Lo sguardo libero
Brinkmanship d’epoca: conoscere i maestri di negoziazione di Trump per disinnescarne la strategia

Donald Trump
Sorprende che pochissimi – né nel mondo politico né nei media – abbiano studiato a fondo le tecniche di negoziazione di Donald Trump. L’impressione è che tutti, da Berlino a Bruxelles, da Londra a Parigi, da Pechino a Roma, continuino a rispondere al presidente americano con esitazione, come se il suo stile fosse ancora imprevedibile. In realtà, i codici del trumpismo sono leggibili, e i suoi maestri – da Sun Tzu a Thomas Schelling, da Henry Kissinger a Robert Greene – sono noti e, in molti casi, datati. Conoscerli è il primo passo per contrastare efficacemente una strategia basata sulla minaccia, sull’escalation e sull’effetto sorpresa. Vediamoli, dunque.
L’arte dell’orlo del precipizio
Donald Trump fa della minaccia un’arma negoziale. Che si tratti di politica estera o di rapporti commerciali, il suo approccio si basa su un principio ben preciso: portare ogni confronto sull’orlo del baratro per costringere l’avversario a cedere. È quella che in geopolitica viene chiamata brinkmanship – letteralmente, l’arte di stare sull’orlo del precipizio. Il termine fu teorizzato durante la Guerra Fredda dall’economista Thomas Schelling (1921–2016), premio Nobel per l’economia nel 2005 e autore del celebre The Strategy of Conflict (1960), dove definisce il brinkmanship come una forma estrema di pressione strategica: una minaccia credibile che rischia di sfuggire di mano, proprio per costringere l’altro a cedere prima.
Bluff, rinvii e imprevedibilità strategica
La cifra del trumpismo negoziale non sta solo nei numeri: sta nella tecnica. Annuncia misure drastiche, poi le rinvia o le riformula, lasciando gli avversari nel dubbio: bluff o realtà? È una forma di imprevedibilità strategica, pensata per confondere, tenere l’iniziativa, dominare la scena. In questo approccio si ritrovano anche elementi tipici della cultura strategica orientale, come teorizzato da Sun Tzu (circa V secolo a.C.) ne L’arte della guerra: “la suprema abilità consiste nel piegare il nemico senza combattere”. In altre parole, usare l’intimidazione e la pressione per ottenere risultati prima ancora dello scontro.
La scuola di Robert Greene
A questa logica si aggiunge uno stile di leadership personalistica e istintiva. Le decisioni di Trump raramente passano da processi strutturati o multilaterali: sono spesso improvvise, centralizzate, reattive. Qui emerge una sintonia con autori contemporanei come Robert Greene, scrittore e saggista, che nel bestseller The 48 Laws of Power (1998) codifica i meccanismi del potere spregiudicato. Alcune delle sue leggi sembrano disegnate su misura per il Trump politico: “Coltiva un’aria di imprevedibilità” (Legge 17), “Controlla le opzioni: costringi gli altri a giocare con le carte che distribuisci” (Legge 31 – come quando Trump, durante l’incontro alla Casa Bianca con il presidente ucraino Volodymyr Zelensky, lo mise in difficoltà affermando: “Tu non hai carte in mano”), “Schiaccia totalmente il nemico” (Legge 15). Un vero e proprio manuale di strategia per chi punta a dominare senza compromessi.
Dal negoziato sotto pressione al realismo di potenza: Chris Voss e Henry Kissinger
Sul piano della gestione del rischio e della trattativa, Trump sembra incarnare le tesi di Chris Voss, ex negoziatore dell’FBI, che nel suo libro Never Split the Difference (2016) descrive tecniche ad alta tensione, fatte di pause strategiche, escalation controllate e narrazione alterata della realtà per mettere l’avversario sulla difensiva. Infine, non va dimenticato il riferimento al realismo geopolitico di Henry Kissinger (1923–2023), tra i più influenti diplomatici, politologi e strateghi del XX secolo. Figura centrale della politica estera americana, fu Consigliere per la Sicurezza Nazionale e Segretario di Stato durante le presidenze di Richard Nixon e Gerald Ford. Per Kissinger, ogni relazione internazionale è innanzitutto una questione di potere e interessi, da gestire con pragmatismo e senza illusioni moralistiche. Ai vari Emmanuel Macron, Giorgia Meloni, Friedrich Merz, Keir Starmer, Ursula von der Leyen e Xi Jinping il compito di trovare le contromisure.