Congresso Nazionale FMSI: l'età biologica che vince sull'età anagrafica
Quello proposto dalla FMSI è un progetto che intende portare il valore della conoscenza scientifica nelle scelte strategiche del Paese
FMSI: età biologica, età anagrafica: un progetto scientifico e socioeconomico per il Paese
L’età biologica che vince sull’età anagrafica: una sfida possibile attraverso il trasferimento delle conoscenze medico-scientifiche della medicina dello sport a favore del sistema socioeconomico del Paese per coniugare salute, economia e sistema sociale. Di questo si ragionerà nel corso del XXXVII Congresso Nazionale della Federazione Medico Sportiva Italiana, di cui ha parlato Maurizio Casasco, Presidente della Federazione, nel corso della conferenza stampa di presentazione tenutasi oggi. L'incontro, dal titolo “Età biologica, età anagrafica 2.0. Una longevità in salute”, si svolgerà a Roma, presso il Centro Congressi dell’Hotel Rome Cavalieri dal 20 al 22 luglio 2023. Molti studi scientifici hanno dimostrato come la sintomatologia della maggior parte delle patologie non trasmissibili (malattie cardiovascolari, tumori, diabete, depressione, Alzheimer, Parkinson) che sono in continuo incremento soprattutto nei Paesi come l’Italia, caratterizzati dall’invecchiamento della popolazione, si manifesti anche decine di anni dopo la loro reale insorgenza. Diversi studi hanno anche dimostrato come l’investimento economico sulle cure (modello americano) produca meno salute rispetto all’investimento in ambito “socio-sanitario”; in una parola, investire in prevenzione ha una doppia ricaduta: sulla salute fisica e mentale delle persone e, di conseguenza, sulla sostenibilità del sistema socioeconomico del Paese.
Gli strumenti di prevenzione, precisione e predizione della medicina dello sport (dall’attività fisica correttamente prescritta al pari di un farmaco, alla valutazione della funzionalità della “macchinauomo”) possono svolgere un ruolo molto importante non solo nel contesto sportivo, ma anche all’interno del Sistema Sanitario Nazionale, nonché di quello lavorativo e previdenziale. Gli stili di vita e l’esercizio fisico in particolare giocano un ruolo epigenetico fondamentale sulle cellule germinali dei genitori e del futuro feto, incidendo quindi ancor prima del concepimento, con possibilità di trasmissione alle generazioni successive. La sedentarietà genitoriale, ad esempio, non solo predispone a malattie metaboliche o ad altre malattie croniche non trasmissibili del bimbo e del futuro adulto, ma può passare anche alla generazione successiva: quella che si chiama “Ereditarietà Epigenetica Transgenerazionale”.
L’esercizio fisico aerobico praticato regolarmente produce, a tutte le età, fattori che stimolano a livello cerebrale la produzione di nuovi neuroni utili per la memoria e le attività cognitive, nonché la plasticità cerebrale. Attenzione particolare va posta ai meccanismi dell’infiammazione e dello stress che possono essere prevenuti o attenuati dall’esercizio fisico aerobico; parimenti importante è l’impatto dell’attività fisica sui telomeri, le capsule terminali dei cromosomi, la cui lunghezza può indicare la qualità e la durata della vita e di come agiscono sui mitocondri, gli organi cellulari che forniscono l’energia di cui le cellule hanno bisogno. A titolo esemplificativo, l’accorciamento eccessivo dei telomeri negli individui obesi (ricordiamo che più del 50% degli italiani è in sovrappeso o obeso) è equivalente alla riduzione di 8,8 anni di vita, di fatto un effetto peggiore del fumo.
Grazie alle conoscenze proprie della specialità in medicina dello sport, si potrebbe, ad esempio, arrivare a definire l’età pensionabile delle diverse categorie di lavoratori non più solamente in base a un criterio anagrafico legato all’aspettativa di vita, bensì anche su base medico-scientifica: una metodologia di valutazione funzionale utilizzabile anche nel contesto assicurativo (i.e. polizze vita) o ancora in quello bancario (i.e. mutui). Quello proposto dalla Federazione Medico Sportiva Italiana è un modello che intende portare il valore della conoscenza scientifica nelle scelte strategiche del sistema politico, economico e sociale, non solo per il miglioramento dello stato di salute e della qualità della vita delle persone, ma anche in chiave di risparmio del SSN e potenziamento delle prospettive del Paese.
L’impatto delle malattie croniche non trasmissibili (NCDs) nel mondo
Ogni due secondi, nel mondo, una persona che ancora non ha compiuto settant’anni di età muore a causa di una malattia cronica non trasmissibile (NCDs): patologia cardiaca, cancro, diabete e patologia polmonare cui si aggiungono Parkinson, Alzheimer, depressione e altre patologie neurodegenerative, hanno superato la patologia infettiva come principali cause di morte a livello globale. Secondo il rapporto del OMS del 2022 “Invisible numbers: the true extent of noncommunicable diseases and what to do about them”, ogni anno le malattie croniche non trasmissibili sono responsabili del 74% dei decessi a livello globale e milioni di persone vivono con almeno una NCD. I soli malati di Alzheimer nel mondo ad oggi sono 55 milioni e la previsione è di 78 milioni nel 2030 e 133 milioni nel 2050. Si stima che i costi delle NCDs si elevino al 70-80% del budget totale che i Paesi europei spendono per la salute, con aggravi difficilmente quantificabili, anche per le singole famiglie, che impiegano importanti risorse per la cura e le attenzioni ai loro malati. In realtà questi dati, già molto allarmanti, sono destinati a peggiorare per diverse ragioni, fra le quali:
- tendenza all’aumento dell’inattività fisica;
- aumento epidemico di sovrappeso e obesità;
- aumento dell’aspettativa di vita, con il quale cresce parallelamente la probabilità di sviluppare tumori, malattie cardiovascolari e diabete.
Negli ultimi decenni, infatti, si è registrato un progressivo aumento della speranza di vita (84 anni per le donne e 79 per gli uomini), ma a causa delle NCD, che pesano per oltre il 75% sul carico di malattia globale, la speranza di vita libera da disabilità si attesta su valori molto più contenuti e simili per entrambi i sessi (circa 65 anni). Le NCDs rappresentano una spesa enorme per le economie globali e nazionali. Secondo il rapporto OMS, tra il 2011 e il 2030, il costo della perdita di produttività dovuta ai quattro principali gruppi di NCD è stimato in 30.000 miliardi di dollari; se a questi dati si aggiungono i costi dovuti alle malattie neurodegenerative, si arriva a 47.000 miliardi di dollari. Secondo l’OECD (Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico, che riunisce 53 Paesi fra i più ricchi del mondo), nonostante le NCDs pesino per il 60-80% sul carico di malattia complessivo, i Paesi membri spendono solo il 3% (e l'Italia anche meno) del loro budget sanitario per le attività di prevenzione e di salute pubblica per agire sui fattori di rischio, ampiamente modificabili, delle NCD. Da qui al 2030, l’investimento sui best buy (un set di misure attuabili in tutti i Paesi per la prevenzione e il trattamento delle NCD’s e, quindi, potenzialmente in grado di prolungare la vita in buona salute di milioni di persone) potrebbe generare benefici economici e sociali per oltre 230 miliardi di dollari nei Paesi a basso reddito.
E, se ogni Paese adottasse interventi di provata efficacia, almeno 39 milioni di morti per NCDs potrebbero essere evitate. Come riportato nella Prefazione del Rapporto, firmata dal Direttore Generale dell’OMS Tedros Adhanom Ghebreyesus, esistono interventi vantaggiosi da un punto di vista economico e applicabili a livello globale, che possono prevenire l’insorgenza di NCD o ridurne l’effetto. Attuando investimenti aggiuntivi in interventi di prevenzione e salute pubblica per 18 miliardi di dollari, si potrebbero ottenere benefici economici per 27.000 miliardi di dollari nei sette anni successivi.
L’impatto delle malattie croniche non trasmissibili (NCDs) in Italia
Nel nostro Paese, caratterizzato da un elevato invecchiamento della popolazione, i dati sono ancora più allarmanti. Le NCDs sono ritenute responsabili del 92% dei decessi totali registrati, in particolare:
- malattie cardiovascolari (41%);
- tumori (29%);
- malattie respiratorie croniche (5%);
- diabete (4%).
(bollettino epidemiologico nazionale, ISS).
Secondo l’ISTAT, il 39,1% della popolazione residente in Italia ha dichiarato di essere affetto da almeno una delle principali NCD. Le patologie cronico-degenerative sono più frequenti nelle fasce di età più adulte: già nella classe 55-59 anni ne soffre il 53% e tra le persone ultra settantacinquenni la quota raggiunge l’85,3%. Sono le donne ad esserne più frequentemente colpite, in particolare dopo i 55 anni. Le patologie croniche più diffuse sono: l’ipertensione (17,4%), l’artrosi/artrite (15,9%) e le malattie allergiche (10,7%). Il 20,7% della popolazione ha dichiarato di essere affetto da due o più patologie croniche, con differenze di genere molto marcate a partire dai 55 anni. Tra gli ultra settantacinquenni la comorbilità si attesta al 66,7% (58,4% tra gli uomini e 72,1% tra le donne).