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Affari Europei
Brexit, Johnson sfida Bruxelles: "No deal? Il passo lo deve fare l'Ue"

Brexit: Johnson sfida Bruxelles sul 'no deal'

Se non è un ultimatum, gli assomiglia parecchio. Sulla Brexit il neopremier britannico Boris Johnson insiste con la linea dura, lanciando la palla nel campo dell'Unione europea: "Sta a Bruxelles", ha avvertito durante la sua visita nel Galles, "dire se vogliono evitare un 'no deal' oppure no. Se invece non possono scendere ad un compromesso, allora dobbiamo chiaramente prepararci per un'uscita senza accordo". In altre parole: il prossimo passo nei negoziati sulle condizioni di uscita del Regno Unito spetta a Bruxelles se vuole evitare un 'No deal'. A parte che l'Ue ha sempre ribadito che non intende riaprire il tavolo dei negoziati per l'accordo gia' sottoscritto insieme a Theresa May, uno dei principali ostacoli all'intesa con l'Europa e' quella del confine tra l'Irlanda del Nord e la Repubblica d'Irlanda: e' anche per questo che Johnson ha voluto rassicurare il collega irlandese, Leo Varadkar, promettendo che che anche se il Regno Unito uscira' dalla Ue senza accordo, il 31 ottobre, "non ristabiliremo mai controlli o infrastrutture fisiche al confine".

I timori delle spinte centrifughe in Scozia e Irlanda

La questione è tutt'altro che banale: sullo sfondo c'è il tema della disgregazione della Gran Bretagna per come la conosciamo. O almeno, questa è la convinzione del deputato conservatore William Hague, che ne ha scritto sul Telegraph, ma è anche l'argomento di un pezzo del New York Times, che ha ricordato come gli avversari di BoJo gli abbiano lanciato pesanti avvertimenti: la sua fretta sulla Brexit potrebbe trasformalo "nell'ultimo primo ministro del Regno Unito". Le proteste con cui è stato accolto Johnson lunedì a Edimburgo, nel suo primo viaggio da premier in Scozia - dove la maggior parte della popolazione, nel referendum del 2016, ha votato per rimanere in Europa - hanno riportato a galla i timori delle spinte centrifughe all'interno dell'Unione (Inghilterra, Scozia, Irlanda del Nord e Galles). In Scozia, i segnali di allarme sono piu' d'uno: il movimento per l'indipendenza e' attivo da decenni, la premier scozzese Nicola Sturgeon ha chiesto un nuovo referendum sull'uscita dal Regno Unito.

Le promess di Johnson a Scozia, Galles e Irlanda del Nord

La posizione di Johnson in Scozia è così incerta che BoJo non era neppure sicuro di riuscire a incontrare la numero uno scozzese del suo stesso partito, la Tory Ruth Davidson, la quale si era espressa pubblicamente contro la sua leadership. Un'uscita caotica dall'Ue potrebbe destabilizzare anche il processo di pace in Irlanda del Nord, dove la maggior parte degli elettori si sono espressi contro la Brexit. Gli effetti di un divorzio dalla Ue senza accordo qui potrebbero essere molto più drammatici, perché il confine con la Repubblica d'Irlanda sarebbe l'unica frontiera di terra con l'Unione europea, con il governo di Dublino che potrebbe essere costretto a introdurre controlli di frontiera: un'ipotesi che ha già riacceso non usuali discorsi unionisti. "Il Regno Unito come 'unione' rischia di non esistere più ed è più in pericolo ora che in tutti i 312 anni della sua esistenza", ha scritto in un recente articolo da parte sua l'ex premier laburista, lo scozzese Gordon Brown. Per allontanare questo spettro, dalla base navale di Faslane, Johnson ha fatto il suo meglio, promettendo centinaia di milioni di sterline a Scozia, Galles e Irlanda del Nord, lanciando un appello per il rinnovo dei "legami che uniscono il nostro Regno Unito".

Lo scontro con l'irlandese Varadkar

La telefonata con Varadkar non sempre aver portato un avvicinamento delle posizioni, dato che non chiarisce come la questione della frontiera inter-irlandese possa essere risolta attraverso la sua idea di Brexit. E' un fatto che le fughe in avanti del neopremier incontra critiche sempre più forti, in Scozia, in Irlanda, nel Galles. Qui il premier aveva in programma incontri con gli allevatori, preoccupati dei dazi sull'esportazione in Europa della carne ovina, su cui si base l'industria agricola del Galles. Il fatto è che l'agricoltura del Gallese dipende in gran parte proprio dai fondi Ue: secondo gli esperti, circa l'80% degli introiti dei contadini locali arrivano, in un modo o nell'altro, da Bruxelles, e stiamo parlando di un comparto che occupa oltre 50 mila persone. Johnson promette "nuove misure e un accordo migliore per i contadini", ma il capo del governo gallese Mark Drakeford non la vede altrettanto semplice: nelle parole del neopremier, dice Drakeford, "non c'e' il riconoscimento che sono in pericolo condizioni di vita, non ci sono risposte serie, non c'e' un vero piano". La locale associazione degli agricoltori parla addirittura di una "catastrofe" se dovesse realizzarsi il 'no deal'. Anche se Johnson lancia la palla nel campo di Bruxelles, gran parte della partita si giochera' all'interno di quelli che, per ora, sono i confini nazionali. 

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