Trump sull’orlo: il bluff di chi voleva spingere gli altri nel vuoto
Donald Trump
Donald Trump fa della minaccia la sua cifra politica. Ha annunciato dazi del 30% sulle importazioni dall’Europa a partire dal primo agosto. Ha rivolto un ultimatum a Vladimir Putin, intimando dazi al 100% se non si arriverà a un accordo sulla guerra in Ucraina entro 50 giorni. Ha promesso armi alla stessa Ucraina, ma solo se a pagarle sarà la NATO.
Spinge tutti sull’orlo: l’Europa con la guerra commerciale, la Russia con una retorica muscolare, l’Ucraina con promesse a corrente alternata. Più in generale, trascina l’Occidente verso una crisi di senso, delegittimando concetti come alleanza, cooperazione, democrazia liberale. Il metodo Trump è sempre stato quello della brinkmanship: l’arte di condurre un negoziato portando l’avversario sull’orlo del baratro. Lo si è visto bene con la guerra contro l’Iran, finita in 12 giorni. È una strategia che funziona solo se l’altro ha paura.
Se, come nel caso di Putin, l’altro conosce il gioco, è abituato al rischio e sa rilanciare, la dinamica si inverte. Il Cremlino ha risposto alle minacce di Trump con scherno. Una delle principali agenzie di stampa russe, Ria Novosti, ha illustrato un suo editoriale con un’immagine generata dall’intelligenza artificiale: uno Zio Sam con il volto di Trump che spara bolle di sapone verso le torri del Cremlino con una pistola giocattolo. Una citazione beffarda dello stesso Trump: la narrazione si è ribaltata.
Pur divisa, l’Europa sta imparando a muoversi. Nonostante limiti e contraddizioni, ha dimostrato una resilienza superiore a quanto Trump si aspettasse. È vero, l’Europa spende poco in difesa, la NATO ha procedure lente, il sistema multilaterale è spesso inefficace. Il punto non è se alcune delle sue critiche siano fondate: lo stile di Trump non costruisce ma logora, non rafforza, consuma.
Se si spingono gli altri a lungo sull’orlo del precipizio, il rischio è che a perdere l’equilibrio sia chi ha iniziato il gioco. Se la tua unica leva è la minaccia, il tuo potere si esaurisce quando smetti di incutere timore. Se tutti si abituano al tuo linguaggio estremo, smettono di crederti. Quando arriva il momento in cui avresti bisogno di essere ascoltato, nessuno ti ascolta.
L’America è stanca, ma anche inquieta. Cosa succederà alle elezioni di midterm in programma nel novembre 2026? L’Unione Europea farà bene, se i dazi partiranno il primo agosto, a reagire con contromisure “mirate”: colpire i prodotti simbolo negli Stati americani in cui Trump è più forte, per esempio: il bourbon del Kentucky, l’industria automobilistica del Michigan o quella lattiero-casearia del Wisconsin.
Trump non cambia. Continua a usare le stesse formule: dazi, slogan, tweet. Resta ancorato al medesimo copione: la forza che umilia, il colpo di scena come strategia. Il terreno sotto di lui, però, è scivoloso. In questa asimmetria — tra un mondo che evolve e un leader che si ripete — sta il suo punto cieco. La politica non è solo forza, ma anche credibilità, coerenza, visione. Chi gioca soltanto sull’effetto sorpresa, prima o poi diventa prevedibile. Chi pretende di comandare senza ascoltare, si ritrova solo. Sull’orlo, dove voleva spingere gli altri.