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Intervista a Clelia Patella, l'influencer che racconta l'arte con i selfie

Intervista a Clelia Patella, l'influencer che avvicina le persone al mondo dell'arte

Rendere l’arte alla portata di tutti significa stimolare la curiosità della gente nei suoi confronti. Clelia Patella, influencer seguitissima, è l’archetipo perfetto del connubio tra passato e futuro, arte e selfie, cultura e social media. Salentina doc ma milanese di adozione, presentatrice e speaker radiofonica, oggi è voce di Radio 24, oltreché autrice per Artslife e Il Giornale.it. Muove i primi passi ad “All Music”, poi Retequattro con “Yesterday” e l’I-TIM Tour unitamente a Red Ronnie. É Claudio Cecchetto, Re Mida della disco music da mezzo secolo, a volerla ad HitChannel Rtl e Luca Viscardi a Play Radio per condurre Playout.

La vediamo inoltre sia nel backstage del Festivalbar che alla conduzione di Match Words. Firmataria di numerose ed importanti interviste ai cantanti italiani più famosi, è anchorwoman della sua personale ed innovativa video-rubrica “Walk in Art”, la quale si addentra nelle principali mostre del panorama nazionale, con un approccio sì divulgativo ma soprattutto estremamente dinamico e moderno. Nel 2019 la troviamo nelle librerie con “Selfie ad Arte – l’Arte al Tempo dei Social” (prefazione di Vittorio Sgarbi), edito da “Ultra Edizioni”, saggio autobiografico che sa analizzare con particolare cura il rapporto tra arte, rassegne, eventi museali, fotografia, smartphone e social media.

Clelia Patella
 

Clelia, con i suoi “Selfie ad arte” porta i musei su Instagram e inventando nuove prospettive avvicina alle opere chi in una mostra non metterebbe mai piede. Rendere l’arte così immediata, alla portata di tutti, non rischia di renderla anche (provocatoriamente) “superficiale”?

Partiamo dal concetto che l’arte non possa essere per definizione superficiale: e questo quindi la fa prescindere dal suo uditorio. Non si può rendere l’arte superficiale nemmeno raccontandola superficialmente: sarebbe solo un brutto modo di raccontare qualcosa di bello e profondo. Inoltre credo sia molto più superficiale, da parte dei cosiddetti uomini di cultura (che definisco “cosiddetti”, quando, comportandosi in questo modo, dimostrano incapacità di empatia e di rapportarsi all’altrui forma mentis), la convinzione che l’arte sia per pochi, e che anche quando molto pop sia in grado di essere veramente compresa solo da pochi.

In realtà l’arte, più che capita, va goduta: un’opera deve stimolare sensazioni e pensieri a prescindere da ciò che rappresenti. Ecco, quindi, credo che le persone che non metterebbero mai piede in una mostra spesso lo facciano perché percepiscono il mondo dell’arte come qualcosa di complicato, antico, e quindi in ultima istanza noioso, da cui sono tagliati fuori quasi come fossero una casta inferiore. Rendere l’arte alla portata di tutti significa stimolare la curiosità della gente nei suoi confronti, far venire generalmente voglia di approfondire: e questo va a tutto vantaggio sia dell’opera, che del sistema arte in generale, che soprattutto di questo nuovo pubblico, che ha una grande occasione di godere del bello ma anche di aprire la propria mente.

Come è arrivata a promuovere questo nuovo modo di raccontare l’arte?

Prima ancora dell’avvento degli smartphone, sono stata tra le prime persone che conosco a comperarmi una macchinetta digitale, sfruttando gli enormi vantaggi di questa tecnologia: l’immediatezza, l’azzeramento dei costi di sviluppo e stampa, l’autonomia di quasi tutto il processo, diciamo, “produttivo”, grazie anche ai software di fotoritocco che si affermavano sempre più. Per la sua praticità la portavo sempre con me, e siccome ero un’avida frequentatrice di mostre e musei e amavo al contempo scattarmi selfie prima ancora dell’esistenza della parola stessa, ovvero autoscatti contestualizzati.

È stato del tutto naturale realizzare sempre molte immagini in cui ritraevo me stessa assieme alle opere. Mettiamoci che ho anche la tendenza al pensiero laterale e al paradosso, oltre che a fare sempre dell’ironia... e il gioco era fatto, i Selfie ad Arte erano nati prima ancora dei selfie. La regolarità con cui svolgevo queste pratiche mi portò, dopo che iniziai a scrivere un blog dedicato all’arte, a inserire queste immagini come contributo regolare alle cronache delle scorribande artistiche a cui mi dedicavo. Era una nuova chiave di lettura dell’opera, il tentativo di fare di volta in volta un omaggio, un detournment, perfino un ready made dell’opera stessa... che comunque era sempre al centro dell’azione e vera protagonista: io sono sempre la spalla.

Non teme di essere irriverente o poco rispettosa della sacralità dell’opera?

L’arte è davvero sacra, come giustamente dice. E come tutte le cose sacre, non può essere intaccata nemmeno da eventuali irriverenze o mancanze di rispetto. Che comunque io non pratico, perché lo ripeto: l’opera è al centro, io sono solo contorno, e cerco di evidenziare lei.

“Selfie ad Arte” è diventato un libro, Ultra edizioni e prefazione di Vittorio Sgarbi. Sbaglio se dico che nel libro si evince come la figura dell’influencer sia ormai centrale anche nel mondo dell’arte?

Nel libro si evince più che altro che l’arte non può più permettersi di non fare i conti con la rivoluzione digitale in atto da ormai almeno un ventennio in varie forme: i social, ma anche un mezzo tecnico come lo smartphone, i blog, le nuove forme espressive con cui fare i conti che sono basate sulle nuove tecnologie, fino ad arrivare ai nuovi metaversi... Ogni cosa, ai nostri tempi, è sempre più calata nella propria controparte digitale, e questa diventa sempre più centrale rispetto ad ogni cosa. L’influencer è solo uno degli elementi nuovi che popolano questo centro.

A riguardo, è stata anche conduttrice questa estate di una trasmissione su Radio24…

Esatto, ed ho proprio voluto dedicare tutta la trasmissione a questo rapporto sempre più sfaccettato e profondo tra l’arte e il mondo digitale: dalla digital art, ai musei digitali e/o virtuali, dalle nuove istanze che portano a nuove architetture e sfruttano nuove dinamiche tra l’arte e la tecnologia a nuovi universi in cui l’rate si fa, guarda e vende in modo del tutto nuovo... Ho voluto raccontare una serie di storie peculiari, esemplari e a tratti anche avvincenti che hanno per protagonisti artisti e visionari e istituzioni all’avanguardia per mostrare l’arte in modo meno polveroso dell’abituale, rivelando chiavi di lettura e punti di vista meno noti ma sempre più importanti.

Lei intravede una metamorfosi ancora più strutturata del fare e raccontare l’arte?

Sì, e credo si possa capire dalle cose di cui ho parlato finora, dalle tematiche su cui mi sono focalizzata e dal modo di affrontarle. Come per ogni cosa, anche per l’arte - lo ribadisco - fare i conti con le nuove tecnologie diventa sempre più inevitabile; questo per via della spinta di nuove istanze che portano in modo naturale a grandi cambiamenti sia nella fase creativa che in quella divulgativa e infine in quella di utilizzo finale. E gli ultimi due anni di crisi sanitaria, che tra i vari effetti negativi ne hanno avuto anche qualcuno positivo come quello di dare una spinta molto decisa a certi cambiamenti a favore della digitalizzazione, hanno dato una accelerata finale tale da averci fatto intraprendere una strada, giustamente, senza ritorno.

Progetti per il futuro? Medio o lungo termine che sia...

Continuare così, innanzitutto. Imparare sempre più a conoscere le cose di un tempo e restare al passo con quelle di oggi, cercando di arrivare in anticipo su quelle di domani. Tutto questo a livello personale. Ovviamente si tratta di cose che si riflettono automaticamente sul piano professionale. Continuerò con la radio, evolvendo il discorso che ho iniziato a fare, e forse lo farò anche in televisione. Pensate si tratti di media antichi e superati? Forse avete ragione, specie per la TV. Ma prima di celebrarne i funerali, diamogli l’opportunità di parlare, con un linguaggio del tutto nuovo, di cose nuovissime.

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