzo, circa un'ora dopo la sparatoria con la polizia in cui sono rimasti uccisi tutti e cinque i membri della banda.
Il ministero dell'Interno, tuttavia, ha atteso le 23 di sera dello stesso giorno prima di pubblicare le fotografie del passaporto di Regeni, nonostante i media locali avessero diffuso la notizia gia' nel primo pomeriggio. Inoltre l'investigatore capo e i procuratori di Shobra al Khaima sono arrivati sul posto circa tre ore dopo il blitz. In merito all'operazione che ha portato all'uccisione di tutti e cinque i membri della banda, il capitano di polizia Mohamed Refaat ha detto che gli agenti hanno agito rispettando il protocollo. "I vetri della vettura erano oscurati e hanno iniziato loro a sparare per primi. La scelta in questo caso era essere uccisi, lasciarli scappare o aprire il fuoco", ha detto l'esponente della polizia di Shobra al Khaima.
   "Usavano falsi distintivi per fermare le persone in strada ed estorcere loro denaro. Operavano a Heliopolis, nella periferia a est del Cairo e nelle aree dove potevano trovare persone all'apparenza facoltose", ha detto ancora Refaat, precisando che la banda avrebbe preso di mira gli stranieri, "incluso il ricercatore italiano Giulio Regeni e un altro ragazzo italiano (le cui iniziali sono D.C.) e molti altri stranieri provenienti da diverse nazioni". Secondo il capitano di polizia, le telecamere della 90ma strada del Quinto complesso di Heliopolis avrebbero ripreso l'estorsione ai danni dell'italiano il 15 febbraio scorso. "Hanno fermato D.C. fingendosi membri della sicurezza specializzati in denaro pubblico e lo hanno trascinato a bordo di un microbus (lo stesso dove sono stati uccisi lo scorso giovedi' 22 marzo). Gli hanno rubato 10 mila dollari minacciandolo con le armi", ha detto Refaat. "Una volta individuate, le vittime venivano percosse per consegnare carte di credito, bancomat e password", ha spiegato ancora Reefat. L'agente egiziano ha ipotizzato che Regeni abbia finto di non sapere l'arabo e di non capire le richieste dei rapitori per non dare i codici per accedere al suo conto. "Lo hanno torturato per avere la password della carta di credito", ha detto ancora il capitano di polizia del distretto di Shobra al Khaima. Una versione di dubbia credibilita', anche perche' se la banda era davvero specializzata nelle estorsioni agli stranieri certamente si faceva capire anche in inglese e non solo in arabo.
   L'esponente della polizia egiziana ha aggiunto che esistono, a suo parere, "migliaia di casi di tortura anche piu' orribili di quelli di Regeni, tutti compiuti da civili e non dalla polizia". Diverse organizzazioni dei diritti umani hanno piu' volte denunciato la violazione dei diritti umani in Egitto e la brutalita' della polizia. Lo scorso mese di dicembre Amnesty International aveva invitato il Cairo a porre fine "all'uso diffuso della tortura e dei maltrattamenti nelle stazioni di polizia egiziane".