L'attentato a Tel Aviv? Anche quello di Israele però è terrorismo...

Sono 75 anni che in Israele c'è pulizia etnica con periodici scontri in cui i bilanci dei morti palestinesi sono cento volte superiori alle perdite israeliane

di M. Alessandra Filippi
Esteri

Israele, attacco sul lungomare di Tel Aviv: muore il giovane avvocato italiano Alessandro Parini

La strategia dell'attacco offensivo travestito da scontro difensivo adottata da Israele ha iniziato dare i suoi tragici e mortiferi frutti.

Dopo l'uccisione ieri mattina di due giovani sorelle israeliane, la cui madre lotta ancora fra la vita e la morte, ieri sera a perdere la vita è stato un giovane avvocato romano, Alessandro Parini. Secondo la polizia, intorno alle 21.35 un'auto è piombata a tutta velocità sulla pista ciclabile del lungomare di Tel Aviv colpendo un gruppo di persone che stava passegiando, fino a ribaltarsi sul prato del vicino Charles Clore Park. Al momento dell'attacco, sul posto si trovavano di passaggio anche un agente di polizia e un ranger municipale. Non appena hanno notato che l'aggressore tentava di raggiungere un oggetto simile a un fucile gli hanno sparato uccidendolo. Sempre secondo una fonte della polizia, nel veicolo non è stata trovata nessuna arma, solo una pistola giocattolo. Alla guida del veicolo, poi risultato rubato, c'era l'arabo israeliano Yousef Abu Jaber, di 45 anni, residente a Kafr Qassem, senza precedenti penali.

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Il bilancio dei feriti è di sei persone, fra i quali due anziani e una giovane ragazza di 17 anni; tutti sono cittadini italiani e britannici. Alessandro Parini era arrivato ieri mattina a Tel Aviv, per trascorrere le vacanze pasquali con un gruppo di amici.

Alessandro Parini
 

Nella notte il Presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, e il ministro degli Esteri Antonio Tajani, attraverso i rispettivi organi ufficiali, hanno espresso il loro profondo cordoglio e vicinanza nei confronti della famiglia della vittima, e dei feriti, condannando con fermezza il vile attacco terroristico.

C'era da aspettarselo, dopo i ripetuti assalti alla moschea di Al-Aqsa, la prevedibile reazione dei fedeli assediati, gli altrettanti prevedibili razzi sparati da Gaza e dalla frontiera libanese, la muscolare reazione di Israele, che ha anche richiamato un numero imprecisiato di riservisti, non soli i piloti. Era prevedibile che dopo le polveri alle quali è stato dato fuoco sarebbe seguita, presto, una triste scia di sangue. Era solo questione di tempo, di ore. Ad ogni azione corrisponde una reazione. E' una regola elementare. È la regola della guerra.

Tutte e tre le vittime di ieri non avevano altra colpa se non quella di trovarsi nel posto sbagliato, al momento sbagliato. E per quanto riguarda le due giovani ragazze di vivere in uno dei tanti insediamenti israeliani illegali sparsi, sempre meno a macchia d'olio, in Cisgiordania. Un'erosione inarrestabile che solo negli ultimi anni ha strappato quasi il 30% di territorio ai palestinesi alimentando, una volta di più, il fuoco dell'odio e del risentimento.

Attentato a Tel Aviv, morto un giovane avvocato italiano: "L'Occidente chieda conto a Israele dei suoi attacchi ai fedeli"

Il presidente del progetto Usa/Medio Oriente, l'israeliano Daniel Levy, non più tardi di due giorni fa aveva dichiarato che “non solo la violenza s'intensificherà ma l’infinita negazione delle libertà e dei diritti per i palestinesi sotto occupazione – che vivono sotto il repressivo regime israeliano – porterà inevitabilmente le persone ad assumere qualsiasi forma di resistenza”. Dello stesso parere è Husam Zamlot, ambasciatore palestinese presso il Regno Unito, secondo il quale l'Occidente dovrebbe chiedere conto a Israele dei suoi attacchi ai fedeli nel complesso della moschea di Al-Aqsa a Gerusalemme”, aggiungendo che  “Israele viola ogni singola disposizione del diritto internazionale e la santità delle moschee, specialmente in un mese sacro come il Ramadan. Se soldati armati assaltassero una sinagoga o una chiesa, quale sarebbe la reazione internazionale?”. Possiamo tutti immaginare la risposta.

È arrivato il tempo di trovare il coraggio di definire anche la violenza esercitata da Israele per quello che è: una forma di terrorismo. Non possiamo più usare due pesi e due misure. Non dobbiamo più chiamare “scontri” quelli che sono attacchi provocatori volti a scatenare l'inferno. È non vogliamo più nemmeno continuare a fingere di non vedere e non capire che sono 75 anni che in Israele è in corso una pulizia etnica attuata con l'occupazione dei territori, con periodici “scontri” nei quali i bilanci dei morti palestinesi sono cento volte superiori alle perdite israeliane, e con il sistematico e progressivo sradicamento da tutto il Paese delle tracce secolari lasciate dalla cultura arabo-palestinese.

Per costruire la pace è necessario prima di tutto uscire dalla logica dei “tempi instabili" e del perenne stato di emergenza. Evitare, oggi, per prima cosa, con tutti i mezzi possibili, anche facendo attenzione a come usiamo le parole, che gli attacchi di ieri, a West Bank e a Tel Aviv, possano essere strumentalizzati dagli intransigenti per aumentare la pressione e potenziare le richieste a Netanyahu per il perseguimento di una linea sempre più dura nei confronti dei palestinesi. La storia insegna che non è una strada che da buoni frutti.

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