"Ero in guerra ma non lo sapevo", il film dal libro di Torregiani. Intervista

Alberto Torregiani: "Il titolo rappresenta la nostra posizione, mia e di mio padre. Trovarsi dentro una guerra senza saperlo, senza volerlo"

di Mirko Crocoli
Spettacoli
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"Ero in guerra ma non lo sapevo", il film tratto dal libro di Alberto Torregiani prodotto da Barbareschi. L'intervista all'autore e all'editore

Il padre, gioielliere milanese, vittima di un agguato davanti al suo negozio

Tra gli interpreti Francesco Montanari e Laura Chiatti

Correvano gli anni di piombo…

 

Il 16 febbraio 1979, Pier Luigi Torregiani (Melzo, 21 novembre 1936), titolare di una gioielleria sita nella periferia nord di Milano (già nel mirino dei gruppi estremisti e di parte della stampa perché ritenuto colpevole di essersi difeso durante una rapina in un ristorante ove perì uno dei malviventi), venne freddato da un commando appartenente alla sigla “PAC” (Proletari Armati per il Comunismo) composto da Giuseppe Memeo, Gabriele Grimaldi e Sebastiano Masala.

Cesare Battisti fu poi condannato per concorso morale in qualità di co-ideatore e co-organizzatore di questo e di altri agguati. Il Torregiani (definito da alcuni giornali “il giustiziere” o “lo sceriffo”) fu dapprima colpito dal Memeo per poi essere brutalmente finito con un colpo alla testa dal Grimaldi. A nulla valse il tentativo di estrarre la sua arma per proteggere sé stesso e parte della sua famiglia, tant’è che nel conflitto a fuoco rimase ferito anche il figlio Alberto (allora quindicenne e presente sul luogo) alla colonna vertebrale, rendendolo paraplegico a vita.

Ed è proprio Alberto che nell’ottobre del 2006 ha deciso di raccontare l’intera storia (molto seguita dai media all’epoca dei fatti) tramite un libro autobiografico dal titolo “Ero in guerra ma non lo sapevo”, edito dalla A.Car di Lainate. Da questa sua pubblicazione è stato ispirato l’omonimo film nelle sale il 24, 25 e 26 gennaio 2022, prodotto da Luca Barbareschi, sceneggiato da Mauro Caporiccio, per la regia di Fabio Resinaro e interpretato dai bravissimi Francesco Montanari (nel ruolo proprio di Pier Luigi) e Laura Chiatti in quello della moglie Elena.

Simultaneamente al lungometraggio, che già sta riscuotendo pareri favorevoli dalla critica e da chi ha avuto l’opportunità di vederlo, esce anche la nuova ristampa di quelle che sono considerate le “memorie” di Alberto Torregiani il quale - unitamente all’editore, il meneghino Amos Cartabia – si è oggi reso disponibile sia a parlarci della recente trasposizione cinematografica sia a rammemorarci dettagli, aneddoti e verità concernenti proprio quel periodo storico che fu di altissima tensione per tutti.            

Alberto Torregiani, il suo libro autobiografico edito dalla A.Car di Lainate è ora un film. Come nasce l’idea della pubblicazione e perché questo titolo?

Il libro nasce dalla volontà di mettere a posto la verità, di fare chiarezza sull’intera vicenda troppe volte alterata dai media, specie nella persona di C. Battisti, quasi sempre annoverato come l’autore materiale dell’omicidio, cosa non vera. Poi, proseguire col raccontare il mio percorso per riprendermi la vita e infine spiegare o cercarlo di fare, a dove porta l’odio, qualsiasi forma l’odio abbia. Il titolo rappresenta la nostra posizione, mia e di mio padre; trovarsi dentro una guerra senza saperlo, senza volerlo.

(segue)

Un plauso e un merito dunque anche all’editore che ha creduto in questo suo manoscritto?

Amos Cartabia, l’editore ha avuto grande coraggio nel sostenere e portare a termine il mio lavoro. Pubblicare una storia troppo scomoda a certi salotti, comporta dei rischi. Li abbiamo avuti e superati, speriamo ora nella nuova pubblicazione, che la gente sia interessata a leggerlo e scoprire come realmente stiano le cose.

Una vera e propria guerra in Italia in quegli anni. Una lotta armata sia di destra che di sinistra. Il crimine di matrice estremista era traversale. Si trova d’accordo su questo? 

Il crimine è crimine. Il terrorismo è terrorismo, indipendentemente dalla matrice. Il contorno sono solo chiacchiere e giustificazioni atte a legittimare le azioni.

La sua famiglia è stata direttamente coinvolta da quei tragici eventi. La morte di suo padre e il grave ferimento ai suoi danni per mano dei PAC (Proletari Armati per il Comunismo) il cui ideologo era Cesare Battisti. Che aria si respirava a Milano?

Per un ragazzino di 14 anni, l’aria degli anni di piombo non era percepita fino a che non ci si è trovati dentro nel turbinio degli eventi. Dopo la tragica rapina, tutto è cambiato, tutto si è oscurato. Certamente per mio padre, per chi grande, la percezione di occlusione e soppressione era più palpabile, per chi come Pierluigi faceva un lavoro particolare, le giornate erano sempre sul rasoio.

Come risponde oggi alle accuse che all’epoca alcuni giornali rivolsero a suo padre Pierluigi? Lo etichettarono come “il giustiziere” o “lo sceriffo”. Dopo 40 anni la storia ha dato la sua verità?   

Spero che il film estragga questa verità, ancora oggi, come dicevo, troppo surclassata da certi salotti che si ostinano a difendere Caino. Oggi come allora si ricade in certe “distrazioni” sulla verità, vuoi per comodità di accredito di notorietà vuoi per motivazioni socio-politiche. Vero è che quei titoli, hanno in buona parte scatenato le decisioni prese dai PAC.

Ed ora il film nelle sale italiane i giorni 24, 25 e 26 gennaio. Luca Barbareschi il produttore. Ci vuole spiegare come è nato tutto? 

L’idea di un girato, che poteva essere un documentario, una fiction o il film prodotto da Luca, è nato tra una chiacchierata e l’altra con l’autore Caporiccio che per primo ha creduto a questo prodotto. Portato a Barbareschi, egli ne ha confezionato la volontà e combattuto per anni per la sua realizzazione. Un prodotto scomodo che ha trovato luce grazie alla volontà di chi ne ha fatto parte, come il regista Fabio Resinaro e gli attori Francesco Montanari e Laura Chiatti, tutti hanno messo anima e corpo nel progetto.

(segue)

Due straordinari attori del panorama cinematografico italiano. Francesco Montanari (nel ruolo di suo padre) e Laura Chiatti (in quello di Elena, la moglie). Come reputa le loro interpretazioni? 

Francesco lo avevo visto in altre produzioni ma non lo riconoscevo in colui che mi avevano proposto come attore di mio padre. Conosciuto, ho trovato subito molta stima nella sua capacità di entrare nelle viscere del personaggio che con grande stile ha raffigurato sulla pellicola. Di Laura conoscevo già la sua fama e non serviva altro. Poi, vederla nei ruoli di mia madre, girare un ruolo cosi particolare, credo dia a lei quel merito in più di un’attrice non solo bella, ma molto brava. Quella parte, non era per nulla facile in cui immedesimarsi. Una parola va anche agli altri attori, chi secondari e non, hanno percepito il senso del loro ruolo ed ognuno dato quella spinta in più ad abbellire un quadro generale. Un grazie a tutti.

Di Fabio non posso che dire solo grazie, un grazie immenso. Da subito siamo entrati in sintonia, ha assorbito e trasmesso attraverso le scene, ogni mia emozione, aneddoto, verità volessi trasparire. La sua sensibilità ha creato un bel film.

Perché gli italiani dovrebbero andare nelle sale e vedere il film? Al di là dei bravissimi Montanari, Chiatti e altri c’è un insegnamento o uno spunto utile per gli spettatori?       

Nessuna morale vuole trasmettere il film, solo l’introspezione di una famiglia colpita da un uragano, un vortice di violenza e terrore non voluto. Far vivere attraverso gli occhi di chi vede, quelle emozioni interiori che noi abbiamo vissuto in quel lampo della nostra vita. Come dicevo, far capire, se fosse necessario, a dove porta l’odio, il rancore, l’ideologia malvagia. Sembra facile capire questi errori, ma ancora oggi aleggiano nelle nostre menti, nei nostri cuori. Un esame di coscienza introspettivo farebbe bene un po’ a tutti, ma come detto, senza fare la morale a nessuno.

Alberto, vuole ringraziare qualcuno in particolare?

Il ringraziamento va a tutti senza una classifica, partendo da Amos a Luca, Fabio e tutti coloro che non solo hanno collaborato ma che hanno creduto e credono che la verità debba stare al di sopra di tutto costantemente e che per essa vale sempre la pena lottare.

(segue)

Un paio di domande al suo editore Amos Cartabia

Una storia di vita intensa quella di Alberto, a tratti triste per i risvolti che conosciamo, ma coraggiosa. Da editore cosa l'ha spinta a pubblicare il suo romanzo autobiografico?

Ho creduto in questo progetto sin dall’inizio, nel lontano 2006 quando conobbi Alberto. La sua era una storia che non poteva rimanere in un cassetto, la gente doveva sapere e, come ha scritto l’amico Toni Capuozzo nella prefazione, è un libro che dovrebbero leggere tutti per comprendere dove possa portare l’odio!

Una soddisfazione vedere un libro edito dalla sua "casa" diventare poi film per il cinema? Bel traguardo?

E’ quello che tutti gli editori attendono con ansia e, onestamente, è difficile che accada, ma ce l’abbiamo fatta nonostante tante difficoltà legate alla storia di Alberto che in molti non volevano più tirare fuori. Devo complimentarmi con Luca Barbareschi che ha creduto subito nel progetto e, anche lui come noi, con forza lo ha portato a termine.

Sig. Cartabia, pensa che qualche altro suo prodotto farà lo stesso percorso come avvenuto per "Ero in guerra ma non lo sapevo" ?

Abbiamo una storia fantastica, anche quella uno spaccato d’Italia, diverso, ma coinvolgente che abbiamo ceduto sempre nel periodo di “Ero in guerra ma non lo sapevo” ad altra importante casa di produzione e… speriamo di veder la luce anche con quel film.

 

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